ForestaMI è una bellissima idea che si sta arenando
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Chi soffre di problemi respiratori come asma o allergie stagionali potrebbe aver notato un peggioramento dei sintomi negli ultimi anni. Non è un caso, ma c’entra anche il riscaldamento globale.
I cambiamenti climatici stanno impattando il pianeta in tantissimi ambiti e tra questi, come indicano sempre più studi, c’è anche la qualità del nostro respiro.
Dall’allungamento della stagione dei pollini, all’aumento di aridità e di eventi meteorologici estremi, diversi fattori di rischio legati al riscaldamento globale stanno rendendo alcune patologie respiratorie sempre più frequenti e più severe.
Un primo effetto è aggravare i problemi legati alle allergie ai pollini, come attacchi di rinite o asma bronchiale allergico.
«Le variazioni climatiche sono indotte in gran parte dall’aumento in atmosfera dell’anidride carbonica, che non agisce direttamente sulle vie aeree, però riscaldando il pianeta fa aumentare la produzione di erbe allergeniche» spiega a Slow News il professor Gennaro D’Amato, allergologo, pneumologo e direttore per 30 anni della Divisione di Malattie Respiratorie e Allergiche dell’ospedale Cardarelli di Napoli.
«C’è così un inizio più precoce della sintomatologia allergica, sia in primavera che in autunno, e uno spostamento anche oltre i limiti usuali della pollinazione, quindi una maggiore intensità della sintomatologia» continua il professore, che ha dedicato molte pubblicazioni al rapporto tra cambiamenti climatici e patologie respiratorie.
Le tipiche allergie stagionali alle graminacee o alla parietaria diventano quindi più lunghe e intense.
Il cambiamento climatico rende anche più frequenti gli eventi meteorologici estremi, come le piogge che hanno di recente devastato Valencia o Bologna, che a loro volta incidono sul rischio di un fenomeno meno noto ma molto pericoloso per chi è allergico ai pollini: l’asma da temporale.
Nota come thunderstorm asthma in letteratura scientifica, l’asma da temporale è stata osservata per la prima volta nell’area mediterranea proprio dal professor D’Amato. «Abbiamo dimostrato che la pioggia porta giù il polline delle erbacce, che a livello di strada si imbibisce dell’acqua del temporale e scoppia. Queste cellule scoppiando liberano il loro contenuto interno citoplasmatico ricco di allergeni, che vanno a costituire un aerosol allergenico in atmosfera» spiega l’allergologo.
In pratica, la pioggia forte rompe il polline in particelle così piccole che penetrano molto in profondità le vie aeree, causando crisi violente anche in soggetti allergici che normalmente non soffrono d’asma.
Il caso più noto e grave è avvenuto a Melbourne nel 2016, quando una violenta tempesta in un periodo di forte pollinazione causò oltre 9000 ricoveri e 10 decessi per asma da temporale. «Alcuni dei soggetti deceduti erano giovani e soffrivano solo di rinite, non avevano asma» racconta D’Amato.
Al contrario di quanto si crede quindi, l’inizio di piogge intense non lava l’aria dai pollini ma, soprattutto nei primi venti-trenta minuti, aumenta il rischio di crisi allergiche. «Un soggetto allergico al polline è bene che abbia sempre in tasca i farmaci per difendersi se all’improvviso insorge un temporale mentre si trova per strada» conclude l’allergologo.
Infine, piogge intense e alluvioni stimolano anche la proliferazione di muffe, anch’esse causa di allergie. Per esempio l’alternaria, una muffa comune che forma macchie scure sulle pareti o nei pomodori, è molto aggressiva per le vie aeree e può indurre attacchi asmatici anche gravi.
Oltre a modificare le allergie stagionali, i cambiamenti climatici influiscono anche nel lungo periodo sull’incidenza e la mortalità dell’asma.
L’asma, scrive l’Istituto Superiore di Sanità, è una malattia cronica complessa, nella quale giocano un ruolo sia fattori genetici che ambientali. Tra questi, come suggeriscono recenti ricerche, c’è anche l’aridità.
Uno studio di fine 2023 su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature, ha individuato una correlazione tra le oscillazioni periodiche dell’aridità e l’incidenza dell’asma in Italia. Lo studio, condotto da un team multidisciplinare di ricercatori del CNR e medici di sette università italiane, ha confrontato i dati di 60 anni di incidenza dell’asma in Italia (1957-2006), su un campione di oltre 36 mila individui, con due indici: il Palmer Drought Severity Index (PDSI), che calcola la quantità di umidità nel terreno, e la Summer North Atlantic Oscillation (S-NAO), che misura la differenza di pressione tra le Azzorre e l’Islanda e come questa influenza il clima di Nord Atlantico e Europa.
Di seguito, i dati sull’asma e l’aridità (indice di Palmer) analizzati dallo studio.
«Per mettere a confronto un indice sanitario con un indice climatico, applichiamo un’analisi di segnale, cioè scomponiamo un segnale grezzo originale in funzioni d’onda, e a quel punto le confrontiamo. Questo tipo di analisi tipicamente utilizzata per lo studio del clima e del paleoclima, aiuta ad eliminare il rumore di fondo» spiega il dottor Sergio Bonomo, geologo del Cnr-Igag, l’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria, e primo autore dello studio.
Cosa è emerso?
«Ogni sei anni i tassi di aridità in Italia aumentano, contemporaneamente i tassi di incidenza di asma hanno un aumento quasi perfettamente sincrono» riassume Bonomo.
Più in dettaglio, a periodi estremamente lunghi e intensi di aridità, indicati da bassi valori di PDSI e S-NAO, corrispondono aumenti di incidenza dell’asma, secondo uno schema di fluttuazioni che si ripete con periodicità media di sei anni.
Allo stesso modo, un precedente studio negli Stati Uniti, pubblicato sempre su Scientific Reports da Bonomo, aveva trovato una correlazione tra le oscillazioni dell’aridità e i tassi di mortalità per asma, con una periodicità in questo caso di 44 anni. A partire dal 1980, anno in cui la crescita delle temperature globali è diventata più evidente, l’indice NAO e la mortalità per asma si sono deformati secondo uno schema comune.
I due studi hanno indagato questa correlazione poiché è noto che terreni più secchi, fornendo più particolato in atmosfera attraverso i venti, peggiorano la qualità dell’aria, uno dei fattori di rischio che incide sull’asma. «Quel che non si sapeva è che la periodicità tra aridità e vari indici dell’asma, incidenza e mortalità, corrisponde perfettamente» spiega Bonomo.
Ulteriori ricerche sul tema sarebbero importanti, sottolinea il geologo, ma sono complicate in Italia data la difficoltà di reperire dati sanitari, come quelli sui tassi di mortalità per asma. Gli stessi dati dell’incidenza dell’asma usati nello studio del 2023 si fermano al 2006, quando il monitoraggio del progetto GEIRD si è interrotto.
In ogni caso, i due studi già mostrano che l’aridità e l’asma vanno di pari passo e seguono il ritmo del riscaldamento globale. È l’ennesimo di tantissimi profili attraverso cui osservare la crisi climatica.
Fonti per approfondire:
In copertina: il climate stripes chart della progressione dell’aridità in Italia tra il 1957 e il 2019
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