Le soluzioni degli altri
Venezia è unica. Ma non è l’unica. E non è sola.
Soluzioni per contrastare lo spopolamento
Non lontano dalla stazione di Venezia Santa Lucia c’era una fabbrica di fiammiferi, la S.A.F.F.A. Ancora oggi si capisce che era una fabbrica perché c’è un ingresso intatto ed è stata conservata una ciminiera all’interno, come un altarino. “Perché il lavoro va sempre celebrato, no?”, dice ironicamente Paola Somma
L’ex fabbrica Saffa oggi è un quartiere di edilizia residenziale, realizzato in due diversi periodi storici (1981-1985 e 1998-2001) . È uno di quei posti che non c’è davvero alcun motivo di visitare, a Venezia, se sei un turista. Al tempo stesso, paradossalmente, sembra proprio un posto autentico proprio perché non è pensato in alcun modo per i turisti. Ci sono le scritte sui muri di amori andati bene o male, di odio per “gli sbirri” o di altre categorie di persone da odiare, c’è la sede di un club scacchistico, ci sono quelle di un’associazione studentesca, di una struttura attiva per l’aiuto alle famiglie dei malati di alzhaimer, di un centro culturale italo-cinese. C’è Mario il postino che consegna la posta e conosce tutti e tutti conoscono lui. Le persone camminano lentamente, portano a spasso il cane, chiacchierano. Ci sono persino dei posti a sedere all’aperto dove riposare un po’, una di quelle cose che a Venezia vedi raramente in giro: sicuramente non li vedi nei posti più turistici, perché la rimozione dei posti a sedere è una delle caratteristiche che accomuna tutte le città che si interessano ai consumatori e non ai residenti.
È un luogo dove ci sono le persone che vivono Venezia tutti i giorni e non si limitano a consumarla o a usarla. Secondo Paola Somma non ci si vive particolarmente bene perché gli spazi sono stretti, angusti.
Nel suo lavoro di dottorato La bonifica umana, Clara Zanardi dimostra chiaramente quel che dicevamo: lo spopolamento riguarda i poveri e più in generale chi non può permettersi una casa a Venezia. Allora, quel che servirebbe, probabilmente, è un progetto di soluzioni per case a prezzi calmierati.
I progetti ci sono, naturalmente. A Venezia, come in tutta Italia, c’è l’ATER, Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale che gestisce appartamenti proprio come quelli che ci sono nell’ex fabbrica di fiammiferi. Sono alloggi destinati alle persone e famiglie a basso reddito, interamente finanziate da fondi pubblici con canone d’affitto molto basso (nel 2021 il canone medio era di €139 euro). Per accedervi bisogna avere determinati requisiti (essenzialmente: avere poco per vivere), partecipare ai bandi, essere inseriti in graduatoria, mantenere i requisiti pena la riassegnazione dell’alloggio. L’indicatore economico usato si chiama ISEE. È un valore che viene aggiornato periodicamente. Ora (2024) per accedere all’assegnazione occorre avere un ISEE inferiore a 22.615 euro e per non essere sfrattati un ISEE inferiore a 29.399.
Il dettaglio dello sfratto è interessante perché, se tu riesci a migliorare un po’ la tua condizione di vita mentre sei in un alloggio ATER devi fare attenzione a non migliorare troppo, se no devi ricominciare da capo a cercare un alloggio da un privato. Non lo troverai e allora te ne andrai.
Oltre alla questione burocratica e formale legata al reddito e a questo circolo vizioso, c’è il problema generale. “L’edilizia popolare a Venezia soffre degli stessi problemi di cui soffre in tutta Italia”, ricorda Clara Zanardi. “Dipende da finanziamenti statali o regionali ed è un settore sottofinanziato da decenni. Di fatto in Italia manca una politica per l’abitare, una politica per la casa. Si vive con scampoli di fondi che non sono sufficienti né alla manutenzione ordinaria delle case già assegnate né tantomeno al restauro e al riammodernamento delle case che devono ancora esserlo”.
“A Venezia”, prosegue Zanardi, “i finanziamenti sono andati riducendosi drasticamente, non ci sono neanche i 4 milioni di euro all’anno che ATER dice essere necessari per rimettere delle case sul mercato delle assegnazioni attraverso i bandi. L’edilizia popolare sarebbe un’opportunità importante, ma non viene sfruttata”.
Per approfondire tutto questo servono i dati, ma averli completi e aggiornati è un’impresa complicata.
Il 23 agosto 2024 abbiamo scritto all’Ufficio Relazioni per il Pubblico dell’ATER Venezia ma non abbiamo mai ricevuto risposta. Sul sito ufficiale ci sono i dati aggiornati alla fine del 2021, dove si parla di 10.671 alloggi in totale a disposizione dell’ATER, di cui 8.709 di edilizia sovvenzionata. Poi ci sono 1.042 alloggi di edilizia “calmierata”.
