Cacao amarissimo
I futures ai livelli più alti, la difficoltà di pagare dignitosamente la produzione e l’emergenza climatica, sono le tre bombe a orologeria che stanno esplodendo nel mercato del cacao.
Tra il 2022 e il 2023 è in corso una guerra per rendere il cacao veramente sostenibile: cioccolato o morte.
L’Africa è da decenni “il continente del futuro” ma, da decenni, subisce una narrazione eurocentrica che non rende onore alla realtà del continente africano.
Nel 2022 è in atto una guerra globale del cacao, che vede contrapposti i produttori ghanesi e ivoriani (i quali rappresentano circa il 65% della produzione mondiale di cacao) e le multinazionali della trasformazione e del commercio della cioccolata. Il raccolto 2022 è ancora invenduto, immagazzinato nei container e nei porti africani in attesa che le multinazionali sblocchino i pagamenti sul Differenziale di reddito (DRD), un premio in denaro pari a 400 dollari per ogni tonnellata di fagioli di cacao raccolta, da pagare direttamente agli agricoltori per integrarne il reddito da lavoro, promuovere pratiche di sostenibilità agricola, garantire la sostenibilità economica della catena di valore del cacao. Questa guerra, che ha tutte le caratteristiche di una rivoluzione (i sindacati che si sollevano, il boicottaggio in stile Boston Tea Party, il sostegno delle comunità locali) continuerà per almeno altri quattro mesi e nessuno, per il momento, può prevederne l’esito.
Tutto è iniziato con l’ultima raccolta delle cabosse, le bacche che contengono i fagioli di cacao e che somigliano a dei meloni verdastri: il prezzo del cacao è aumentato del 10% negli ultimi dodici mesi ed è di 900 franchi al chilo (1,37 euro). Ogni anno, secondo il ministero dell’Agricoltura ivoriano, la sola Costa d’Avorio produce circa 2,2 milioni di tonnellate di fave di cacao, il 45% della produzione mondiale, il 14% del PIL del Paese. Grazie a questa esportazione il 24% della popolazione ivoriana può tirare a campare ma molte famiglie contadine vivono ancora oggi, o meglio sopravvivono, con meno di un dollaro al giorno. Ogni tonnellata di cacao viene quindi pagata al produttore circa 1.370 euro, una cifra che non copre in realtà i costi delle produzione, della raccolta e del lavoro degli agricoltori, che tramite trattative durate anni e condotte dai sindacati di categoria e dai governi locali sono riusciti ad ottenere la promessa del pagamento di un premio di produzione di 400 dollari a tonnellata (il Differenziale di reddito, appunto) da parte delle grandi multinazionali del cacao.
Tale promessa è violata per anni e il 2022 è stato quello della rottura: i due più grandi produttori mondiali di cacao, Ghana e Costa d’Avorio, hanno disertato l’incontro del 26 e 27 ottobre a Bruxelles della World Cocoa Foundation (WCF), un’organizzazione senza scopo di lucro che associa 100 aziende multinazionali, tra le quali vi sono i principali fornitori, produttori e rivenditori di cioccolato del mondo. Ne fanno parte marchi come Nestlé, Hershey Company, Mars, Barry Callebaut, Cargill e Starbucks, solo per citarne alcuni, che insieme fanno l’80% del mercato globale del cioccolato. Il suo quartier generale è a Washington, ma la WCF ha anche due sedi in Africa: una ad Accra, capitale del Ghana, e una ad Abidjan, capitale della Costa d’Avorio, paesi che che insieme rappresentano il 65% della produzione mondiale di cacao ma i cui agricoltori guadagnano meno del 6% del totale dei profitti di questa industria globale, che secondo Fairtrade International ammontano a 135 miliardi di dollari l’anno, mentre secondo l’Organizzazione Internazionale del Cacao (ICCO) “superano i 100 miliardi di dollari” e si ripartiscono prevalentemente “tra una decina di aziende”.
