Perché abbiamo bisogno di un reddito di base universale e incondizionato
Analisi di un provvedimento che in tanti considerano un’utopia, ma che potrebbe essere una soluzione
La povertà in Italia riguarda sempre più persone e forse non si può sconfiggere, ma di sicuro si può contrastare
Il problema di essere poveri non è essere ignoranti. Non è essere stupidi. È essere poveri.
Non puoi prenderti una pausa dalla povertà: è una condizione che, verosimilmente, ti porterai appresso finché vivi. Abbiamo un bel dire che oggi ci sono mezzi alla portata di tutti, che è solo questione di buona volontà: se la tua preoccupazione dev’essere mettere insieme il pranzo con la cena, ammesso che tu possa concederti il lusso di due pasti completi al giorno, tutti i giorni della tua vita, difficilmente avrai il tempo di occuparti anche della tua crescita personale. Della tua formazione. In alcuni casi potresti non avere tempo o risorse per occuparti della tua salute.
In altre parole, il problema di una persona povera non è che quella persona è ignorante. O stupida. O incapace. Il suo problema è che è povera.
«Con questa legge di bilancio, avremo abolito la povertà». Questa frase è stata realmente pronunciata da un noto politico italiano, nonché Ministro della Repubblica, alla fine del 2018. Il proclama è stato ospitato da un notissimo programma televisivo, un talk show, che va in onda sul primo canale del servizio pubblico della RAI. Un arcinoto critico televisivo aveva definito, a suo tempo, quello stesso programma «la Terza Camera dello Stato».
La frase del politico è diventata oggetto del consueto meccanismo-tritacarne in cui un’affermazione forte viene ripresa dai giornali, criticata dagli avversari politici, fatta oggetto di ironia con la creazione di meme (e simili) che circolano sui social e alimentano il meccanismo.
Eppure, sconfiggere (non abolire) la povertà è il primo obiettivo dell’Agenda 2030.
Di quale povertà parlava il politico italiano? Di quale povertà parla l’Agenda 2030? Ma, più in generale, di cosa parliamo quando parliamo di povertà? La domanda è tutt’altro che peregrina: povertà è un concetto ampio, variegato che non è sempre esistito così come lo concepiamo oggi.
Majid Rahnem «Tutto sommato», scriveva, «fino alla Rivoluzione industriale, si poteva vivere dignitosamente con le poche cose disponibili grazie a un’economia di sussistenza ancora produttiva per la famiglia e per la comunità. Questo spiega perché la povertà è stata, per citare il filosofo francese Pierre-Joseph Proudhon, “la naturale condizione dell’uomo nella civiltà”».
«Più ci si addentra nel complesso universo della povertà, meglio si intuisce il pericolo di usare questo termine in modo sommario, astratto e anti-storico. Appare così evidente che la povertà è una nozione troppo estesa, troppo ambigua, troppo relativa, troppo generale, troppo contestuale e culturalmente connotata, perché sia possibile definirla su un piano universale».
Eppure da qualche parte bisogna iniziare per comprendere il fenomeno oggi. E così, per esempio, sempre Rahnema precisa che esiste una forma moderna di povertà, dove «i “bisogni” percepiti dall’individuo sono sistematicamente prodotti da un’economia la cui prosperità dipende dall’incremento costante del numero dei suoi consumatori. Allo stesso tempo, quell’economia non può, per definizione, fornire ai nuovi arrivati gli strumenti necessari a soddisfare le loro nuove necessità di consumo».
L’Agenda 2030, essendo un documento che contiene indicatori e parametri per vincolare in qualche modo gli Stati ai propri impegni, cerca di utilizzare i dati e di definire parametri numerici. Il primo target dell’obiettivo “Sconfiggere la povertà” definiva la soglia di povertà assoluta o estrema nel 2015, così:
1.1 Entro il 2030, eliminare la povertà estrema per tutte le persone in tutto il mondo, attualmente misurata come persone che vivono con meno di $1,25 al giorno
Se stai leggendo questo pezzo, è molto probabile che tu – esattamente come me, che l’ho scritto – non abbia la più pallida idea di cosa significhi davvero vivere con meno di uno virgola venticinque dollari al giorno (al cambio, poco più di 1 euro; per l’attualizzazione del cambio clicca qui).
Poi, però, anche l’Agenda 2030 si spostava dai parametri numerici a quelli qualitativi, riconoscendo che la povertà ha diversi aspetti e richiede anche una definizione locale.
1.2 Entro il 2030, ridurre almeno della metà la percentuale di uomini, donne e bambini di ogni età che vivono in povertà in tutte le sue dimensioni in base alle definizioni nazionali.
