Ep. 3

L’impronta russa nel Sahel: il caso Mali

La Russia ha occupato il vuoto lasciato dal resto del mondo nel Sahel: per ragioni politiche Mosca vuole fare il gendarme d’Africa.

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Sergei Lavrov, ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa, febbraio 2023

Ogni mattina, dal 2012, i giornali, le radio, la tv nazionale e le agenzie stampa pubbliche del Mali pubblicano notizie che raccontano grandi operazioni antiterrorismo da parte delle Forze Armate del Paese (FaMa): interi gruppi islamisti sbaragliati, legati ad al-Qaeda o a Isis, tonnellate di armi e munizioni recuperate, chilometri e chilometri quadrati di territorio “sottratti agli insorti”. Una propaganda, quella dell’antiterrorismo maliano, che ha cambiato i toni improvvisamente, la mattina del 18 agosto 2020. Elementi delle FaMa, quel giorno, hanno iniziato un ammutinamento mentre alcuni loro compagni d’arme prendevano d’assalto la base di Kati, 15 km da Bamako: carri armati e blindati sono usciti dalle caserme di tutto il Paese, colonne formate da centinaia di camion colorati di verde marcio hanno imboccato gli stradoni che conducono alla capitale, dove i militari arrestavano funzionari governativi di ogni ordine e grado. Alle 5 del pomeriggio l’annuncio: “Il presidente e il primo ministro sono sotto il nostro controllo. Li abbiamo arrestati a casa del capo dello Stato, a Bamako”.

Il presidente della Repubblica del Mali, Ibrahim Aboubakar Keita, per tutti IBK, è stato deposto da un colpo di Stato quasi incruento, con brevi scambi d’artiglieria dovuti più agli equivoci di comunicazione tra le forze armate che alla resistenza di qualcuno. A mezzanotte e tre minuti del 19 agosto 2020 la tv nazionale maliana ORTM trasmette la voce di IBK: “Ho deciso di lasciare le mie funzioni e tutti i miei incarichi a partire da questo momento. […] il peggio è arrivato. Se oggi ad alcuni elementi delle nostre forze armate hanno deciso che dovevo smettere e che doveva finire tutto con il loro intervento, ho davvero scelta?”.

9 mesi dopo, il 24 maggio 2021, alcuni soldati dell’esercito hanno arrestato il nuovo presidente e il nuovo primo ministro, Bah N’daw e Moctar Ouane, su ordine del colonnello Assimi Goita, già leader del Comitato nazionale per la salvezza del popolo, che era stato nominato vicepresidente dopo il golpe di pochi mesi prima. N’daw e Ouane, sono stati portati al campo militare di Kati, destituiti, accusati di non aver consultato la leadership militare nella nomina di un governo di transizione, e si sono dimessi dopo tre giorni. Goita si è proclamato presidente.

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Miliziani Tuareg a Timbuctù, Mali, aprile 2012. Foto Flickr

I progagonisti

Assimi Goita, addestratosi nelle accademie militari di Mali, USA, Francia e Germania, ha servito e guidato il Battaglione delle Forze speciali autonome del Mali ed era al fronte quando, nell’aprile 2012, si è sviluppata l’insurrezione islamista. I piccoli gruppi radicali presenti nel nord del Mali dal 2011 inizialmente sostennero, salvo poi rivoltarsi, la lotta per la liberazione dell’Azawad, i territori sahariani del nord, al confine con Algeria e Mauritania, rivendicati dai ribelli Tuareg di Iyad Ad Ghali. A settembre cominciarono i primi scontri tra tre differenti gruppi islamisti: tuareg, quaedisti e Isis, che tentarono ognuno nel proprio territorio di imporre la propria interpretazione radicale della Sharia. A dicembre gli scontri armati si allargarono all’esercito e, già a gennaio 2013, la Comunità internazionale ha sostenuto la proposta dell’allora presidente francese Hollande di inviare aiuti militari e logistici alle Forze Armate del Mali tramite l’Operazione Serval. L’impegno della comunità internazionale, nei 10 anni a venire, è stato tanto massiccio quanto infruttuoso: ad aprile 2013 viene approvata la Missione multidimensionale per la stabilizzazione integrata delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA), nel 2023 definita “la missione ONU più mortale di sempre”, quella in cui sono caduti il maggior numero di caschi blu, e anche l’EUTM Mali, operazione dell’Unione Europea per supportare l’addestramento e l’organizzazione delle forze armate maliane.

