Cambiare la storia dell’umanità
Le sostanze come hanno contribuito a cambiare il mondo?
Non più droghe ma farmaci: l’evoluzione degli psichedelici tra cultura di massa e scienza.
All’inizio del precedente episodio, accennavo ai risultati inaspettati che l’iniziativa di Osmond e Hoffer di somministrare la psilocibina ad Huxley e Al Hubbard era destinata a produrre. Descritta la traiettoria intrapresa dallo scrittore è la volta di occuparci di quella di Al Hubbard. Nel suo caso l’esperienza psichedelica lo persuase che la missione della sua vita era quella di diffondere l’LSD. Un’idea, come vedremo, abbastanza tipica per i caratteri carismatici che entrano in contatto con queste sostanze. Inoltre, la biografia già picaresca di Al Hubbard è resa ancora più misteriosa dai sospetti di doppio gioco che pendevano sul suo capo: per qualcuno sarebbe infatti stato, almeno inizialmente, un agente infiltrato dei servizi segreti canadesi (quando non addirittura della CIA), che mentre con una mano forniva sostanze psicoattive ai centri di ricerca del Nord America, con l’altra prendeva nota dei progressi degli studi per conto dell’intelligence.
Negli anni ’50 e ’60 infatti la ricerca sui possibili impieghi medici di queste sostanze era già avanzata, e la CIA li osservava con attenzione nell’ambito del programma MK-Ultra, un progetto che, nelle parole di Richard Helms, un dirigente dei servizi segreti, aveva come obiettivo quello di «investigare lo sviluppo di un materiale chimico che causi uno stato mentale aberrante, reversibile e non tossico con la possibilità di screditare individui, ottenere informazioni e impiantare suggestioni e altre forme di controllo mentale». Il programma, all’epoca top secret, andò avanti dal 1953 al 1964, senza riuscire a raggiungere mai gli obiettivi sperati.
Tornando al nostro misterioso e influente faccendiere, dopo aver assunto una dose consistente di acido lisergico confidò a dei conoscenti di aver provato un’estasi mistica impareggiabile, condita di una ancestrale visione generatrice in grado di riportarlo a contemplare il momento del suo stesso concepimento: «Vidi me stesso come un minuscolo acaro, in una grande palude, con una scintilla d’intelligenza. Vidi mio padre e mia madre avere un rapporto», l’impressione fu così forte che si sentì chiamato a una alta missione.
Il compito che credeva essergli stato assegnato era quello di diffondere l’LSD, il suo cattolicesimo lo spinse in qualche modo a ritenersi una sorta di profeta. Grazie ai suoi agganci, che spaziavano dagli ambiti politici, a quelli medici e imprenditoriali, riuscì a farsi dare dalla Sandoz una quantità clamorosa di LSD (c’è chi parla di una bottiglia da un litro, altri la stimano in 6000 flaconi), che tra il 1951 e il 1966 usò per iniziare oltre seimila persone, con l’intenzione di cambiare la storia dell’umanità. Al Hubbard non sceglieva a caso i candidati adatti a testare la sostanza, era infatti fermamente persuaso che il sistema migliore per ottenere l’effetto sperato fosse un approccio top-down, e diffondeva così l’LSD tra politici, filosofi, artisti, imprenditori di successo, esponenti di spicco del mondo religioso, ingegneri e informatici.
Tra questi ultimi il successo degli psichedelici fu rapido e fruttuoso. Michael Pollan al riguardo raccoglie l’interessante testimonianza di Peter Schwartz – tra i creatori della Whole Earth Network (una compagnia che avrebbe avuto un ruolo di primo piano nella ridefinizione del PC come strumento non esclusivamente scientifico-militare ma come mezzo alla portata di tutti) – secondo cui «la risoluzione di problemi ingegneristici comporta sempre una complessità irriducibile. Sei costantemente impegnato a far quadrare variabili complesse che non sono mai esatte, e quindi sei alla disperata ricerca di modelli. L’LSD te li mostra». E ancora: «Non ho dubbi sul fatto che tutta quell’LSD di Hubbard, che tutti noi abbiamo preso, abbia avuto un grande impatto sulla nascita della Silicon Valley».
