Cacao amaro
Tra il 2022 e il 2023 è in corso una guerra per rendere il cacao veramente sostenibile: cioccolato o morte.
Le start-up africane si sono riprese dal calo indotto dalla pandemia di coronavirus nel 2020.
L’Africa è da decenni “il continente del futuro” ma, da decenni, subisce una narrazione eurocentrica che non rende onore alla realtà del continente africano.
Le start-up africane hanno raccolto la cifra record di 3,5 miliardi di dollari di investimenti in capitale di rischio nella prima metà del 2022, in controtendenza al calo globale di questo tipo di accordi legati alle turbolenze economiche mondiali.
Tale cifra, raccolta da 300 diverse società in poco più di 440 operazioni, rappresenta una crescita del 133% rispetto allo stesso periodo del 2021. Se il tasso di crescita semestrale dovesse persistere fino a dicembre, il 2022 sarà un nuovo anno record per la quantità di investimenti in capitale di rischio raccolti dalle start-up africane: 7 miliardi di dollari, un nuovo record dopo il precedente di 5,2 miliardi dell’anno scorso. Secondo la società di consulenza strategica McKinsey&Co il fatturato delle società africane di tecnologia finanziaria (fintech) dovrebbe raggiungere i 30,3 miliardi di dollari entro il 2025, otto volte di più rispetto al 2020 (quando era pari a 3,8 miliardi di dollari), grazie in particolare al miglioramento dell’accesso a internet e al basso tasso bancario nel continente.
È il settore finanziario a dominare lo spazio delle startup africane nella prima metà del 2022, con il 44% del valore totale dell’operazione: la piattaforma di pagamento sudafricana Mfs Africa, la società solare M-Kopa (operante in Kenya, Uganda e Nigeria) e la società di e-commerce Wasoko, entrambe con sede in Kenya, la seconda con attività in mezza Africa, sono quelle che hanno ottenuto i finanziamenti più consistenti, assicurandosi un totale finanziato compreso tra 75 e 125 milioni di dollari. Il numero di start-up in Africa è triplicato tra il 2020 e il 2021, raggiungendo circa 5.200 start-up: quasi il 50% di queste operano nel settore fintech e servono il settore dei servizi finanziari con le loro soluzioni innovative.
Questi nuovi attori finanziari hanno già fatto breccia nel mercato, con ricavi stimati in quasi 4 miliardi di dollari nel 2020.
Le start-up africane si sono riprese dal calo indotto dalla pandemia di coronavirus nel 2020, con un aumento di quasi cinque volte degli investimenti in capitale di rischio nel 2021. È vero: ad oggi l’Africa attira ancora una frazione minima dei volumi di finanziamento destinati ai mercati più sviluppati, ma è anche vero che il settore delle start-up in Africa cresce con un ritmo che è impensabile per il resto del mondo: dopo aver raggiunto livelli record lo scorso anno, il finanziamento del capitale di rischio si è contratto nel secondo trimestre di quest’anno, con America Latina, Europa e nord America tra le realtà più colpite dall’esodo di investitori. Al contrario, i finanziamenti di capitale di rischio in Africa sono aumentati durante il secondo trimestre: il tasso di crescita è stato ridotto di oltre la metà, al 78%, da un aumento del primo trimestre del 171%. Nel complesso, questi finanziamenti sono l’1% dei finanziamenti globali di venture capitalist nel mondo ma gli analisti sostengono che gli straordinari risultati africani raccontino qualcosa di più di una bolla in fase di espansione: la profondità delle opportunità di investimento e il potenziale che l’Africa ha da offrire. Se a livello globale i finanziamenti di venture capital sono diminuiti del 3% in Africa questi sono cresciuti del 133% e non è solo per una questione di percezione delle opportunità di investimento ma anche per un’accresciuta credibilità degli ambienti politici in cui investire. Negli ultimi anni infatti i governi e i parlamenti africani più progressisti hanno aumentato gli sforzi per garantire più trasparenza, meno corruzione e per creare zone economiche in cui investire era conveniente, il tutto sostenuto da una demografia molto favorevole (l’età media in Africa è 22 anni, in alcuni Paesi scende fino a 19 anni, in Europa 44 e tendente al rialzo), da una classe media in grande espansione e da un progressivo aumento dei livelli generali di istruzione. A Zanzibar il governo sta creando la Silicon Zanzibar, una zona in cui investire e aprire una società nel settore tecnologico permette di ricevere incentivi fiscali e ottenere requisiti più accessibili per i visti di lavoro. Lo stesso sta facendo lo Zambia, che punta a diventare “la Singapore d’Africa”. Società come le fintech nigeriane Flutterwave (uno dei primi “unicorni” nell’universo startupparo africano) Chipper Cash e Kuda Bank vantano già milioni di utenti/clienti.
