I russi. Gli americani.
Sullo stesso terreno, Bancroft e Wagner operano nello stesso settore e nello stesso territorio, con le stesse regole d’ingaggio e gli stessi obiettivi.
La storia di come la Russia è arrivata e si è stabilita in Repubblica Centrafricana è paradigmatica del modello russo di cooperazione.
La nostra serie sulle attività della Russia nel continente africano.
Мы принадлежим Аллаху и к нему возвращение.
Noi apparteniamo ad Allah e a Lui ritorniamo.Corano, Sura al-Baqarah, versetto 157
Il 3 agosto 2018 un gruppo di cittadini palestinesi riunitisi per la tradizionale preghiera del venerdì alla moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme appesero uno striscione commemorativo con una scritta in arabo: “Il giornalista russo Orhan Dzhemal, morto nella Repubblica Centrafricana, era un attivo difensore della Palestina e dell’intero mondo islamico”.
Quattro giorni prima, la sera di lunedì 30 luglio, il giornalista Orhan Gueïdarovitch Dzhemal (il cognome si trova scritto anche come Djemal), 51 anni, l’autore televisivo Alexander Rastorguyev, 47 anni, e il cameraman Kirill Radchenko, 33 anni, tutti e tre cittadini russi, erano stati trucidati a colpi di arma da fuoco in un luogo poco distante da Sibut, circa 300 chilometri a nord di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. Secondo il loro autista, Bienvenue Douvokama, incredibilmente sopravvissuto alla strage, il gruppo di fuoco era composto da una decina di uomini armati e con i volti coperti che non parlavano francese né sango, ma l’arabo.
I tre russi si trovavano in Repubblica Centrafricana, dove erano atterrati da pochi giorni, per realizzare un documentario per conto dell’Investigation Control Center (TsUR), che fa capo all’oligarca russo Mikhail Khodorkovsky, oppositore di Vladimir Putin. A maggio 2018, ovvero pochi mesi prima della morte dei tre russi, proprio a Sibut le Forze Armate centrafricane erano riuscite a riprendere il controllo della città, che dal 2012 era in mano prima alle milizie Seleka e poi, dal 2014, alle milizie Anti-Balaka. Un’operazione di riconquista resa possibile grazie anche al supporto di un gruppo di misteriosi istruttori russi, presenti in Centrafrica grazie a una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ma dei quali si sapeva molto, molto poco.
Sin dal 2013, come si legge in questo documento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, le Forze Armate centrafricane ricevono addestramento e equipaggiamento militare dalla Russia “insieme al supporto di altri partner, come la Missione di formazione militare dell’Unione Europea nella Repubblica Centrafricana” ma anche della Missione di stabilizzazione integrata multidimensionale delle Nazioni Unite (MINUSCA).
Nel settembre 2014, al fine di stabilizzare la situazione nella Repubblica Centrafricana, l’Onu, in conformità con la risoluzione 2149, ha creato la missione integrata multidisciplinare MINUSCA che, all’inizio del 2018, contava più di 14.000 persone provenienti da Pakistan, Bangladesh e da alcuni Paesi africani. Il 15 dicembre 2017 il Consiglio di Sicurezza autorizzava la Russia, in deroga all’embargo sulle armi imposto alla Repubblica Centrafricana, a fornire al governo di Bangui armi, munizioni, armamenti e istruttori militari, avviando una vera e propria cooperazione militare a tutto tondo russo-centrafricana, perfettamente lecita e inquadrata in una risoluzione delle Nazioni Unite. Il 26 dicembre 2017 la Russia avvisava il Consiglio di Sicurezza dell’invio, proprio in Repubblica Centrafricana e per un anno, di 5 istruttori militari e 170 civili. Il 31 marzo e il 30 maggio successivi si sono concluse la prima e la seconda fase di addestramento delle Forze Armate centrafricane e delle Guardie presidenziali, addestramento condotto dai russi a Berengo, in collaborazione anche con gli uomini della MINUSCA. Proprio a Barengo, oggi, Wagner ha il proprio quartier generale africano, nel palazzo che fu dell’”ultimo imperatore d’Africa”, il dittatore centrafricano Bokassa. Tra gennaio e febbraio 2018 la Federazione Russa ha consegnato all’aeroporto M’Poko di Bangui armi e munizioni, assegnate alle Forze Armate, alla Guardia presidenziale, alla polizia, alla gendarmeria e al Ministero della Giustizia. In aprile il cittadino russo Valery Zakharov fu nominato consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente della Repubblica Centrafricana, nomina avvenuta “nell’ambito della cooperazione tra i governi” di Bangui e Mosca.