E l’LSD era destinato a non lasciarla più la Silicon Valley. È proprio lì, infatti, che si è diffusa negli ultimi anni la moda del microdosing come coadiuvante creativo per ottimizzare le prestazioni lavorative – un uso che per certi versi sembra in deciso contrasto con i forti dosaggi adatti all’abbattimento degli schemi mentali in voga negli anni ’50 e ’60.
Tra gli attivisti della prima ora, Hubbard fu quello che intuì per primo il ruolo centrale di set e setting nel contesto dell’esperienza psichedelica, ideò infatti uno spazio – di fatto usato ancora oggi dai terapeuti che trattano pazienti per mezzo di psichedelici – che non somigliava a un consueto studio psicoanalitico. La stanza in cui iniziava i nuovi adepti era infatti arredata con divani, quadri, tappeti e allestita per ricordare quanto più possibile un confortevole e invitante spazio domestico. Captain Trips, questo il soprannome che presto si guadagnò, percorreva in lungo e in largo gli Stati Uniti triangolando con il Canada, dove a Vancouver era riuscito a farsi lasciare una intera ala dall’Hollywood Hospital per trattare gli alcolisti con l’acido lisergico.
A Los Angeles i vip lo aspettavano con ansia, tra questi non mancava di accoglierlo Aldous Huxley, iniziato all’LSD (che agli occhi dello scrittore mise in ombra la precedente esperienza con la psilocibina) proprio da Hubbard. I due divennero amici, e condividevano l’idea che gli psichedelici avessero un potenziale troppo grande per restare confinati nell’ambito della psicoterapia, il loro destino era operare una rivoluzione culturale. Li ritenevano insomma una sorta di chiave cangiante (e appena forgiata, ancora tiepida) in grado di spalancare un portale salvifico per il futuro dell’umanità, ed entrambi concordavano col principio di un approccio dall’alto in basso per la loro diffusione, temendo (forse a ragione) il disordine che avrebbe potuto comportare un sistema più democratico, che di lì a poco avrebbe messo in atto Timothy Leary.
Leary era psicologo e professore ad Harvard, e quando provò per la prima volta una sostanza psichedelica, nel suo caso la psilocibina, la ricerca e le prospettive sullo studio e sul potenziale di queste molecole erano estremamente favorevoli. Il suo primo trip avvenne al bordo di una piscina, in Messico, nel 1960. In Flashbacks, l’autobiografia che pubblicò nel 1983, ricordò l’episodio con queste parole: «A Cuernavaca, in quattro ore vicino alla piscina appresi su mente, cervello e strutture cerebrali più di quanto avessi imparato nei precedenti quindici anni come psicologo scrupoloso». E ancora: «Imparai che il cervello è un biocomputer sottoutilizzato… che la coscienza normale è una goccia in un oceano di intelligenza. Che coscienza e intelligenza possono essere sistematicamente espanse. Che il cervello può essere riprogrammato». Cinque anni dopo l’estasi lungo il bordo di quella piscina messicana, il clima intorno alle sostanze psichedeliche divenne estremamente cupo.
Col suo entusiasmo Leary riuscì in pochi mesi a contagiare il collega Richard Alpert, e nell’autunno del 1961 i due avviarono all’Università di Harvard un corso per specializzandi con un titolo e un approccio che oggi ci farebbero sgranare gli occhi (ma che costituiscono una ulteriore testimonianza circa il clima tollerante che c’era ancora nel 1961): «Espansione sperimentale della coscienza».