In Italia, per esempio, esiste un calcolatore di povertà assoluta messo a punto dall’ISTAT: l’ho usato per fare un test sulla mia famiglia, un nucleo composto da due genitori e due figli fra i 3 e i 10 anni che vive in un comune con meno di 50mila abitanti nel Nord Italia. Per noi quattro la soglia di povertà assoluta è una capacità di spesa pari a 1.535,25 euro al mese.
L’ISTAT, con una serie di dati ricostruiti dal 2005 al 2013, ci dice che nel 2019 il 6,4% delle famiglie italiane è in una condizione di povertà assoluta. Vuol dire quasi 1 milione e settecentomila famiglie, pari a 4,6 milioni di persone.
Mentre guardi questi grafici ricordati che lì, dentro a quei puntini e a quelle linee che salgono e che scendono, ci sono persone. Che in quella dicitura, “famiglie in povertà assoluta”, ci sono persone sole o nuclei famigliari da 5 o più persone, con soglie di povertà estremamente diverse fra loro (se usi il calcolatore per fare esperimenti, per esempio, scoprirai che la soglia di povertà di una famiglia come la mia varia fra i 1222,75 euro di un comune sotto i 50mila abitanti del Mezzogiorno e i 1678,30 di una città del Nord Italia.
Come se non bastasse, le persone più colpite dal fenomeno della povertà sono i minorenni.
Se poi volessimo osservare i dati sulla povertà relativa (calcolata cioè sulla capacità di spesa media della popolazione residente), parleremmo, allora, di 8,8 milioni di persone. (1)
Come se non bastasse, i poveri sono sempre più poveri: significa che anche se i loro redditi aumentano, aumentano comunque meno di quelli delle altre persone.
Mentre leggi questi numeri pensa anche che l’Italia, secondo la Banca Mondiale, è l’ottava economia del mondo.
Fare questo tipo di ragionamenti ci serve per inquadrare il fenomeno della povertà in tutta la sua complessità, senza fermarci alle dichiarazioni riduzioniste o acchiappa-consensi.
In apertura di intenti di questa grossa sezione di Slow News che abbiamo chiamato “Il mondo nuovo“, abbiamo scritto che l’emergenza pandemica ha causato un’accelerazione dei problemi del mondo di prima. Non è una dichiarazione apodittica buttata lì: ci sono già i dati a dimostrarlo.
Il Covid-19, per esempio, ha decisamente rallentato la lotta alla povertà. E un documento previsionale della Banca Mondiale ipotizza diversi scenari con un incremento dei nuovi poveri fra i 70 e i 100 milioni di persone. Cioè, 70-100 milioni di persone in più si ritroveranno sotto la soglia di povertà assoluta (che nel frattempo è stata spostata a 1,99$ al giorno).
Anche in Italia, nel suo rapporto sulla povertà e sull’esclusione sociale, la Caritas prevede peggioramenti: «Si intravede l’ipotesi di una nuova fase di “normalizzazione” della povertà, come accaduto dopo il 2008. A fare la
differenza, tuttavia, rispetto a dodici anni fa è il punto dal quale partiamo: nell’Italia del pre-pandemia (2019) il numero di poveri assoluti è più che doppio rispetto al 2007, alla vigilia del crollo Lehman Brothers. L’orizzonte di povertà per il prossimo futuro appare quindi segnato da previsioni altamente pessimistiche se non si introdurranno importanti correttivi in grado di invertire tali tendenze».
Chiara Agostini è una ricercatrice di Percorsi di secondo welfare. L’ho intervistata per parlare di misure di contrasto alla povertà per il mondo che verrà, ma soprattutto per avere le idee un po’ più chiare sia da un punto di vista terminologico, sia da un punto di vista di reali possibilità di utilizzare strumenti concreti per contrastare la povertà.
Partiamo dalle definizioni che possiamo trarre dalla conversazione con Agostini.
Reddito di Base (o Reddito Universale): è un trasferimento pubblico in denaro erogato a cittadine e cittadini, durante l’intero corso della vita, a prescindere da quello che fanno o da quello che sono le persone, dalle risorse detenute, dallo status lavorativo e da altre condizioni comportamentali. È un trasferimento in denaro incondizionato, universalistico. A parte qualche sperimentazione nel nord Europa, non è mai stato adottato in nessun paese.