In quei giorni Bangui era in tumulto, con i giornali locali e i social media erano inondati da una propaganda fatta di discorsi d’odio contro gli abitanti del distretto PK5 della città: lo scopo era discriminare quella comunità, a maggioranza musulmana, e, si legge in quello stesso documento del Consiglio di sicurezza, “associarli ai mercenari stranieri” che sarebbero “venuti per destabilizzare il Paese”. Si tratta di un passaggio interessante perché, per la prima volta, un documento ufficiale delle Nazioni Unite parla esplicitamente di “mercenari stranieri” presenti in Centrafrica. Il 10 giugno 2018 a Bangassou una milizia armata (l’Unione per la Pace in Centrafrica, o UPC) ha attaccato un convoglio delle Forze Armate locali, che erano accompagnate da istruttori russi, ferendo un cittadino russo e due militari centrafricani. Una settimana dopo una delegazione militare russa ha mediato con Ali Darassa Mahamat, leader dell’UPC, il passaggio sicuro del convoglio, cosa avvenuta il 22 giugno successivo. Il metodo usato con Mahamat è diventato il modello vincente nella cooperazione russo-centrafricana: si tratta di mediare con le milizie ribelli, cercarne il consenso per garantirsi lo svolgimento di qualsiasi attività nelle aree sotto il loro controllo; sono numerose le testimonianze dei leader di queste stesse milizie che affermano di aver ricevuto dei soldi dai russi, ai quali è stato permesso di garantire la sicurezza ai convogli e svolgere le attività di cooperazione militare. La Russia ha sempre smentito queste accuse.
Oggi le milizie private russe presenti in Centrafrica (principalmente i Wagner) commerciano in diamanti, come abbiamo raccontato qui, proprio in quelle zone che erano o sono ancora sotto il controllo di queste stesse milizie. Ad esempio a Bria, capitale diamantifera del Paese africano, o a Ndélé, o a Bambari.
Secondo il magazine indipendente russo The Bell, già nel 2017 “una compagnia militare privata è stata inviata in Africa”: si scoprì che si trattava del Sudan, quando i mercenari russi arrivarono a Khartoum subito dopo i negoziati di Sochi nel novembre 2017 tra l’allora presidente sudanese Omar al-Bashir, il suo omologo russo Vladimir Putin, il primo ministro Dimitri Medvedev e il ministro della Difesa Sergei Shoigu. Con i mercenari, in Sudan ha iniziato a operare anche un’azienda russa, M Invest LLC, tramite Meroe Gold, la sua sussidiaria locale, entrambe collegate direttamente a un signore fino a quel momento semi-sconosciuto che faceva il servizio catering per il Cremlino: Yevgeny Prigozhin.
Sabato 28 luglio 2018 la troupe cinematografica guidata da Orhan Dzhemal atterrava a Bangui. Domenica sera, 29 luglio, i tre avevano già interrotto le comunicazioni con colleghi, amici e familiari. Secondo Anastasia Gorshkova, vicedirettrice di TsUR, per cui lavoravano, i tre si trovavano in Centrafrica per girare un documentario “a proposito di mercenari russi e della presenza russa in Repubblica Centrafricana”, versione confermata tra la fine di luglio e i primi di agosto da diversi amici, colleghi e contatti dei tre. Amici che, interpellati dal quotidiano economico russo Kommersant il 1 agosto 2018, sostengono più specificatamente che stessero girando un documentario sul lavoro “della compagnia privata Wagner PMC”, ragion per cui avevano con loro attrezzature costose (circa 8.000 dollari il valore complessivo) e parecchio denaro contante.
Secondo la ricostruzione dei fatti negli atti della procura centrafricana che, ancora oggi, ha il fascicolo aperto su questa strage, i tre sono stati ammazzati durante una rapina finita male: i corpi sono stati ritrovati a 23 chilometri circa da Sibut, prefettura di Kemo, e i primi a effettuare il riconoscimento, spiegò la portavoce del Ministero degli Esteri di Mosca Maria Zakharova all’epoca, furono i diplomatici russi tramite alcune fotografie. Poi toccò ai colleghi giornalisti e, solo alla fine, alle famiglie. Secondo la missione diplomatica russa a Bangui, le informazioni sull’accaduto provenivano inizialmente dalla gendarmeria locale e in seguito dall’amministrazione del presidente centrafricano.
Più nel dettaglio, alle ore 22 di domenica 29 luglio 2018 i tre si stavano dirigendo verso un avamposto militare di un battaglione dell’esercito centrafricano, dove alcuni cittadini russi lavoravano come istruttori militari. Gli atti della procura di Bangui specificano che i tre sono stati fermati da un gruppo composto da una decina di uomini armati usciti all’improvviso dalla boscaglia, un posto di blocco informale lungo la via del ritorno dalla città di Kaga Bandoro, dove aveano incontrato un consulente locale per organizzare delle riprese. In quel momento formalmente nessuno, nè l’ambasciata russa, né i consiglieri russi di Touadera, nè l’intelligence, era a conoscenza della loro presenza nel Paese. O, perlomeno, tutti hanno negato di saperlo: i loro corpi, crivellati di colpi, sono stati trovati il lunedì mattina all’interno dell’auto, ritrovamento avvenuto lungo la strada e per caso da alcuni militari centrafricani, solo qualche ora dopo. Secondo il loro autista, miracolosamente sopravvissuto e datosi alla fuga, i tre sono morti “sul colpo” quando i proiettili hanno cominciato a fischiare.
