Ep. 2

I mercanti (delle soluzioni) di Venezia

Ticket d’accesso e Smart Control Room sono soluzioni contro l’iperturismo?

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Dalle nostre serie Serie Giornalistiche
Smart Housed

Venezia è unica.

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“Credo che il sindaco sia un genio. E che il ticket d’ingresso sia una manovra di distrazione di massa”.

Paola Somma, architetto, urbanista

Il 25 aprile 2024 il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha accolto giornalisti e turisti da tutto il mondo per presentare una delle tante soluzioni che sono state sperimentate su Venezia e sulle persone che la vivono e la visitano.

 

Il 25 aprile è una data fortemente simbolica: per l’Italia è l’anniversario della liberazione dal regime fascista e nazista; per Venezia è la festa di San Marco. Quel giorno, per la prima volta nella storia delle città così come le conosciamo nell’era contemporanea, i visitatori giornalieri fra le 8 e le 16 dovevano prenotarsi e pagare un biglietto da 5 euro per avere diritto a entrare nella parte lagunare della città di Venezia. La sperimentazione è durata fino a luglio 2024, con ventinove date scelte in cui il sistema era attivo.

Con la prenotazione sono partiti anche i controlli per verificare pagamenti e esenzionio.

Contro il turismo “mordi e fuggi”

L’obiettivo? Disincentivare il cosiddetto turismo-mordi-e-fuggi nella città storica. Si tratta, quindi, di una soluzione messa in piedi per risolvere il problema dell’iperturismo, strettamente legato, come abbiamo visto, a quello dello spopolamento. 

 

Fra giornalisti stranieri entusiasti e commenti irrilevanti raccolti dal giornalismo nostrano – surreale il video in cui tal Mark, anonimo turista americano, dice, tutto contento, che lui ne pagherebbe anche dieci, di euro, pur di salvare Venezia – la critica alla misura è stata circoscritta a pochi ambienti che da tempo ne sottolineavano l’inutilità, l’assurdità, l’illegittimità.

 

Quel 25 aprile, nel piazzale antistante alla Stazione di Venezia Santa Lucia, si aggirava anche il condirettore generale della Venis S.p.a. Marco Bettini. La Venis S.p.a è un’azienda a controllo municipale che, anche attraverso finanziamenti europei, ha realizzato un’altra soluzione per “salvare Venezia”. La Smart Control Room, una struttura per il monitoraggio ambientale e dei flussi dei mezzi pubblici e dei turisti.

 

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Una parte della Smart Control Room. Alberto Puliafito (a destra) intervista Marco Bettini. (Fotogramma dal documentario Smart Controlled / IK Produzioni per Slow News)

Venezia intelligente o controllata?

Nella procedura d’appalto, Venis S.p.a. dichiarava di cercare partner per sviluppare una centrale unica per la gestione del traffico pedonale, acqueo e automobilistico 


Ma alla fine del lavoro pubblico-privato, come si legge sul
sito ufficiale della TIM, è venuta fuori una struttura in grado di «monitorare in tempo reale tutto il territorio, intervenendo tempestivamente in caso di emergenza e creando una base dati su cui realizzare analisi predittive per migliorare la pianificazione degli spostamenti in città. «Inotre», prosegue la descrizione ufficiale del fornitore, «il monitoraggio continuo fornisce ai cittadini e all’amministrazione comunale ritorni sul funzionamento dei servizi pubblici, non solo in ottica di trasparenza dell’amministrazione stessa ma anche come base dati di partenza per prendere le giuste decisioni e rendere ancora più efficiente tutto il sistema».



Quindi la Smart Control Room dovrebbe essere anche uno strumento per migliorare la vita dei cittadini e quindi, se funziona, un incentivo a rimanere in città.

 

Fra le altre cose mirabolanti, la Smart Control Room, presentata ufficialmente il 12 settembre del 2020, ha una serie di funzioni che riguardano (citiamo testualmente sempre dal sito della TIM):

 

– le presenze in città in tempo reale e uniche,
– le provenienze dei pendolari/visitatori,
– il controllo del traffico e del trasporto pubblico locale,
– il monitoraggio dei flussi pedonali,
– la predizione delle presenze e dei flussi,
– la sentiment analysis,
– il calcolo degli indici di stato e di performance della città,
– la navigazione assistita dei city users sul territorio comunale,
– il monitoraggio ambientale e il calcolo delle condizioni di fruibilità della città al loro variare.

 

Scorrendo questo elenco sfugge, per esempio, come si possa misurare la sentiment analysis dei cittadini e dei turisti attraverso un sistema di controllo che non li interpella direttamente – a meno di non attivare strumenti attualmente non consentiti e sui quali non si possono fare nemmeno ipotesi.

Colpisce l’uso di termini come city users – altro anglicismo – che indica coloro che utilizzano la città senza esserne residenti: in effetti i residenti, in tutta la pagina del sito di TIM non vengono menzionati, tranne in quell’accenno ai cittadini che possono beneficiare del monitoraggio dei dati.