Negli anni Settanta i coltivatori di cacao guadagnavano fino al 50% del valore di ogni tavoletta venduta in negozio, cifra scesa al 16% negli anni Ottanta, fino allo scarno 6% di oggi. Un’andamento che mette a rischio la stessa industria della produzione del cacao, che paradossalmente deve essere sovvenzionata anche dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI), dall’Unione Europea e dal governo svizzero, i quali a novembre 2022 fa hanno annunciato la mobilitazione di 450 milioni di euro per sostenere la strategia ivoriana volta a rafforzare la sostenibilità della catena di valore del cacao. Una goccia nel mare.
Parte del nostro uovo di Pasqua, parte della tavoletta che abbiamo in dispensa, parte della barretta commerciale che sorride dallo scaffale vicino alla cassa del supermercato è sovvenzionata pubblicamente perché chi la produce non distribuisce gli utili e non paga i premi di produzione. I produttori africani di cacao avevano dato un ultimatum alle multinazionali: il pagamento DRD ai coltivatori entro il 20 novembre 2022.
Esattamente come per il caffè, la gomma, le terre rare e i minerali, anche il cacao vive e sopravvive all’interno di un paradosso, che in realtà è diventato uno status quo, nel quale i produttori non vengono adeguatamente retribuiti mentre le grandi aziende aumentano di anno in anno i profitti. L’Europa promette da tempo di aggiornare ed attuare nuove leggi per rafforzare, tramite il mercato europeo, la sostenibilità dalla speculazione ma la realtà delle cose tra chi raccoglie le fave di cacao, in Ghana e Costa d’Avorio, è di miseria e difficoltà.
La Commissione Europea ha proposto diverse leggi volte a vietare, nel caso di lavoro forzato, l’importazione e l’uso di prodotti legati ad abusi ambientali e dei diritti umani. Lo stesso che avviene anche per altre commodity, come le terre rare e, come per le altre commodity, la realtà sul campo è molto diversa: le promesse dell’industria cioccolatiera mondiale coincidono, non a caso, con la decisione di Ghana e Costa d’Avorio di creare un’organizzazione del cacao in stile OPEC, al fine di coalizzare i paesi produttori e avere più voce in capitolo circa l’aumento dei prezzi alla produzione.
Secondo Business Wire l’industria globale del cioccolato crescerà dai 137,6 miliardi di dollari del 2019 a 182 miliardi di dollari nel 2025 ma negli anni l’industria globale del cioccolato non si è mai mostrata incline a dare ciò che prometteva: l’introduzione nel 2019 del Differenziale di reddito spinse gli acquirenti di cacao a ridurre i premi di qualità pagati ai produttori, azzerando l’impatto del premio che, pagato con fondi ghanesi e ivoriani, non è servito ad altro che a far risparmiare altri soldi alle multinazionali del cacao.
Le multinazionali spiegano che i programmi di sostenibilità in atto sono parte del Differenziale ma in realtà questi sono una condizione essenziale all’esportazione del cacao verso i paesi trasformatori. Questo duello va avanti da anni e sembra essere senza fine: secondo i produttori di cacao ghanesi e ivoriani, in cima all’elenco dei motivi che portano i paesi produttori al boicottaggio del WCF c’è il rifiuto delle multinazionali e delle aziende di cioccolato di pagare il giusto prezzo per le fave di cacao.
La Piattaforma Ivoriana per il Cacao Sostenibile (CCS) e la Piattaforma del Cacao della Società Civile del Ghana (COCOBOD), in un comunicato congiunto nel quale si congratulano con la decisione e per il coraggio dei governi dei due paesi africani, parlano espressamente di “boicottaggio”: “Riteniamo che sia giunto il momento che il mondo riconosca la politica del doppio standard delle multinazionali del cacao e del cioccolato, in particolare per quanto riguarda la fissazione dei prezzi del cacao e il deterioramento delle condizioni di vita dei coltivatori a causa dei loro interessi egoistici che perseguono la massimizzazione del profitto senza alcun desiderio di distribuire i profitti lungo la catena del valore”.