Il fallimento delle operazioni ONU e occidentali è stato il terreno su cui si è coltivato il consenso della giunta militare, il pretesto perfetto per un cambio di rotta anche a livello di partner internazionali.

Oltre a Goita, l’altro asso di bastoni della giunta militare maliana è Choguel Kokalla Maiga. Già ministro dell’Industria e dell’Economia, ex-portavoce del primo governo golpista. Maiga ha studiato in Russia, parla fluentemente il russo e in più occasioni, da quando è primo ministro, ha evidenziato l’interessamento del Mali a una partnership con la Russia in campo militare: “Non vedo l’ora di tornare a praticare la lingua” ha detto ai media russi a settembre 2021. Pochi giorni dopo, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha dichiarato che la giunta di Bamako si è rivolta ad una società privata russa per combattere il terrorismo. Il gruppo Wagner di Evgenij Prigozhin.

Forse vale la pena fare un nuovo, piccolo, passo indietro. Al giorno del secondo colpo di Stato, il 24 maggio 2021.

Quel giorno per le strade di Bamako le persone manifestavano mostrando bandiere russe, scandendo slogan anti-francesi e chiedendo la fine “della sudditanza” da Parigi, ex-colone e presente nel Paese con due infruttuose e mortali operazioni militari di peacekeeping. Talmente infruttuose e mortali che, il 10 giugno 2021, il presidente francese Emmanuel Macron ha ordinato “una rielaborazione” della presenza francese in Mali. Bamako ha colto la palla al balzo: ha accusato Parigi di “tradimento” e chiesto l’immediata partenza di tutti i contingenti francesi.

Nell’estate 2021, quando il Paese è più assediato che mai dai gruppi islamisti, si è scritta la parola la fine sulle missioni internazionali in Mali.

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Il territorio sotto il controllo dei gruppi jihadisti alla fine del 2019

La zampata dell'Orso

In questo contesto di tensione, sul campo e a livello diplomatico, la Russia ha saputo approfittare del vuoto creatosi per occupare uno spazio di storico interesse: il Sahel. Mosca aveva inviato già in estate truppe regolari per affiancare le FaMa, oltre a diverse migliaia di mercenari del gruppo Wagner. Il 25 settembre 2021, alle Nazioni Unite a New York, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha detto che in Mali “stanno combattendo il terrorismo e, per inciso, si sono rivolti a una società militare privata della Russia in relazione al fatto che, come ho capito, la Francia vuole ridurre significativamente la sua componente militare”. È qui che la propaganda trasmessa ogni mattina dalle radio del Mali subisce un cambio radicale: toni sempre più antifrancesi, un sentimento popolare che le autorità sembrano voler cavalcare, una narrazione sempre più epica della risposta militare “sovrana” del Mali e dei suoi alleati. Narrazione che, tuttavia, racconta un Mali che non esiste: gli attacchi dello Stato Islamico e di al-Qaeda si sono, nel tempo, diffusi nei vicini Burkina Faso e Niger e l’attività militante si sta gradualmente spostando a sud, verso il Golfo di Guinea: Benin, Togo, Ghana e Costa d’Avorio.

Alla fine di gennaio 2023 i jihadisti del gruppo Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), dopo aver conquistato abbastanza territorio dal riuscire a far letteralmente esplodere le istituzioni del Mali, hanno moltiplicato gli attacchi alle porte della capitale maliana Bamako. Due, tre attacchi al giorno: contro la gendarmeria, l’esercito, i villaggi rurali, gli allevamenti di bestiame. Le aree del Paese sotto il controllo dello Stato maliano sono meno del 40% del territorio e anche la capitale è assediata. Entrando nel 2023, sembra che i gruppi islamisti in Mali siano riusciti a superare le asperità che li hanno portati a combattersi tra loro per un decennio, avviando una spirale di crescita: l’alleanza delle FaMa con i mercenari del Wagner, in particolare nelle regioni del nord, è caratterizzata da violenze contro le popolazioni, che si trovano così strette in una morsa terribile. Da un lato FaMa e mercenari in cerca di fortune (abbiamo raccontato qui come il gruppo Wagner si fa pagare in Repubblica Centrafricana), dall’altra gruppi islamisti violenti che sfruttano il vantaggio della presenza territoriale per fare politica e ottenere consensi, una sorta di operazione psicologica di massa per provocare la sindrome di Stoccolma a milioni di persone.