Però, se la Smart Control Room può davvero fare tutto quel che promette di poter fare, potrebbe essere davvero una soluzione: i dati si potrebbero davvero usare per trovare idee intelligenti per diminuire la pressione turistica, per esempio, e per ricavare nuovi spazi di vita per la cittadinanza. Per farlo, però, bisogna essere d’accordo sulla vera natura del problema e su chi deve beneficiare della soluzione stessa.

Biglietto d’ingesso e Smart control room funzionano?

Agire sull’iperturismo in termini di monitoraggio e disincentivo potrebbe sembrare una buona idea, sulla carta. Poi però bisogna valutare l’esecuzione dell’idea. 


Come abbiamo documentato in Smart Controlled, i dati della Smart Control Room non sono mai stati resi disponibili alla cittadinanza. È una scelta. Sappiamo che si può fare: è accaduto, per esempio, a Barcellona, dove è passata l’idea che i dati di una città debbano essere pubblici e non in mano a privati o istituzioni che li custodiscono senza garantire accesso. 


Non sappiamo nemmeno se siano state prese delle decisioni e quali, da quando la Smart Control Room esiste: mentre scriviamo sono passati quattro anni dalla presentazione al pubblico. La sua utilità come soluzione pare quantomeno dubbia. 

 

Quanto al biglietto d’ingresso, ha portato nelle casse del Comune di Venezia, fino al 13 luglio 2024, 2,2 milioni di euro. Sembra un buon risultato, considerato che a bilancio previsionale erano stati inseriti 700mila euro di ricavo. Ma le spese previste – poi da verificare a consuntivo – erano di circa 3 milioni di euro per la gestione e l’implementazione del sistema che includeva anche totem informativi, un portale per prenotarsi, campagne di comunicazione e personale per i controlli. Già, i controlli. In teoria chi non pagava il ticket d’accesso alla città nei giorni della sperimentazione poteva essere multato da 50 a 300 euro, per violazione dell’apposito regolamento del consiglio comunale. Sono passato personalmente varie volte ai controlli rifiutando di identificarmi e di mostrare prenotazioni o biglietti o esenzioni, ma non ho mai ricevuto una multa. Lo stesso è accaduto a vari attivisti che hanno provato la stessa strada.

Il documentario "Smart Accessed" che abbiamo girato il 25 aprile 2024

Dal turismo al barcavelox

In effetti, durante la sperimentazione non sono state fatte multe. È stata anche questa una scelta. Forse è successo perché le multe sarebbero impugnabili? È lecito chiederselo e questa era la tesi di chi, come me, ha provato a farsi multare: si può davvero imporre un biglietto di ingresso a una città? Non viola i più elementari diritti che diamo per scontati, almeno nel mondo occidentale e almeno nell’Unione Europea? Possiamo ancora dare per scontati quei diritti?

 

A parte queste considerazioni che rischiano di portarci lontano, la soluzione del ticket avrebbe dovuto ridurre la pressione turistica sulla città che, come abbiamo visto, è strettamente legata anche al fenomeno dello spopolamento. Non ci sono ancora dati ufficiali disponibili, ma la tendenza di crescita degli arrivi e delle presenze in città sembra confermata. Quindi possiamo già dire che il ticket non è un deterrente sufficiente per controllare i flussi. Sembra, piuttosto, un modo per alimentare la separazione fra chi può permettersi anche quel prezzo da pagare e chi no. Tanto che questa amministrazione comunale sta valutando di aumentarlo a 10 euro, proprio come voleva il turista americano Mark.

 

Nel frattempo, Venezia ha a disposizione un’enorme ed efficace struttura di controllo su tutto il territorio. Brugnaro ha detto esplicitamente che, fosse per lui, renderebbe legale il riconoscimento facciale con intelligenza artificiale in tempo reale – oggi vietato – perché chi non ha nulla da nascondere non ha nulla da temere. Così, nel frattempo, la Smart Control Room potenzialmente potrebbe già essere impiegata in tal senso: prima si fa l’infrastruttura, poi se cambiano le norme, la si usa.

 

In effetti una dinamica analoga si è già vista: nell’ambito del progetto, sono state installate telecamere che, anche grazie all’intelligenza artificiale, possono localizzare la targa di un’imbarcazione privata. Funzionano anche di notte e a 200 metri di distanza. Pronta l’infrastruttura, si è modificata una norma nazionale e, grazie a un emendamento approvato in commissione Trasporti alla Camera, ora la Smart control room può essere usata come barcavelox, per multare le imbarcazioni.

 

Qual è, allora, il vero obiettivo di queste soluzioni?

Intorno alla Libreria MarcoPolo ruotano molte delle persone che abbiamo conosciuto e incontrato per raccontare questa storia. Fra di loro c’è anche Maria Fiano, attivista di OCIO.

OCIO è un acronimo che sta per Osservatorio CIvicO sulla casa e la residenza. OCIO è anche un gioco di parole intraducibile per chi non capisce il dialetto veneto (o di alcune altre regioni del nord Italia): ocio è l’occhio, ma è anche un’affermazione, un’esclamazione, un avvertimento. Occhio! Fai attenzione! 