Sono dati che gli analisti di questo genere di mercato definiscono “impressionanti”: “Questa crescita impressionante nel finanziamento delle start-up, che va contro le tendenze globali di quest’anno, dimostra la profondità delle opportunità e il potenziale che il continente ha da offrire” si legge in un report dell’African Private Equity And Venture Capital Association (AVCA), un gruppo industriale che promuove gli investimenti privati nel continente africano e che elabora ogni anno questo genere di dati. Certo, non è tutto oro ciò che luccica e sul piatto della bilancia vanno messe diverse variabili: secondo The Big Deal, una newsletter che si occupa di finanziamenti e start-up africane, il terzo trimestre del 2022 ha visto ridursi i fondi di venture capitalist verso l’Africa del 53%, dopo sei trimestri consecutivi di crescita e dopo tre trimestri consecutivi in cui si è superata la cifra di 1 miliardo di dollari, ma è anche vero che l’aumento dell’attività delle start-up potrebbe compensare, almeno in parte, questo calo.
L’esplosione del settore fintech in Africa non è una novità: nel 2007 in Kenya nacque M-Pesa, tra i primi servizi di al mondo di trasferimento di denaro tra utenti dei servizi di telefonia mobile. È utile fare una comparazione con il servizio più simile che abbiamo in Italia per dare la misura del livello di innovazione e della capacità di adattamento degli utenti. La popolazione del Kenya è di circa 55 milioni di abitanti, quella italiana di 59 milioni: a marzo 2020 Satispay, nata nel 2013, ha raggiunto la cifra record di 1 milione di utenti attivi. M-Pesa, che funziona sulla rete mobile Safaricom (affiliata a Vodafone) ne conta 30 milioni solo in Kenya. Girare con i contanti in tasca può essere pericoloso in alcune zone della regione e lo sviluppo di una soluzione fintech va incontro proprio a questa esigenza. E non solo: scambiarsi denaro con M-Pesa è gratuito (si paga la ricarica del telefono o l’abbonamento per l’uso dei dati), sicuro, immediato e anche chi non dispone di uno smartphone può inviare e ricevere denaro perché il servizio funziona anche come semplice money transfer, con commissioni tuttavia inferiori. Negli ultimi anni la diaspora keniota in Europa ha cominciato ad utilizzare M-Pesa anche per l’invio delle rimesse, abbattendo di molto i costi relativi alle commissioni per l’invio di denaro tramite i classici money transfer. Solo cinque anni fa M-Pesa contava 25 milioni di clienti, la metà di quelli attuali, ma la pandemia ha aumentato molto l’uso di questo servizio (+44% di transazioni in due anni) da parte degli utenti africani. M-Pesa è un servizio che negli anni si è rivelato essenziale per l’inclusione degli utenti nella finanza formale: in Kenya, i servizi e i prodotti finanziari sono aumentati del 56% dal lancio di M-Pesa e alla piattaforma è stato anche attribuito il merito di aver aiutato il 2% delle famiglie keniane ad uscire dalla povertà estrema.
L’ascesa del fintech si ritiene sia stata alimentata, negli ultimi anni, soprattutto dall’aumento del tasso di penetrazione degli smartphone, dal calo del prezzo della connessione internet, dall’elevata percentuale di giovani nella popolazione generale e dall’aumento dell’urbanizzazione sul continente. E questo potrebbe essere solo l’inizio: nei prossimi anni infatti restano da esplorare importanti fonti di crescita, soprattutto perché si prevede che il fatturato complessivo del settore dei servizi finanziari in Africa aumenterà da 150 miliardi di dollari nel 2020 a 230 miliardi nel 2025. Mancano meno di tre anni a quel momento.
Il successo di aziende come la nigeriana Paystack, acquisita nel 2020 dalla società di pagamenti statunitense Stripe, o il collega unicorno fintech Flutterwave, ha alimentato l’interesse internazionale per le imprese emergenti del continente, anche perché non sempre i sistemi di diritto africani vanno a tutelare cose a noi molto care, come la privacy e i dati degli utenti: una deregulation sostanziale che rende il continente molto attrattivo per chi investe in questi settori.