L’ambizione di Mosca è grande: usare il Mali come cavallo di troia per tutta l’Africa occidentale. “La Russia è qui su richiesta del Mali e risponde in modo efficiente alle nostre esigenze strategiche” ha dichiarato il ministro degli Esteri del Mali Abdoulaye Diop a febbraio 2023, esaltando Mosca per aver rafforzato le forze armate maliane dopo aver inviato pesanti attrezzature militari a Bamako in diverse occasioni: aerei Sukhoi, elicotteri da sorveglianza e combattimento, blindati, armi e munizioni. Secondo il Dipartimento di Stato americano, Bamako pagherebbe 10 milioni di dollari al mese per i servigi del gruppo Wagner. Tariffa pagata anche in natura, proprio come in Centrafrica.

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Sukhoi russi sulla pista dell'aeroporto militare di Bamako, 9 agosto 2022. Foto Twitter

La crisi

Secondo la Ong Armed Conflict Location and Event Data Project, nel 2022 le operazioni delle FaMa e dei suoi ausiliari russi di messa in sicurezza e ripristino della sovranità statale sul territorio hanno causato più morti tra i civili che tra i miliziani. Diversi gruppi per i diritti hanno documentato segnalazioni di torture, esecuzioni sommarie e aggressioni sessuali durante le operazioni congiunte di controinsurrezione denominate Keletigui, iniziate nel dicembre 2021. Gli attacchi dei rami dello Stato Islamico e di al-Qaeda si sono nel tempo diffusi nei vicini Burkina Faso e Niger, mentre l’attività militante si sta gradualmente spostando a sud verso il Golfo di Guinea.

Al 31 dicembre 2022 il Mali conta 470.000 sfollati interni a causa delle violenze, cui si aggiungono altre 60000 persone provenienti dai paesi vicini: le Nazioni Unite stimano che 8,8 milioni di persone in Mali (il 42% della popolazione) abbiano bisogno di assistenza umanitaria. In 11 anni di insurrezione islamista, 1,5 milioni di persone sono fuggite dalle loro case, qualcuno più di una volta. Quasi 200000 maliani sono rifugiati nei paesi vicini. Le stime dicono che nel 2023 367.000 bambini sotto i 5 anni saranno gravemente malnutriti e avranno bisogno di assistenza urgente, un aumento del 16% rispetto al 2022. Dal 2012 solo l’Unione Europea ha stanziato 472 milioni di euro di aiuti umanitari per il Mali.

A marzo 2022 a Moura, regione di Mopti nel Mali centrale, viene raccontato di un massacro proprio alla vigilia del mese di Ramadan: l’esercito maliano sarebbe stato informato di una riunione prevista a Moura per domenica 27 marzo 2022 del gruppo terroristico Katiba Macina, legato ad AQMI. Da venerdì 25 marzo, “droni, aerei e altri mezzi di sorveglianza dispiegati dall’esercito” avrebbero notato i movimenti di diverse centinaia di terroristi, tra cui una dozzina di “capi base”, ha reso noto giorni dopo l’esercito del Mali. Alle 11 di domenica, tre elicotteri delle forze speciali hanno attaccato il villaggio: diversi soldati maliani sono caduti “sotto il pesante fuoco nemico” e i jihadisti sono stati poi “neutralizzati dalle forze aeree e di terra dell’esercito”. Altri 145 terroristi sarebbero stati abbattuti “nelle vicinanze” di Moura. In seguito, “per evitare scontri di strada”, le FaMa avrebbero isolato il villaggio e, il giorno dopo, invitato la popolazione a raggrupparsi e mettersi in salvo prima di iniziare l’operazione di messa in sicurezza. I magazzini d’armi hanno preso fuoco mentre i terroristi erano al loro interno, “con il risultato di corpi carbonizzati che alcuni media e Ong hanno cercato di far passare come civili bruciati”, accusava il quotidiano statale maliano L’Essor. La mattina di giovedì 31 marzo, le forze speciali maliane hanno lasciato il villaggio. Il bilancio finale ufficiale è di 203 jihadisti neutralizzati e 51 arrestati. Le Nazioni Unite, il 31 gennaio, si sono dette preoccupate “dall’apparente aumento dell’esternalizzazione delle funzioni militari tradizionali al cosiddetto gruppo Wagner” anche perché in tali funzioni rientrano anche operazioni antiterrorismo, “comprese a Nia Ouro, Gouni e Fakala”. Per questo motivo, chiedono gli esperti delle Nazioni Unite, il Mali deve “esercitare la massima vigilanza nel proibire la partecipazione diretta alle ostilità” di tutti gli attori non statali che operano sul suo territorio: “L’uso di mercenari, attori simili a mercenari e società di sicurezza e militari private non fa che esacerbare il ciclo di violenza e impunità prevalente nel Paese”.

