Inganno e disinganno
Nonviolenza è disponibilità al compromesso, non compromissione.
La nonviolenza, come metodo di azione, è “disponibilità sempre al compromesso”.
La nonviolenza è il mettersi al centro per attirare, non per guidare.
Sono tanti, per le strade di Praga, spaventati, senz’altro, eppure convinti. Hanno creduto, ancora credono, nella possibilità di un socialismo dal volto umano, ma dopo la primavera arriva l’estate e i frutti non sono quelli sperati. Il 1968 sembra l’epoca delle rivoluzioni romantiche, quelle in cui riecheggiano la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, ma con un nuovo sapore, perché assaggiare la dichiarazione dei diritti non basta, bisogna gustarne l’attuazione. E così, tra gli operai che chiedono tutele sul lavoro, gli studenti della contestazione culturale, la musica militante e i pugni alzati di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico, la cronaca politica assiste incredula alla repressione estiva della Primavera di Praga.
La Cecoslovacchia non intendeva uscire dal Patto di Varsavia, non avrebbe rinnegato l’ideologia: avrebbe semplicemente affrontato una stagione di riforme, allentando i controlli sulla libertà di stampa, progettando il decentramento amministrativo. Ma a fermare il progetto, a fermare la Primavera di Praga, arrivano i carri armati sovietici, l’occupazione militare. In quei giorni di fine agosto, i cittadini di Praga sono in strada: sono vent’anni che vivono nell’influenza dell’Unione Sovietica, al punto che a scuola si studia il russo, e questa lingua comune, tra gli occupati e gli occupanti, tra le vittime e quelli a cui è stato ordinato di fare i carnefici, sarà uno strumento di azione nonviolenta. Quando i cingolati entrano a piazza San Venceslao, e bloccano la città, si trovano di fronte una massa di persone, di ogni età, con bandiere cecoslovacche e il desiderio di spiegare le proprie ragioni, nella lingua che i cecoslovacchi hanno studiato a scuola e che i russi hanno imparato come lingua madre. La popolazione cerca un dialogo con le forze occupanti, invitata all’utilizzo di metodi nonviolenti dalle trasmissioni di Radio Praga (trasmissioni che, una volta interrotte, saranno riprese da altre piccole emittenti).
Accerchiavano i carri armati, dai quali a volte spuntavano le facce stralunate di soldati per lo più imberbi. I cecoslovacchi parlavano il russo. L’avevano imparato a scuola. Era la lingua obbligatoria. La lingua imperiale serviva ora a dialogare con gli occupanti, a chiedere perché fossero lì, a invitarli a tornare a casa, a rassicurarli, a spiegare le ragioni del nuovo corso, il proposito di costruire un “socialismo dal volto umano”, un’esigenza che poteva essere condivisa anche dagli altri popoli dell’Est. È un fatto che, per evitare il contagio politico, i soldati russi impiegati nelle operazioni di occupazione venissero spesso sostituiti.
Non avevo in mente questa vicenda quando Pietro Pinna, seduto sulla sua poltrona, chiarì come la nonviolenza, come metodo di azione, fosse (e sia) “disponibilità sempre al compromesso”. Forse la perplessità era emersa dal mio sguardo, io che la parola compromesso la collegavo alle vicende politiche di quel periodo. Compromesso, per i miei vent’anni, era la debolezza un po’ subdola di chi nei talk show si indigna con l’avversario e poi in Parlamento vota allo stesso modo: com’è possibile essere disponibili al compromesso, se il compromesso è questo?
Pinna parlava con lo sguardo a mezz’aria, accanto alla finestra ma senza guardare fuori, concentrato senza fissare un punto preciso, come se leggesse un discorso riavvolto che svolgeva srotolandolo innanzi a sé. Ogni tanto volgeva gli occhi a me, saggiava la mia comprensione con garbo. In quel caso non ci fu bisogno: doveva aver capito subito che di compromesso non avevo capito nulla, che anzi forse la parte più orgogliosa di me gli stava tacitamente dando torto. Ma non si interruppe. Completò il discorso. «La nonviolenza è sempre disponibilità al compromesso», e aggiunse «sembra allora una debolezza, il compromesso è l’atteggiamento più nobile che si possa avere, perché sono sempre disposto a cedere, salvo nelle questioni di principio, lì duro come una pietra».
E in una manciata di parole aveva spiegato tutto.
Che sia Pietro Pinna che dice qualcosa su cui penso di non essere d’accordo, o che di fronte io abbia il peggior criminale della storia, ugualmente ho innanzi a me una persona, un tu. Nel sistema violento in cui viviamo, l’altro mi è spesso nemico, specie se esprime un’opinione diversa dalla mia o si pone in una posizione a me contraria. Il nonviolento però è consapevole della finitezza umana, sa di avere un limite e rispetta l’altro come un individuo che si trova a confrontarsi con gli stessi limiti. Come può essermi nemico qualcuno che condivide la mia essenza, il mio non essere perfetta, eterna e completa?
Non esiste vittoria per il nonviolento se essa comprende violenza sul nemico. A ben guardare, per il nonviolento non esiste proprio il nemico. Il nemico è in avvicinamento, nel senso che guardandolo con attenzione, aprendosi alla comprensione altrui, riconoscendo nell’altro la somiglianza e la comune finitezza umana. La reazione è quella dei cecoslovacchi che discutono con i militari sovietici, è quella dei moscoviti che nell’estate 1991 resistettero al putsch di agosto, al tentato golpe, fraternizzando con i soldati che occupavano la capitale, è quella dei soldati che durante la Prima Guerra Mondiale, tra una trincea e l’altra, almeno a Natale, riconobbero sotto la “divisa d’un altro colore” non nemici, ma uomini, con cui scambiare cioccolato, sigarette, preghiere.
Avvicinandosi al nemico ci si accorge che il nemico non c’è. C’è casomai un avversario con cui ingaggiare un comune percorso di ricerca della verità, e il nonviolento in questo modo si pone, nei confronti dell’altro, in un’ottica di persuasione che non è mai unilaterale: chi si confronta deve sempre essere disponibile a rivedere la propria posizione, essere aperto al convincimento altrui. Questa scelta di metodo è genuina, ricalca l’etica della nonviolenza, aperta verso l’altro e concentrata sui mezzi.
La nonviolenza è il mettersi al centro per attirare, non per guidare.
Nonviolenza è disponibilità al compromesso, non compromissione.
In protesta contro la realtà, Pietro Pinna si trova a Napoli, prigioniero militare in tempo di pace.
La difficoltà di trovare un’iconografia nonviolenta non si limita alle questioni figurative: riguarda anche le parole.
Il nonviolento tende al cambiamento della realtà: non si può ottenere un fine giusto tramite mezzi ingiusti.
La nonviolenza, come metodo di azione, è “disponibilità sempre al compromesso”.
Nonviolenza è disponibilità al compromesso, non compromissione.
Pinna sbuffa in maniera molto cortese: «Legga Capitini».
Le domande che volevo porre a Pietro Pinna, in quanto primo obiettore di coscienza per motivi ideali, erano poche.
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