Il bosone di Higgs delle neuroscienze
Amanda Feilding, il Lorenzo il Magnifico del Rinascimento psichedelico
Da controcultura a scienza.
Non più droghe ma farmaci: l’evoluzione degli psichedelici tra cultura di massa e scienza.
Nei vent’anni in cui le istanze psichedeliche andavano forgiando le controculture (e i generi musicali), la ricerca scientifica entrava in una fase dormiente che durò esattamente dal 1976 – l’anno in cui si interruppero i trial del già citato Maryland Psychiatric Research Center di Spring Grove – al 1988, quando, sorprendentemente, nella Svizzera di Albert Hofmann, l’Ufficio federale di sanità pubblica autorizzò lo psichiatra Peter Gasser a condurre dei trial con l’LSD, consentendogli perfino di utilizzarlo per alcune terapie nel suo studio privato.
Gasser intendeva sviluppare un trattamento che in qualche modo ricordava i tentativi di Roquet. Non stabiliva infatti a priori un numero di assunzioni né l’entità delle stesse (oscillando tra le basse ma frequenti dell’approccio psicolitico, e la sola dose molto intensa di quello psichedelico), calibrando il dosaggio in relazione alle specificità del singolo.
Benché i risultati ottenuti da Gasser si rivelarono ancora una volta particolarmente promettenti (circa il 90% dei suoi pazienti riferì di aver esperito cambiamenti esistenziali, mentre il 60 per cento dichiarò addirittura di aver provato un’estasi mistica in grado di modificare il rapporto col senso dell’esistenza), il permesso a condurre ricerche di questo tipo venne ritirato dalle autorità elvetiche nel 1993. Il nuovo stop era destinato a durare a lungo, fino al 2006, quando in seguito a un appello rivolto da Gasser alle autorità sanitarie di vari paesi europei a Basilea, in occasione delle celebrazioni del centenario di Albert Hofmann, venne prima concesso a un suo collaboratore il permesso di testare l’MDMA per curare le persone afflitte da stress post-traumatico e poi, l’anno successivo, gli fu consentito nuovamente di sperimentare gli effetti dell’LSD, stavolta sui malati terminali. Per condurre questo tipo di ricerca Gasser dovette partire da zero, siccome i risultati di moltissimi studi fatti almeno vent’anni prima erano ormai viziati da difetti metodologici che li rendevano inutilizzabili secondo i parametri contemporanei.
Così lo psichiatra formò un gruppo diviso in due, in cui mettere a confronto l’effetto dell’acido lisergico con quello di un placebo, e somministrando le sostanze in doppio cieco. I risultati vennero quindi valutati secondo i questionari della European Organization for Research and Treatment of Cancer, l’organizzazione più autorevole a livello continentale circa la valutazione dei trattamenti e la qualità della vita nei malati oncologici. I dati, raccolti finalmente in modo scientificamente inattaccabile, non lasciarono dubbi: i pazienti ottenevano un importante aiuto nel trattamento dell’ansia e nessun significativo effetto collaterale.
Evidenze sovrapponibili a quelle di Gasser arrivarono pochi anni dopo grazie al lavoro dello psichiatra Charles Grob, che stavolta negli Stati Uniti, precisamente alla Johns Hopkins School of Medicine di Baltimora, riuscì nel 2010 a effettuare un test analogo, stavolta a base di psilocibina. L’80% dei partecipanti ai trial di Grob testimonia di godere di un beneficio riscontrabile anche a sei mesi di distanza dal trattamento, mentre quasi il 70% sostiene che l’esperienza sia stata tra le cinque più significative della sua intera esistenza, anche a livello spirituale.
Il lavoro di Charles Grob svolse un’importante funzione di apripista per la ripresa della ricerca sugli psichedelici negli Stati Uniti, ferma ormai da quarant’anni. Fu infatti seguito da studi analoghi condotti da Stephen Ross e Roland Griffiths, rispettivamente alla Langone School of Medicine di New York e, ancora una volta, alla Johns Hopkins di Baltimora. In entrambi questi trial la psilocibina si sarebbe rivelata estremamente efficace per il trattamento dell’ansia nei malati terminali di cancro. La nouvelle vague degli studi statunitensi fece molto più che confermare, grazie all’uso di parametri finalmente credibili dal punto di vista scientifico, quanto ormai era noto da più di mezzo secolo. Tutte queste ricerche spinsero non per caso nel 2016 l’élite della psichiatria mondiale a dichiararsi a favore della ripresa delle sperimentazioni sulle sostanze psichedeliche per mezzo di dieci editoriali apparsi contemporaneamente sul «Journal of Psychopharmacology», una delle più influenti riviste di settore: un gesto senza precedenti e destinato a lasciare il segno.