Secondo Human Rights Watch le vittime a Moura sarebbero state “almeno 300”: i sopravvissuti hanno detto all’Ong che soldati maliani e “soldati bianchi che parlano in una lingua strana” hanno giustiziato sommariamente decine di persone, principalmente uomini.

Dopo il massacro di Moura le autorità governative del Mali hanno vietato le trasmissioni dei media pubblici francesi, come RFI e France24: i servizi sulle atrocità delle FaMa e dei suoi ausiliari russi infatti contrastavano con una propaganda volta a gonfiare le capacità militari dello Stato e dei suoi alleati, una propaganda utile anche a screditare gli ex-alleati francesi e occidentali. Le autorità di Bamako strombazzano ogni giorno di nuove conquiste militari, ma le morti complessive per violenza sono aumentate tra il 2021, quando ci furono 1.913 vittime, e il 2022, in cui si sono registrate 4.803 vittime. La propaganda, infatti, si contraddice: a fine dicembre 2022, il Ministero della salute e dello sviluppo sociale del Mali ha detto che i bisogni umanitari sono aumentati del 17% nel 2022, a causa degli sfollamenti di massa indotti dalla violenza dei gruppi islamisti, che hanno espanso l’attività di reclutamento proprio sfruttando le atrocità commesse da chi dovrebbe contrastarli.

Nel 2022, un terzo dei comunicati stampa diffusi da AQIM in Mali menzionava esplicitamente il gruppo Wagner, come bersaglio o buona ragione per giustificare nuovi attacchi, e lo stesso si evidenzia nei comunicati stampa del gruppo Stato Islamico, che parla anche di abbattimenti di droni russi. Un conflitto che sembra ben lontano da una risoluzione, cosa che probabilmente ai russi non importa.

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Sergei Lavrov e Assimi Goita a Bamako, 7 febbraio 2023. Foto Twitter

La morte è l'alternativa alla morte

“L’Africa sub-sahariana è diventata il nuovo epicentro globale dell’estremismo violento, con il 48% delle morti per terrorismo globale nel 2021. Questa ondata non solo ha un impatto negativo sulle vite, sulla sicurezza e sulla pace, ma minaccia anche di invertire i guadagni di sviluppo conquistati a fatica per le generazioni a venire. Le risposte antiterrorismo guidate dalla sicurezza sono spesso costose e poco efficaci, ma gli investimenti in approcci preventivi all’estremismo violento sono tristemente inadeguati. Il contratto sociale tra Stati e cittadini deve essere rinvigorito per affrontare le cause profonde dell’estremismo violento” si legge nell’abstract di un rapporto di UNDP sulla presenza del jihadismo nel Sahel.

Il report, intitolato “Journey to Extremism in Africa: Pathways to Recruitment and Disengagement”, è stato sviluppato grazie a migliaia di interviste prese in otto paesi africani: Burkina Faso, Camerun, Ciad, Mali, Niger, Nigeria, Somalia e Sudan. Più di 1.000 intervistati sono ex membri di gruppi estremisti violenti, sia reclute volontarie che forzate. Un quarto di loro ha citato le opportunità di lavoro come motivo principale per aderire al gruppo estremista, mentre il 40% ha dichiarato che al momento del reclutamento aveva urgente bisogno di mezzi di sussistenza.

In generale il report riporta un aumento del 92% della capacità di reclutamento dei gruppi armati islamisti operanti nel Sahel.

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