In realtà le grandi multinazionali del cacao investono ogni anno centinaia di milioni di dollari in questo senso: Cadbury, la seconda azienda al mondo produttrice di dolciumi, ha annunciato da poco che da qui al 2030 investirà altri 600 milioni di dollari nell’approvvigionamento sostenibile del cacao, sia per contrastare la povertà che i processi di deforestazione, e quantifica in un miliardo di dollari la cifra che spenderà tra il 2012 e il 2030. Soldi che sembrano solo una grande operazione di greenwashing: secondo il World Economic Forum i coltivatori di cacao in Ghana hanno un reddito medio di circa 1 euro al giorno, mentre le loro controparti in Costa d’Avorio guadagnano solo 0,78 euro al giorno, cifre ben al di sotto della soglia di povertà estrema, stabilita a 2,15 euro al giorno dalla Banca Mondiale. È comune alle aziende di cioccolato e ai commercianti di cacao il sottolineare i vantaggi dei propri programmi di sostenibilità, che mirano ad aiutare direttamente le comunità locali, ad esempio attraverso l’offerta di formazione e scuole. Un sistema che, in realtà, non sta funzionando se non in senso negativo.
Lunedì 31 ottobre 2022, dopo il boicottaggio, si è aperto un tavolo di dialogo, proseguito il 3 novembre, tra i rappresentanti dei produttori africani, il produttore di cioccolato Mondelez e gli esportatori Cargill, Olam, Ecom Trading, Cemoi, Touton, Barry Callebaut, ETG e Sucden. In questa sede, i produttori hanno espresso grandi preoccupazioni per il mancato rispetto degli impegni presi per il pagamento del DRD ma i lavori non hanno riscosso molto successo tra le multinazionali e così Ghana e Costa d’Avorio hanno dato l’ultimatum: o si risolve entro il 20 novembre o le fave di cacao non partono più. Una situazione potenzialmente esplosiva: la minaccia dei produttori era che dopo tale data avrebbero agito per porre fine ai programmi di cacao sostenibile (cosa che farebbe levitare i prezzi delle fave sul mercato) oltre vietare l’accesso alle piantagioni, con la conseguenza di rendere impossibile la stima del raccolto e, quindi, stabilire il prezzo alle aste.
I programmi di sostenibilità del cacao sono orientati a combattere la deforestazione e il lavoro minorile e consentono ai produttori di affermare che il loro cioccolato è prodotto in modo sostenibile, un criterio spesso favorito dai consumatori. Tuttavia, i bassi guadagni dei contadini costringono molte famiglie a impiegare anche lavoratori minorenni, che è il punto sul quale invece insistono le multinazionali con un discorso dal sapore di whitesaviourism e che suona tipo “abbiamo ideato un meccanismo che ha ridotto il lavoro minorile del 35% in tre anni e facciamo progressi ogni anno per cercare di aumentare i prezzi di produzione: fatevi andare bene questo”.
Uno stallo alla messicana complicato, risoltosi con la riapertura di un tavolo di trattative. Tutto è rimandato alla fine del primo trimestre 2023, quando il gruppo dovrà trovare un accordo sul DRD: discussioni che proseguono in un contesto di forte inflazione, al 40% in Ghana.
Nel frattempo, nei campi e nei porti ghanesi e ivoriani, la tensione è sempre più alta e l’impazienza monta ogni giorno di più: la maggior parte del raccolto del 2022 è ancora stoccata nei magazzini e la questione, ha detto il primo ministro ivoriano Patrick Achi, riguarda il “vero business”, quello della trasformazione: attualmente solo un quarto del cacao prodotto in Costa d’Avorio viene lavorato localmente.
Come finirà questa guerra è difficile da immaginare. I ghanesi hanno già fatto sapere che, senza un accordo sul Differenziale, possono permettersi di gettare tutto il raccolto in mare, perché tanto la vendita non sarebbe sostenibile per chi l’ha prodotto.
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