Certo, bisogna osservare con molta attenzione i flussi: l’80% dei capitali investiti nel continente nelle start-up finiscono in Nigeria e Kenya (dati 2020 di Forbes) e, in generale, sono i paesi anglofoni a mostrare più vivacità e capacità di cavalcare l’entusiasmo fintech e startupparo. Tuttavia il 40% della popolazione africana parla il francese, contando solo per il 19% del PIL di tutto il continente. Lo squilibrio è evidente nei numeri.
Uscendo dal settore fintech, che è quello più sorprendente se pensiamo all’immaginario generale che noi europei abbiamo dell’Africa, il mondo delle start-up africane è molto più ampio: quest’anno il contest di Startup Africa Roadtrip e Cariplo Factory, organizzato tra Torino e Milano, ha visto la vittoria dell’ugandese Kimuli Fashionability, che produce abiti sostenibili impiegando materie plastiche di scarto e richiedeva appena 60.000 dollari ai potenziali investitori: 15 negozi in Africa, un paio in Europa e una ricerca spasmodica di partner e reseller. Altra start-up che ha partecipato al contest italiano è Her Health, produttore ugandese di test diagnostici femminili a basso costo, che chiedeva ed ha raccolto 150.000 euro: “Le famiglie non possono permettersi gli esami e spesso si arriva a una diagnosi solo quando è troppo tardi” ha detto a Wired Margareth Nanyombi, fondatrice della start-up.
Il settore della salute è quello che era più ai margini ma anche che, negli ultimi due anni, sta diventando sempre più mainstream per gli investitori: Yemaachi Biotech, società ghanese di ricerca sul cancro, ha ottenuto nel primo semestre 2022 3 milioni di dollari mentre il produttore panafricano di farmaci generici Africure ne ha ottenuti 15.
L’Africa è da decenni “il continente del futuro” ma, da decenni, subisce una narrazione eurocentrica che non rende onore alla realtà del continente africano.
Tra il 2022 e il 2023 è in corso una guerra per rendere il cacao veramente sostenibile: cioccolato o morte.
La rivalità tra Francia e Regno Unito non si è mai sopita e il caso moderno del Camerun è emblematico.
Quanto valgono i migranti del mondo? Questa domanda sembra una boutade, una provocazione, un vezzo. Ma guardando la realtà, guardando i numeri, non è nulla di tutto ciò.
Verso la metà di aprile sui social network più in voga in Marocco è partita una campagna volta a promuovere un boicottaggio di alcuni prodotti di larghissimo consumo come il carburante dei distributori Afriquia, le acque minerali Sidi Ali e i latticini di Centrale Danone.
Dal 3 luglio 2018 il sindaco della capitale della Tunisia è, per la prima volta, una donna. E questo è un fatto assolutamente rivoluzionario: si chiama Souad Abderrahim, ha 53 anni ed è a capo di un’azienda farmaceutica.
Secondo la filosofia Ubuntu, un’etica filosofica antica dell’Africa sub-sahariana, «io sono perché tu sei»: in lingua bantu ubuntu significa «benevolenza verso l’altro» e descrive in una parola una regola di vita basata sul rispetto e sulla compassione, nel senso più classico del «patire con».
L’industria del tabacco è in mano a un vero e proprio – e perfettamente legale – cartello e questa non è per niente una notizia: più o meno è sempre stato così.
La prima volta che un kékeh ti tradisce è una vera delusione.
Du Bois è stato di fatto un precursore, uno dei pionieri del Rinascimento Africano.
Con il senno di poi è possibile affermare che gli schiavisti non deportavano semplice forza lavoro, deportavano conoscenza. Antico saper fare.
Le start-up africane si sono riprese dal calo indotto dalla pandemia di coronavirus nel 2020.
Tra il 2022 e il 2023 è in corso una guerra per rendere il cacao veramente sostenibile: cioccolato o morte.
I futures ai livelli più alti, la difficoltà di pagare dignitosamente la produzione e l’emergenza climatica, sono le tre bombe a orologeria che stanno esplodendo nel mercato del cacao.
Questo episodio potrà sembrare merce per appassionati ma, in realtà, tratta di politica. Quella molto spiccola.
In Africa, la cannabis fu introdotta all’inizio del XVI secolo dall’Asia meridionale e, da allora, la sua cultura si è diffusa in tutte le sottoregioni.
Il Piano Mattei è una mezza paginetta molto vaga con cinque aree tematiche di intervento nei prossimi anni.
La crisi del debito africano può vanificare ogni sforzo per la transizione energetica globale.