Il nuovo mondo
Quanto valgono i migranti del mondo? Questa domanda sembra una boutade, una provocazione, un vezzo. Ma guardando la realtà, guardando i numeri, non è nulla di tutto ciò.
La rivalità tra Francia e Regno Unito non si è mai sopita e il caso moderno del Camerun è emblematico.
L’Africa è da decenni “il continente del futuro” ma, da decenni, subisce una narrazione eurocentrica che non rende onore alla realtà del continente africano.
La rivalità tra Francia e Inghilterra è antica di secoli. Per lungo tempo questa si è sviluppata, con le armi, in terra europea: il sangue dei francesi e degli inglesi è stato versato sul suolo del vecchio continente copiosamente e, negli ultimi mille anni di storia, sono milioni gli europei che hanno dato la vita in questo conflitto senza fine.
Con la creazione dell’Alleanza Atlantica, delle Nazioni Unite e degli organismi internazionali che caratterizzano l’Era moderna ci si è illusi di porre fine ai conflitti in terra europea, e questo fortunatamente è avvenuto portando a far convivere chi, fino a qualche decennio prima, voleva annientarsi a vicenda. In realtà la rivalità tra Francia e Regno Unito non si è mai sopita e il caso moderno del Camerun è emblematico.
Molte delle tensioni che si sono registrate nel corso degli ultimi decenni in Africa derivano in genere da dispute basate su differenze etniche o religiose tra le popolazioni: il colonialismo bianco in terra africana infatti ha spartito il territorio tracciando, come in Medio Oriente, linee dritte e compassate, linee che spesso hanno spaccato a metà comunità, tribù e famiglie intere, costringendo le persone a identificarsi con vicini che fino al giorno prima erano rivali.
Questo è vero per tutto il continente africano tranne che per una nazione, il Camerun: colonia tedesca dal 1884 fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, col Trattato di Versailles nel 1919 il Paese fu spartito tra Gran Bretagna e Francia. Durante il conflitto mondiale, che vedeva in Africa uno scenario importante e attingeva dall’Africa forze fresche da mandare in trincea, le truppe francesi e belghe occuparono Buéa, allora la capitale del Camerun tedesco, il 27 settembre 1914: per quasi due anni le truppe tedesco-africane opposero loro resistenza, capitolando infine nel febbraio 1916. Alla fine della guerra la Francia ottenne la zona più grande del territorio tedesco in Africa occidentale, circa tre-quarti, chiamandolo Camerun francese, mentre il Regno Unito ottenne il restante quarto e lo divise in British Southern Cameroon e British Northern Cameroon.
Mentre il Camerun francese veniva integrato nel sistema economico in vigore a Parigi, cosa che migliorò le infrastrutture e le condizioni generali di vita della popolazione con investimenti importanti, integrando lavoro qualificato e lavoro forzato, la porzione inglese, confinante a nord con la Nigeria, fu trascurata da Londra. I nativi lamentavano di essere visti dalla Corona britannica come «colonia di una colonia» e in effetti era proprio così. Di fatto tra il Camerun francese e quello inglese vi erano disparità economiche e culturali notevoli e questo, con l’indipendenza ottenuta da Parigi il 1 gennaio 1960, ha creato problemi irrisolvibili alla neonata Repubblica del Camerun.
Sulla scia della lotta per l’indipendenza della parte camerunese francofona il Camerun britannico si trovò di fronte tre opzioni: creare una nazione indipendente, annettersi alla Nigeria o annettersi alla neonata Repubblica camerunese. Nemmeno il tempo di dibatterne internamente nel rudimentale sistema governativo locale che, in un atto di post-colonialismo decisamente forzato, nel febbraio 1961 le Nazioni Unite organizzarono un referendum con sole due opzioni per i camerunesi britannici: Nigeria o Repubblica del Camerun. Questo spaccò a metà la popolazione locale: al nord scelsero la via nigeriana mentre al sud quella camerunese, creando così il 1 ottobre 1961 la Repubblica Federale del Camerun.