Reddito Minimo: è una misura di universalismo selettivo, che ormai troviamo in tutti i sistemi di welfare europei; l’Italia è stata l’ultima a dotarsi di questo strumento. È universale nel senso che si rivolge a tutti i cittadini e a tutte le cittadine, ma è selettivo perché ha una condizione: si rivolge a persone che si trovano in condizioni di povertà. Di solito, il soggetto che percepisce il reddito minimo, insieme al suo nucleo famigliare, si impegna in un determinato percorso, che può essere di inserimento sociale, di inserimento lavorativo. È una struttura comune a tutti i paesi europei, con differenze rispetto ai parametri di questo percorso.
Salario Minimo: non è sinonimo di Reddito Minimo. Ha a che fare, invece, con una remunerazione minima riconosciuta alle persone che lavorano in un determinato settore. Non è una misura di contrasto alla povertà.
«Nei paesi mediterranei», spiega Chiara Agostini, «si è arrivati più tardi alle forme di Reddito Minimo, anche per ragioni storiche, rispetto alla struttura dei welfare come il nostro. Le prime sperimentazioni in Italia sono partite negli anni ’90. Alcune sperimentazioni, a livello locale, sono state fatte negli anni ’80. Nel 2018, finalmente, l’Italia si dota di una misura strutturale, scritta stabilmente nei registri di finanza pubblica e non vincolata a finanziamenti di anno in anno, con l’introduzione del Reddito di Inclusione: a gennaio 2018 si rivolge a famiglie con minori, con disabili, alle donne in gravidanza. A luglio del 2018 cade questo vincolo, per cui il Reddito di Inclusione diventa di fatto una misura universalistica».
Le risorse per il 2018 erano di circa 1,5 miliardi e mezzo di euro, ma non ancora sufficienti per raggiungere tutta la popolazione in povertà.
L’anno dopo viene introdotto quello che abbiamo chiamato Reddito di Cittadinanza.
«A complicare le cose c’è il fatto che il Reddito di Cittadinanza, prima che venisse chiamata così la misura di contrasto alla povertà adottata in Italia nel 2019, a livello di letteratura specifica viene considerato sinonimo di Reddito Universale. Chiaramente, però, questo Reddito di Cittadinanza non è universale perché è sottoposto a condizioni».
Il Reddito di Cittadinanza all’italiana, comunque, parte con 7 miliardi di euro.
Tutto questo avveniva in un’era ante-Covid-19. Un’era in cui il MoVimento Cinque Stelle, che si era intestato politicamente l’introduzione di questo Reddito di Cittadinanza, «in qualche modo si sente di dover tranquillizzare l’opinione pubblica, dicendo che lavorerà alle cosiddette norme anti-divano. Fondamentalmente, rimane un pregiudizio rispetto alla condizione di povertà. È il pregiudizio che vede chi è povero come responsabile della propria condizione. Il pregiudizio per cui sicuramente chiunque preferisce avere un reddito e non fare niente. Certo, i furbetti ci saranno sempre. Però questa misura, fino a oggi, aveva bisogno di essere legittimata».
La crisi Covid-19, allora, potrebbe avere una conseguenza imprevista: potrebbe finalmente dare una legittimità anche culturale alle norme di contrasto alla povertà, persino in paesi, come l’Italia, dove questa legittimità non c’è.
«La povertà minorile è triplicata già nell’epoca ante-Covid, cioè a partire dalla crisi del 2008. I minori sono quelli che hanno pagato in misura maggiore la crisi economica», spiega ancora Chiara Agostini. «La crisi del 2008 ha cambiato in maniera profonda il profilo della povertà in Italia».
Perché succede? Perché parliamo di bambine e bambini, di minori che fanno parte, per esempio, di nuclei famigliari in cui madri o padri hanno perso il lavoro, con una rete di protezione sociale minore.
«Se prima della crisi del 2008 potevi pensare che il povero era l’anziano solo, oggi se pensi al povero pensi ai bambini. La situazione è destinata a peggiorare. Probabilmente la povertà infantile passerà dal 12 al 15-20%: è una stima fatta da Save The Children».
I minori sono coinvolti anche dalla questione della povertà educativa, non solamente dalla povertà materiale. «C’è un nesso fra la povertà materiale e la povertà educativa. Cioè: più io sono povera e meno ho possibilità di fruire di una serie di occasioni educative che, nel lungo periodo, potrebbero facilitarmi il processo di uscita dalla povertà e dalla marginalità».
Una delle cose che ci si potrebbe chiedere è: ma non sarebbe meglio subordinare le politiche di contrasto alla povertà a politiche che riguardano il lavoro?