Un insegnamento presentato così:
La parte sperimentale del corso prevedeva l’assunzione di psilocibina – l’unica precauzione pretesa dall’ateneo fu quella di limitarne la somministrazione ai soli specializzandi, evitando di darla a studenti non laureati. Alla prima seduta universitaria (e collettiva) parteciparono, in un contesto accogliente, 28 volontari – tra cui gli stessi Leary e Alpert, che assumevano la sostanza insieme agli studenti (procedura che screditò sin da subito la loro obiettività agli occhi della comunità scientifica). In breve i professori di Harvard si trovarono tra le mani 167 esperienze dirette di persone a cui la psilocibina avrebbe “fortemente migliorato l’esistenza” nel 95 per cento dei casi (secondo il loro modo di raccogliere le testimonianze, non certo inattaccabile). Per i due, cui piaceva presentarsi come pionieri intenti a mappare in solitaria un territorio vergine – dimenticando il precedente decennio di lavoro e ricerca avvenuto in Canada, California e Inghilterra, lontano da riflettori e polemiche – era arrivato il momento di puntare più in alto: nasceva così l’Harvard Psilocybin Project.
Il nuovo programma sarebbe stato promotore di una serie di iniziative, tra cui figuravano due tra gli studi più memorabili condotti con la psilocibina: il primo è l’esperimento noto come «del Venerdì Santo» (o anche «Miracolo della Marsh Chapel») – un test condotto sotto la supervisione dello psichiatra e docente di teologia Walter Pahnke che intendeva sperimentare gli effetti della psilocibina su un gruppo di seminaristi: l’idea era quella di verificare se la molecola fosse in grado di innescare, in persone che si supponevano predisposte alla fede, una forte esperienza mistica. Per ottenere questo effetto, appena i ragazzi iniziarono a mostrare i primi sintomi dell’azione della psilocibina, furono portati ad assistere alla rappresentazione della Passione di Cristo, la celebrazione del Venerdì Santo. L’esperimento andò a buon fine, e in questo caso Leary e Alpert si sforzarono di registrare i dati nel modo più corretto possibile perché fossero presi in considerazione dal consesso scientifico (utilizzando dei controlli in doppio cieco, per esempio). Sebbene le evidenze raccolte non siano soddisfacenti secondo i parametri odierni, l’idea di fondo di quell’esperimento è considerata valida ancor oggi, tanto che un trial analogo è stato eseguito alla Johns Hopkins nel 2006.
L’altro celebre test messo a punto dall’Harvard Psilocybin Project in quegli anni fu quello svolto presso i carcerati prossimi alla fine del loro periodo di detenzione nella prigione di Concord. Il tasso di ritorno alla criminalità dei detenuti cui era stata somministrata della psilocibina era incredibilmente più basso della media, peccato che le rilevazioni operate da Leary falsassero i risultati in modo piuttosto imbarazzante: i dati delle recidive erano calcolati a tre mesi sui partecipanti al progetto, e a dodici sugli altri. Pur se basati a volte su buone intuizioni, giudicandoli dal punto di vista della prassi scientifica, i risultati dell’Harvard Psilocybin Project sono da considerarsi deludenti (quando non del tutto invalidi). In ogni caso dobbiamo a Timothy Leary e al suo modo di condurre le sedute terapeutiche in contesti accoglienti, a lume di candela, con musica soffusa (simili a quelle realizzate da Al Hubbard) la formalizzazione dei concetti di set e di setting, utilissima ancor oggi in ambito psichedelico, vale la pena citarla per esteso: «Il set indica la preparazione dell’individuo, inclusa la struttura della sua personalità e il suo umore in quel momento. Il setting è il contesto – il tempo meteorologico, l’atmosfera nella stanza; sociale – i reciproci sentimenti delle persone presenti; e culturale – le opinioni prevalenti su ciò che è reale».
Di lì a poco tempo fu sempre più chiaro, per primo allo stesso Leary, che ciò che lo interessava davvero non era sviluppare nuove tecniche nel campo della psicoterapia, quanto piuttosto portare il suo messaggio di libertà al mondo intero. Uno degli incontri che probabilmente lo spinsero con forza in questa direzione fu quello col poeta Allen Ginsberg, cui Leary fece provare per la prima volta il principio attivo dei funghi magici nel dicembre del 1960. Ginsberg, esaltato dall’esperienza, già durante il suo primo trip avrebbe voluto lanciare il suo messaggio d’amore all’intera nazione uscendo di casa nudo. Non appena Leary riuscì a convincerlo che non era il caso, Ginsberg tentò di telefonare a diversi capi di stato, con l’intenzione di persuaderli a mettere da parte ogni tipo di tensione internazionale. In realtà riuscì a contattare solo il suo amico Jack Kerouac, cui si annunciò così: «qui è D-I-O che parla».
