L’uomo in rivolta
In protesta contro la realtà, Pietro Pinna si trova a Napoli, prigioniero militare in tempo di pace.
La nonviolenza è il mettersi al centro per attirare, non per guidare.
Il termine nonviolenza non descrive la negazione di qualcosa ma la promozione di un metodo in cui la teoria è anche pratica, in cui l’agire perseguendo un obiettivo è importante tanto quanto, se non più, dell’obiettivo stesso.
Pietro Pinna è stato uno di questi “centri”, non un simbolo di nonviolenza ma la dimostrazione che il metodo è l’azione, anche fisica, per vincere e convincere: «La nonviolenza è una visione di vita, una concezione etica e non morale: l’etica riguarda tutta l’umanità».
Questa serie in 8 episodi, ideata e realizzata da Roberta Covelli, parte da un’intervista sbagliata, si sviluppa nel Sathyagraha di Ghandi e giunge fino a noi come una lunga onda d’amore, come la delicata forza della lotta della nonviolenza.
In protesta contro la realtà, Pietro Pinna si trova a Napoli, prigioniero militare in tempo di pace.
La difficoltà di trovare un’iconografia nonviolenta non si limita alle questioni figurative: riguarda anche le parole.
Il nonviolento tende al cambiamento della realtà: non si può ottenere un fine giusto tramite mezzi ingiusti.
La nonviolenza, come metodo di azione, è “disponibilità sempre al compromesso”.
Nonviolenza è disponibilità al compromesso, non compromissione.
Pinna sbuffa in maniera molto cortese: «Legga Capitini».
Le domande che volevo porre a Pietro Pinna, in quanto primo obiettore di coscienza per motivi ideali, erano poche.