 

Maria è appena tornata da un lungo viaggio. Ci accomodiamo in un posto che a volte ospita le riunioni di OCIO: la “casetta” della libreria. Che, in quel momento, fa anche da magazzino e ospita un sacco di libri.

«Se ridurre la pressione dei turisti fosse il vero obiettivo di queste soluzioni, per favorire i residenti», dice Maria, «allora perché stanno per inaugurare due nuove strutture ricettive al Tronchetto, da 750 posti letto in tutto»?

 

Paola Somma, a casa sua, al Lido, le fa eco a distanza: « ovvio che il ticket non serva a niente dal punto di vista del controllo del turismo. Non può funzionare perché cerca di limitare i flussi turistici facendolo una volta che il turista è già arrivato a Venezia. Non agisce sui vettori che portano i turisti in città, che anzi l’amministrazione comunale ha potenziato in tutti i modi, cercando anche di potenziare i punti di accesso in modo che siano raggiungibili da più turisti contemporaneamente”.

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Paola Somma in un fotogramma di "Smart Housed" (IK produzioni per Slow News)

E allora a cosa serviva questo biglietto d’ingresso? “Secondo me», conclude Somma, “prima di tutto a obbligare milioni di persone, a Venezia, in Italia, nel mondo, a parlare del ticket: obiettivo raggiunto. E poi, inculcare negli abitanti che non hanno nessun diritto a vivere in città, perché il diritto a vivere in città si compra”.

In effetti, fra i tanti fastidi e difficoltà per i residenti di Venezia, nei 29 giorni di sperimentazione del biglietto si è aggiunto anche questo: anche loro potevano essere fermati e controllati da persone in pettorina – bianca, gialla, arancione a seconda del lavoro svolto – assunte per l’occasione. Del resto, non è che si riconosce un residente di una città guardandolo in faccia. Nel caso fossero stati fermati dovevano qualificarsi con un documento d’identità. Se ricevevano visite in giornata dovevano segnalare i visitatori sul portale. A loro volta i visitatori si dovevano prenotare per dichiarare il motivo della visita e reclamare l’esenzione. Dovevano poi esibire, in caso di controllo, il biglietto a zero euro, sotto forma di qr-code.

La stessa trafila, declinata in maniere diverse, valeva per i pendolari, per gli studenti, per chiunque avesse titolo a essere a Venezia senza dover pagare. La surrealtà di questa disposizione era perfettamente rappresentata dal piazzale della stazione, dove tre “totem” pretendevano di dividere i flussi fra turisti, residenti, pendolari come se ci fossero delle immaginarie transenne che però non potevano esserci – per un po’ ci sono state quelle removibili che si trovano anche in aeroporto –, con le persone in pettorina che tentavano come potevano di far rispettare questi percorsi obbligati non tracciabili. Tentavano. Perché non si può recintare una città, a meno che non la si svuoti dei suoi abitanti e non la si renda un parco dei divertimenti. 

Venezia è Disneyland?

C’è chi dice chiaramente che sia proprio questo l’obiettivo finale. Lo pensa anche il professor Robert Davis, che non colloca il fenomeno in tempi recenti: «Abitare a Venezia è stato trasformato in una commodity, in una merce», dice. «È successo già ai tempi dell’occupazione austriaca, quando i palazzi sul Canal Grande erano in rovina. Molte persone, quelle che potevano permetterselo, li compravano e li restauravano”. Queste persone erano anche straniere, ovviamente, e avevano le loro ossessioni, come il «ricostruire tutto com’era-dov’era», dice Davis. Per dare quel senso di autenticità dell’esperienza veneziana. Così si è formato un solco fra chi poteva permettersi solamente un appartamento sulla terraferma e chi, invece, poteva permetterselo anche nella città lagunare. Meno abitanti significa meno servizi, meno negozi, prezzi sempre più alti. Questo processo ha cambiato radicalmente Venezia: “Ad ogni cosa nuova che è arrivata [dagli austriaci alle grandi navi, ndr], i veneziani hanno provato a adattarsi”. Il che non è necessariamente un problema, se non fosse che i veneziani sono sempre meno. «È stata creata una città diversa», conclude Davis, «che ha raggiunto il punto in cui i veneziani sono stati cancellati. Non perché non esistano, ma perché non è più importante che le cose siano fatte e presentate da una persona di Venezia, da qualcuno con una conoscenza locale».

 

Questa non è nostalgia per un passato che non c’è mai stato: è la visione di un futuro che potrebbe esserci. Che rimetta al centro le persone, gli abitanti, non in quanto consumatori o city user, ma in quanto esseri umani che vivono un luogo.

E quindi, verificato che le presunte soluzioni di controllo turistico non hanno funzionato, concentrarsi sulle soluzioni per l’abitare.

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Questa inchiesta a puntate è stata prodotta grazie al supporto di Journalism Fund Europe.

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