In effetti, l’attuale reddito di cittadinanza italiano, invece, nasce come una politica di contrasto alla povertà, ma è diventata, in qualche modo, una politica più del lavoro che relativa alla povertà. «Tutti i redditi minimi prevedono l’attivazione», dice Chiara. «Ma ci sono persone povere che, nel breve periodo, non sono attivabili. Io ritengo che le politiche di contrasto alla povertà debbano essere separate dalle politiche per il lavoro, perché sono due cose diverse».
Come tutti i “pilastri” del Mondo Nuovo, questo è solo l’inizio e dunque è uno degli argomenti di cui Slow News si occuperà nel corso della sua vita come giornale. Per questo annotiamo qui le domande che dovremo monitorare nel corso del tempo
Quali saranno le misure di risposta “immediata”, al di là dei bonus già erogati in Italia?
Come verranno impiegati i soldi del Recovery Fund, cioè del Piano per la ripresa dell’Europa?
La lotta alla povertà tratteggiata velocemente dal Ministro per gli Affari Esteri Enzo Amendola in questa intervista rilasciata ad Avvenire a novembre 2020 avverrà davvero?
Verranno effettuati correttivi adeguati all’attuale reddito di cittadinanza (per esempio, nella scala di equivalenza) italiano come proposto, ad esempio, dall’Alleanza per le povertà?
Si può immaginare uno strumento di contrasto alla povertà europeo?
In un contesto come quello italiano dove, come scrivono Franca Maino e Lorenzo Bandera, «a causa di diversi problemi strutturali esacerbati dalla crisi economica, le necessità di chi vive nel nostro Paese negli ultimi anni sono aumentate e si sono diversificate richiedendo, accanto al tradizionale intervento dello Stato, nuove forme di aiuto e sostegno», come può agire il cosiddetto “secondo welfare“?.
«Un discorso onesto sulla povertà dovrebbe iniziare col mettere in discussione il nuovo mito della crescita economica senza freni e ripensarlo in termini totalmente nuovi», scrive ancora Majid Rahnema. In altre parole, dovrebbe mettere in discussione quel che abbiamo sempre fatto (dove quel sempre andrebbe ampiamente ridimensionato), il cosiddetto business as usual.
C’è un altro problema, se vogliamo complicare ancora un po’ le cose. Ed è il fatto che, normalmente, i discorsi sulla povertà sono portati avanti da persone non-povere secondo criteri occidentali. Persone che, spesso, hanno pregiudizi derivanti dalla loro stesso status sociale e dunque percezioni e convinzioni troppo lontane da quella condizione di povertà che desidererebbero – quando ne hanno una reale e benintenzionata volontà – sconfiggere.
Ecco perché è giusto chiudere questo lungo intervento sul tema della povertà citando ancora Rahnema: «L’immagine di un mondo da ricostruire come semplici esseri umani, pronti a usare tutte le nostre potenzialità per vivere insieme e ridefinire le ricchezze comuni, può sembrare un sogno utopico. Può sembrare contrario a tutte le pratiche dominanti in un mondo di interessi conflittuali e disumanizzanti. Tuttavia, l’eterna minaccia dell’invecchiamento e della morte che ha accompagnato tutte le forme di vita non ha mai impedito il fiorire dell’amore, della creatività e delle grandi imprese comuni in tutte le società umane».
Quelle che cerchiamo, in effetti, sono misure di contrasto alla povertà. Non misure contro le persone povere.
Scrivici via mail oppure lascia un commento. Raccontaci una tua esperienza personale oppure proponici un approfondimento che secondo te dovremmo considerare, segnalaci eventuali errori o imprecisioni o, semplicemente, partecipa alla conversazione sul tema.
Bibliografia
Majid Rahnema, La potenza dei poveri
Majid Rahnema, Quando la povertà diventa miseria
David Graeber, I più poveri pagano il conto
William T. Vollmann, I poveri
Jacob Riis, How The Other Half Lives
Percorsi di Secondo Welfare
Forum Diseguaglianze Diversità
Alleanza contro la povertà
La voce “Povertà infantile” a cura di Chiara Agostini, dal Glossario delle Disuguaglianze Sociali
(1) Correzione del 16 dicembre 2020: Originariamente, avevo scritto: «Se poi volessimo osservare i dati sulla povertà relativa (calcolata cioè sulla capacità di spesa della popolazione residente), parleremmo, allora, di 8,8 milioni di persone». Mancava un aggettivo cruciale: media. Bisogna parlare, infatti, di capacità di spesa media. Grazie a Lorenzo Bandera (autore, fra l’altro, di uno dei pezzi linkati nell’articolo) per la segnalazione.
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