Marcelin Yoyo, vice-funzionario della sicurezza di stanza a Sibut, ha detto all’Associated Press che “sono stati rapinati da una decina di
In una prima nota del 31 luglio inviata all’agenzia stampa TASS, l’ambasciata russa di Bangui specificava di avere trovato su due dei cadaveri le tessere stampa del quotidiano Izvestia e, il 1 agosto, che i corpi erano stati trasferiti in un ospedale locale non meglio specificato. Izvestia ha sempre negato che i tre lavorassero per loro. Un collega dei tre, Alexey Konyakhin, intervistato dall’agenzia russa RIA Novosti il 1 agosto, fu il primo a sollevare dubbi sulla versione dell’autista: “Abbiamo preso l’autista dalla missione delle Nazioni Unite, il suo nome è nei database dei giornalisti francesi che lavorano lì” e proprio per questo i giornalisti russi credevano di essersi affidati a qualcuno di serio, salvo notare poi alcuni comportamenti “strani” che Konyakhin non ha mai specificato. Secondo l’agenzia russa TASS e le radio centrafricane, ovvero i media più ascoltati, diffusi ed autorevoli del Paese africano, ad uccidere i tre russi sarebbero stati militanti delle milizie musulmane Seleka: turbanti in testa, volti coperti e lingua araba, gli elementi ci sono tutti e sembrano chiari. Inequivocabili. Ma in Centrafrica non tutto è ciò che sembra e a ben guardare la versione ufficiale è molto fragile: Orhan Dzhemal era musulmano, islamista e figlio di un ben più noto islamista e parlava (oltre al russo, all’inglese e al francese) anche l’arabo. E poi, perché crivellare a colpi di mitragliatrice le vittime, i loro beni e la loro auto se l’azione è a scopo di rapina?
Secondo la ricostruzione della Reuters del 31 luglio 2018 i tre russi stavano indagando sulle attività del “cosiddetto gruppo Wagner”, organizzazione semi-sconosciuta (all’epoca c’erano dubbi persino sulla reale esistenza del gruppo Wagner) di appaltatori militari privati. All’epoca, gli uomini di Wagner avevano già effettuato missioni di combattimento clandestine per conto del Cremlino in Ucraina orientale, in Siria e, dalla fine del 2017, anche in Sudan. Ufficialmente non esistevano, grazie alla copertura di fatto da parte dello Stato russo, che ha sempre liquidato ogni domanda sui mercenari ricordando che in Russia è illegale costituire società di sicurezza private e che, comunque, “non rispondono ai nostri ordini”.
Nella tarda mattinata del 4 agosto 2018 un Tupolev militare decollato da Bangui prima dell’alba atterrava all’aeroporto di Parigi. A bordo c’erano le salme dei tre giornalisti. Nella notte tra il 4 e il 5 agosto 2018 è atterrato a Mosca.
Il 15 gennaio 2021 Yevgeny Prigozhin ha proposto al Ministero della Cultura della Repubblica Centrafricana di realizzare un monumento in memoria dei giornalisti russi e di metterlo nel luogo in cui sono stati ritrovati i loro corpi. L’obiettivo di questo monumento è “rafforzare i legami amichevoli tra la Federazione Russa e la Repubblica Centrafricana” e farlo diventare “un simbolo della vittoria dei centrafricani nella lotta a lungo termine contro i banditi”. Prigozhin ha promesso di coprire i costi di produzione e installazione del manufatto.
Il 20 gennaio 2022 l’agenzia stampa russa Ria Novosti ha pubblicato un’intervista al nuovo ambasciatore russo nella Repubblica Centrafricana, Alexander Bikantov, che fino al mese prima era portavoce ufficiale del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov). Bikantov ha fornito una nuova versione dei fatti: ha detto che i tre si erano mossi senza alcun dispositivo di sicurezza, in orario notturno, lungo una strada considerata poco sicura e che, insomma, un po’ se l’erano andata a cercare. Ha identificato gli aggressori come il gruppo 3R (Retour, Réclamation et Réhabilitation), un gruppo ribelle che opera nella parte nordoccidentale della Repubblica Centrafricana ma che non è esattamente un gruppo musulmano. Una versione che, di fatto, sconfessa in toto tutte le precedenti circa l’identità degli aggressori. Secondo Bikantov la milizia 3R, nel dicembre 2020 in coalizione con altre milizie, ha attaccato al capitale centrafricana, Bangui, ed è stata respinta grazie agli istruttori russi.
Oggi a Bangui c’è il Monumento della protezione civile, una statua che raffigura due mercenari russi e due soldati centrafricani che proteggono, armi in pugno, una donna che abbraccia i suoi bambini. Il monumento ai Wagner si trova di fronte all’Università di Bangui, lungo il viale dei Martiri, a pochi passi dallo stadio Berthelemy Boganda, dove ogni settimana si proietta gratuitamente Turiste, action movie di propaganda prodotto da Wagner che racconta di come i russi hanno respinto l’assalto a Bangui.
La statua è stata inaugurata nel 2021.
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