A stretto giro sarebbero infatti arrivate nuove ricerche, stavolta non limitate al trattamento dei malati terminali. La prima, di Michael Bogenschutz e Stephen Ross, giunta a una seconda ampia fase di sperimentazione, ha testato la psilocibina per contrastare la dipendenza da alcol. Uno studio analogo del 2012, condotto da Teri Krebs e Pål-Ørjan Johansen, che testava l’LSD per il trattamento della stessa dipendenza, ha ottenuto – nei 500 alcolisti coinvolti nel trial – risultati straordinari se confrontati con quelli dei farmaci normalmente in uso, tanto più che nel caso dell’acido lisergico è sufficiente un’unica dose.
Il già citato Roland Griffiths nel frattempo ha analizzato gli effetti della psilocibina per contrastare la dipendenza dal tabacco, su quindici volontari che fumavano una media di un pacchetto al giorno e con alle spalle almeno sei tentativi di smettere. Anche in questo caso i risultati si sono mostrati eccezionali, sebbene la ricerca sia in una fase pilota: dodici dei quindici volontari entro sei mesi avevano smesso di fumare; a dodici mesi di distanza la percentuale era calata al 60% – circa il doppio rispetto ai più efficaci metodi normalmente utilizzati per analoghi trattamenti.
Un altro dei campi terapeutici in cui gli psichedelici si sono mostrati efficaci è quello riguardante la cura della cefalea a grappolo, una forma particolarmente resistente e dolorosa, conosciuta anche come «cefalea da suicidio». In questo caso la storia parte da lontano, esattamente dalla Scozia del 1993, in cui un ragazzo sofferente di questa rara patologia (una forma non trattabile con nessuno dei farmaci oggi in uso), assume a scopo ricreazionale l’LSD in due circostanze, per poi vedere sparire la cefalea nei mesi successivi. Continua le assunzioni fino a interromperle nel 1997 – col risultato di veder ricomparire il forte mal di testa. Il giovane condivide la sua esperienza su Internet, dove viene letta da Bob Wold, un signore che in quel momento soffriva di cefalea a grappolo da ben trentasette anni. Wold assume dosi di LSD circa quattro volte inferiori a quelle utilizzate dal ragazzo scozzese, e si sente meglio, addirittura come non ricordava più ci si potesse sentire. Deciso a non procurarsi le sostanze illegalmente, nel 2002 Wold fonda ClusterBuster, un’organizzazione no profit che intende promuovere la ricerca in tal senso. La notizia giunge alle orecchie di John Halpern, uno psichiatra di Harvard che prova a capire come aiutare Wold, il che però al momento è impossibile negli Stati Uniti, essendo ancora l’LSD inserito nella Tabella 1. Halpern allora suggerisce a Wold di sperimentare una sostanza sintetizzata diversi anni prima da Albert Hofmann, il 2-bromo-LSD 48, o BOL-48, un derivato dell’acido lisergico che non essendo vietato avrebbe potuto fare al caso suo.
Era tuttavia più prudente tentare di sperimentare la cura in Germania, dove i malati resistenti a ogni trattamento possono provare a curarsi con qualunque sostanza. Una volta ad Hannover Wold incontra lo psichiatra Torsten Passie e i test che effettua risultano incoraggianti, in quanto il BOL-48 riesce a ottenere un effetto apprezzabile, senza indurre alcuna distorsione sensoriale. La strada per ottenere un farmaco efficace per la cura della cefalea a grappolo è ancora lunga, ma a quindici anni di distanza il lavoro di ClusterBuster sembra aver dato dei frutti: è infatti finalmente partito un trial per testare lo studio della psilocibina per il trattamento di soggetti affetti da cefalea a grappolo, mentre nel frattempo è nata la Entheogen Corporation, una compagnia fondata da Passie e Halpern con lo scopo di curare la stessa malattia proprio col BOL-48. I risultati di entrambi i gruppi di ricerca paiono incoraggianti: i pazienti trattati con la psilocibina guariscono nel 75% dei casi dopo una sola assunzione, mentre quelli che testano il BOL-48 ottengono lo stesso risultato con due o tre assunzioni.
I lavori di ricerca di Gasser, Grob, Ross, Griffiths e di altri loro colleghi hanno contribuito a preparare il terreno, dar vita e quindi autorevolezza alla rinnovata attenzione per le proprietà delle molecole psicotrope, dando di fatto il la a quello che oggi chiamiamo Rinascimento psichedelico. Oltre al loro contributo è importante segnalare quello di Rick Doblin, che si avvicinò alla ricerca sugli psichedelici analizzando i risultati del famoso «Miracolo del Venerdì Santo», il trial condotto da Leary, Alpert e Pahnke in occasione della sua tesi di dottorato. Nel 1986, inoltre, Doblin – che oggi è probabilmente il massimo esperto mondiale di politiche delle sostanze psicoattive, nonché docente di Harvard – aveva fondato la MAPS, un organismo capace di riunire gli studi di oltre 500 associazioni e che si occupa di vagliare scientificamente tutte le ricerche disponibili sulle sostanze psichedeliche.
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