Ep. 7

Ripley il replicante: l’adattamento, il conformismo, la sfida al capitale

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Dalle nostre serie Serie Giornalistiche
Resoconti terrestri

Diario di un autore contemporaneo perso tra le variabili del nostro tempo

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

Ripley è tutto messinscena

È pura messinscena il personaggio, replicante e ingannatore, è tutta incentrata sulla messinscena la mini-serie, con il suo bianco e nero che è un abito elegante ma sordido, unto, bagnato e luccicante (questi dettagli di luce caravaggesca che scaturisce dalle parti buie dell’anima sì perversa ma indubbiamente brillante), e con una cura maniacale dell’ambiente sonoro, perché è da ciò che lo circonda che Ripley trae forza, è la sua velocità di processare l’ambiente, di replica di quello che sente e ascolta, di adattamento al flusso della storia che gli permette di andare avanti nel suo progetto robotico di distruggere il mondo che ha intorno, dove distruggere è gesto di appropriazione.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Noir #2 - Immagine creata con AI generative

Divisiva?

Divisiva: tanti l’hanno trovata lenta, io amo la sua lentezza; tanti hanno criticato la chiave con cui si risolve il plot e questi piani d’ascolto dei personaggi secondari sempre insospettiti ma mai davvero fino in fondo, ma io ci passo volentieri sopra (anche se ho fatto difficoltà con quell’unica espressione che indossa Dakota Fanning per tutta la serie) e anzi mi è venuta voglia di leggere almeno il primo romanzo della serie di Patricia Highsmith (non ci pensai allora vedendo distrattamente, confesso, il film di Minghella e non ho visto gli altri, numerosi, adattamenti); in molti scrivono che Andrew Scott oscilla tra l’overacting e la monofaccia, io penso che invece il suo Ripley sia volutamente al confine con l’androide, perché Ripley è un robot assassino con le sembianze umane, è una macchina per riscrivere l’umanità, e ti divorerà, e questo robot è stato pensato progettato realizzato chiaramente dall’uomo stesso, e ho tuttalpiù trovato fastidiosa l’attitudine da cortometraggio di fine anno della scuola di cinema degli attori italiani che intervengono qua e là, anche se Margherita Buy e Maurizio Lombardi impartiscono lezioni di come si smonta il gioco tutto americano delle battute secche e rapide, e sarebbe bastato guardare loro per imparare come si fa a recitare l’italiano in una serie straniera, ma questa roba – l’abbiamo detto – la sa fare bene solo Ripley, per cui amen.

 

Per me un gran prodotto, soprattutto in questi tempi di magra serialità (o magrezza seriale), in cui lo show runner e regista Steven Zaillian (che per curriculum può essere associato credo solo a Sergio Mattarella) dopo il molto ben fatto The Night Of del 2016 invoca tutto il suo amore per il cinema e ci regala, al prezzo appena di un abbonamento a Netflix, anche dei titoli di coda (insieme a Jeff Russo, un altro che ha firmato musiche strepitose, tra tutte le Fargo-serie) che sono una miscela molto interessante di field recording e OST classica, proprio a sottolineare il fatto che appunto Ripley alimenta la sua forza di replicante divorando l’ambiente che lo circonda e a cui si adatta con velocità et voracità.

 

Impossibile, poi, non citare The Servant, capolavoro del 1963 di Joseph Losey, che riecheggia costantemente nel rapporto tra il moro carnefice Tom Ripley e la sua bionda vittima Dickie Greenleaf interpretato da un bravissimo e spaesato (proprio apolide) Johnny Flynn. Tanta è la forza di questo bianco e nero di Zaillian.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Noir #3 - Immagine creata con AI generative

Cosa rimane di Ripley?

L’indagine sul male, sull’azione dell’essere che, spinto da un sistema economico ipercompetitivo, è disposto a tutto pur di indossare i panni del vincente, del ricco, dell’uomo del bel mondo, di essere in cima alla piramide, tra i pesci grossi e nobili e facoltosi che si pappano tutto, soldi arte città storia passato presente futuro masse umane terra mare cielo e spazio (mi vengono in mente i Bezos Zuckerberg Musk di questo nostro mondo reale, non chiedetemi perché [io lo so perché, chiedetevelo voi, perché]).

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Noir #4 - Immagine creata con AI generative

E quindi?

E quindi non si può non dare una lettura socioeconomica a questa serie, a questo prodotto (del capitale, certo, ma almeno velatamente critico, no?).

 

Perché Ripley è il mostro tra noi, in noi, che magari non ci spingiamo a fare quello che fa lui perché ci pensiamo buoni, ci reputiamo santi, perché abbiamo dei freni sociali e morali o temiamo la galera o ancora forse perché non saremmo e non siamo in grado di fare così bene quello che fa lui, ma che in fondo mettiamo in atto i suoi stessi comportamenti quasi su base quotidiana, e specialmente se siamo interessati a raggiungere un obiettivo, e meglio ancora se è economico: lecchini, subdoli, accondiscendenti, mostriamo la pancia come cani da salotto ai nostri padroni quando dobbiamo sottometterci per ricevere la paghetta o l’aumento o per prendere quel bel posticino lì (ah, quanti aperitivi con i colleghi potentati) ma poi quando sentiamo l’odore del sangue siamo i primi a tirare morsi e zampate (e quei colpi dritti alla testa, per spegnere l’essere, remi di puro legno e posacenere di puro vetro, che grande messa in scena, gli omicidi in Ripley, che grazia e spietatezza e ritorno al naturale), spinti dal consumo, dal tornaconto, dal conto in banca, appunto dal capitale.


Parla per te, mi si potrebbe dire. E confermo. Parlo per me.


A parlare per voi, ma proprio al posto vostro, c’è e ci sarà sempre Thomas Ripley.

Continua a seguirci
Slow News ti arriva anche via email, da leggere quando e come vuoi...
Iscriviti gratis e scegli quali newsletter vuoi ricevere!
Stai leggendo
Resoconti terrestri

Diario di un autore contemporaneo perso tra le variabili del nostro tempo

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Altri articoli Cultura