La Repubblica rimase un Paese diviso su base coloniale: per decenni sia la parte angolofona che la parte francofona mantennero i rispettivi sistemi politici e governativi e mentre la popolazione francofona celebrava la natura bilingue della nuova nazione le zone rurali anglofone restavano marginalizzate. Paul Biya, presidente dal 1982, è stato accusato dalla popolazione anglofona di essere indifferente nei loro confronti: come nota Quartz i documenti ufficiali del governo sono scritti e pubblicati in francese e tradotti in inglese solo su richiesta e lo stesso vale per gli esami scolastici e nei concorsi pubblici, cosa che chiaramente è a totale discapito della popolazione anglofona. «L’Armonizzazione» linguistica del Camerun di Paul Biya è in realtà un retaggio coloniale drammatico e discriminante per una minoranza di cittadini camerunesi.
Nel novembre del 2016 centinaia di avvocati ed insegnanti delle zone anglofone del Camerun si sono messe in sciopero per protestare contro l’imposizione della lingua francese nei tribunali e nelle scuole di quei territori. Un atto di ribellione vero e proprio che oggi rischia di spaccare in due il cuore dell’Africa: nonostante una repressione durissima, con diversi morti in diverse occasioni, gli scioperi si sono prolungati e diffusi a macchia d’olio in tutto il nord-ovest del Camerun e i manifestanti hanno assunto sempre più i connotati da separatisti, arrivando a rivendicare la sovranità politica dell’Ambazonia, 3 milioni di abitanti, proclamandone l’indipendenza il 1 ottobre 2017.
Non si tratta della prossima crisi africana, questa in Camerun è una crisi che è stata taciuta per troppo tempo: addentrandosi nei rivoli delle due lingue europee parlate nel paese infatti si osserva con drammatica chiarezza come la divisione tra anglofoni e francofoni sia anzitutto una ferita intra-etnica che lacera l’unità tribale. Un aspetto che complica enormemente la soluzione al problema.
I Sawa, ad esempio, sono di maggioranza anglofona nella città di Buéa ma a Douala, il più grande agglomerato urbano del Camerun appena 70km a sud-est, gli stessi parlano francese. Questo, considerando anche la disparità in termini di trattamenti economici (il presidente Biya investe enormi capitali nelle regioni del Sud, da dove proviene, ma trascura le regioni anglofone del nord e del sud-ovest) e di semplice considerazione culturale, è il carburante che ha dato fuoco alla crisi in Camerun. Le zone anglofone, come sempre quando si osservano i contesti di grave disparità socio-culturale, sono rappresentate politicamente da burattini senza fili come Philemon Yang, primo ministro imbrigliato dal potere del presidente, del Senato e dell’assemblea nazionale, tutti francofoni.
Il retaggio linguistico post-coloniale, che implicherebbe maggior preoccupazione da parte degli ex-coloni Francia e Gran Bretagna, messo in mano ad un dittatore come Paul Biya ha dato il via ad una crisi che è tutta figlia dell’oscuro passato «bianco» del Paese. L’arresto nel gennaio scorso del leader indipendentista Ayuk Tabe in Nigeria, dove si trovava in esilio, è già uno sconfinamento della crisi su altri territori e considerando che questo è per il Camerun anche anno di elezioni presidenziali è sottile il confine tra ingerenza e amicizia.
Nel frattempo è, come sempre, la popolazione a pagare le spese: sono 55.000 i profughi che dalle zona anglofone del Camerun sono fuggite in territorio nigeriano, una cifra che è in continuo aumento. Il manifesto, in questo pezzo, ha perfettamente descritto quelli che sono i dettagli militari dello scontro: la militanza infatti si trasformata in sconforto col passare dei mesi ed ha preso piede una sorta di guerriglia che assume sempre più i connotati di guerra civile. Scuole bruciate, città morte, violenze e scorribande da un lato e l’indisponibilità politica al dialogo dall’altro, perché Biya sa bene che dovrebbe assumersi impegni concreti ed evita pertanto ogni tipo di dichiarazione e di dialogo con gli insorti.
L’Africa è da decenni “il continente del futuro” ma, da decenni, subisce una narrazione eurocentrica che non rende onore alla realtà del continente africano.
Quanto valgono i migranti del mondo? Questa domanda sembra una boutade, una provocazione, un vezzo. Ma guardando la realtà, guardando i numeri, non è nulla di tutto ciò.
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