Il proposito di Leary a questo punto era quello di farsi profeta della psichedelia, intimamente persuaso che una diffusione capillare della psilocibina e dell’LSD sarebbero state in grado di cambiare il corso della storia del genere umano. Al riguardo aveva anche fatto alcuni calcoli, a suo avviso se entro il 1969 quattro milioni di statunitensi avessero provato intense esperienze psichedeliche, si sarebbe raggiunto il quoziente di massa critica necessario per invertire la rotta della storia del Novecento. Bisogna considerare che la storia stava davvero prendendo una piega imprevista, e forse anche per questo la reazione dell’establishment statunitense fu così dura. Del resto i suoi calcoli non erano poi così campati in aria, si stima infatti che entro la fine degli anni ’60 furono circa due milioni gli statunitensi ad aver fatto esperienze con queste sostanze.
Le prime polemiche legate all’Harvard Psilocybin Project cominciarono ad arrivare sui giornali nel 1962, quando la rivista universitaria denunciò il fatto che attorno ai due professori si stesse creando una sorta di culto, generando un ambiente discriminatorio all’interno della facoltà in cui si tenevano i loro corsi, nella quale gli studenti che non sperimentavano la psilocibina venivano definiti «fossili». In breve tempo questa notizia arrivò sul «Boston Herald», con un titolo dal forte impatto: Hallucination Drug Fought at Harvard – 350 Students Take Pills. Non ci volle molto perché la polemica divampasse, e naturalmente saltò fuori un ragazzo, Ronnie Winston, che dichiarò di aver preso le droghe durante i corsi di Leary e Alpert pur non essendo ancora laureato (per completezza c’è da dire che il giovane disse anche che quella fu «l’esperienza più istruttiva che mi sia capitata a Harvard»). Presto Alpert venne accusato di diffondere LSD e psilocibina agli studenti e licenziato dall’Ateneo, mentre a Leary – più in vista del collega – l’università si sarebbe limitata a smettere di pagare lo stipendio, per non rinnovargli il contratto l’anno successivo.
Lo scandalo delle droghe «spacciate» dai docenti all’università aveva ormai raggiunto tutti i giornali statunitensi, che cominciarono presto a martellare a suon di titoli allarmistici, e per lo più infondati: «Morte di un insegnante attribuita al consumo di LSD», «Bambina di cinque anni ingerisce LSD e impazzisce», «Giovane assaggia LSD e si getta da un viadotto», «Droga da brivido – distorce la mente e uccide», «California: consumo di LSD a livelli quasi epidemici», «Sei studenti accecati dal sole durante un trip con LSD», «Un mostro in mezzo a noi: una droga che si chiama LSD», «Non sempre il trip con l’LSD prevede un ritorno». E oltretutto Leary non faceva che rincarare la dose, rilasciando interviste piene di frasi che a quel punto risultavano apertamente provocatorie: da «l’LSD è più spaventosa della bomba», a «i ragazzi che prendono l’LSD non andranno a combattere le vostre guerre.
Dalla nostra prospettiva storica il tutto appare decisamente eccessivo, ma Timothy Leary in quel frangente aveva raggiunto una popolarità notevolissima, per rendersene conto basti considerare che l’arresto fece naufragare la sua candidatura a governatore della California, in vista della quale avrebbe dovuto correre contro Ronald Reagan e – soprattutto – a sostegno della quale i Beatles avevano iniziato a scrivere il testo di quella che poi sarebbe stata Come Together (la canzone venne pubblicata solo tre anni dopo, nell’album Abbey Road).
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