Sono i cosiddetti alloggi che fanno parte dei progetti di social housing, destinati cioè alle famiglie che non sono abbastanza in difficoltà per accedere ai bandi ATER ma che comunque non possono permettersi affitti nel mercato privato.
Sempre secondo i dati del 2021, gli assegnatari ad oggi sarebbero 7.879. Il che significa che c’erano migliaia di appartamenti vuoti non assegnati. Di solito succede perché non ci sono i soldi per manutenerli: in alcuni casi, quindi, vengono venduti (dal 2005 al 2021 ne sono stati venduti 449). Chi li compra deve non solo potersi permettere l’acquisto ma anche la ristrutturazione, la manutenzione e il costo della vita a Venezia.
Di sicuro quegli appartamenti non rimangono vuoti perché non c’è domanda. Anzi. Nel bando di assegnazione degli alloggi a prezzi popolari del 2019 sono arrivate 2351 domande, di cui 2226 soddisfatte nel 2020. Tre anni dopo, nel bando del 2022 ne sono arrivate altre 2371 di cui 2131 collocate in graduatoria a dimostrazione di un bisogno crescente di luoghi per abitare a prezzi accessibili.
È sul sito di OCIO, l’osservatorio civico sulla casa e la residenza, che troviamo i dati più aggiornati. Si fermano alla fine del 2023 e monitorano tutto il patrimonio immobiliare pubblico. La situazione è ben rappresentata da queste considerazioni: “Nel 2020 gli alloggi assegnati hanno soddisfatto circa il 9% dei richiedenti e non sono nemmeno lontanamente riuscite a coprire le situazioni di disagio socio-economico e abitativo molto critiche”.
Ci sono “870 nuclei in condizioni di vera e propria povertà, con un’ISEE inferiore a 6.000 euro; 332 nuclei senza casa da almeno un anno e/o alloggiati a titolo precario in dimore procurate dalla pubblica assistenza”.
Come abbiamo visto, “la domanda non accenna a diminuire, nonostante le (ridotte) assegnazioni. Non solo: b – 784 nuclei con ISEE-ERP inferiore a 6.000 euro – e di esclusione abitativa – 312 nuclei senza casa – non accennano a diminuire rispetto alla graduatoria precedente”.
A margine occorre segnalare che – in una città che dice di essere smart – anche OCIO ha le sue difficoltà a reperire i dati. Eppure “si tratta di informazioni che potrebbero essere divulgare senza alcun problema di riservatezza”, scrivono, “ma che, invece, possono essere visionate solo “costringendo” gli Enti a pubblicarle, altrimenti le uniche informazioni veicolate pubblicamente, senza alcuna possibilità di verifica, sono quelle che il sindaco, l’assessore o il presidente di turno, citano nel corso di interviste o articoli, in genere autocelebrative”.
Se non sei abbastanza benestante per poterti permettere con la tua famiglia o da single un appartamento nel mercato privato – secondo criteri tutti da verificare: un’ISEE maggiore di 29mila euro potrebbe non essere affatto sufficiente per la sopravvivenza di un nucleo famigliare, figuriamoci per affittare privatamente – puoi sperare nel social housing.
Al bando social housing del 2023 con cui venivano assegnati 73 alloggi (di cui 25 in terraferma e 48 nella città lagunare) hanno partecipato più di mille persone. Anche persone che non avrebbero dovuto partecipare per assenza di requisiti. Non perché troppo ricche. L’esatto contrario. Infatti, siccome il social housing è per il ceto medio e non per i poveri, se sei troppo povera – ISEE minore di 6.000 euro – non puoi accedere agli alloggi.
A dicembre del 2023 è stato lanciato un Piano casa che dovrebbe riguardare 500 appartamenti ristrutturati, ma non ci sono nuovo bandi, per il momento. Nel frattempo, i fatti di cronaca raccontano, fra l’altro, di mille appartamenti ATER che verranno messi in vendita
Anche se non abbiamo il conto preciso perché manca, sappiamo, ricorda Paola Somma, “che a Venezia le case non mancano”.
E se ci diciamo che tutte le persone hanno diritto a vivere dignitosamente, almeno sulla carta, siamo tutti d’accordo. Il problema è: dove hanno diritto di vivere le persone che fa più fastidio vedere?
Se la tendenza sarà confermata, vedremo che anche queste soluzioni tampone sull’abitare non servono a risolvere il problema dei poveri progressivamente respinti dalla città; non risolvono il problema del ceto medio che diventa sempre più povero e che a sua volta si ritrova impossibilitato a restare. Insomma: anche queste soluzioni non fermano lo spopolamento. Del resto, questo è già evidente dal crollo demografico che abbiamo documentato.
Quanto ai soldi, restiamo negli anni recenti: nel 2020-2023 sono stati stanziati 16,6 milioni di euro per ristrutturare il patrimonio immobiliare: 9,2 milioni di euro arrivano da una Legge speciale per Venezia; 3,8 milioni di euro dal bilancio del comune, il resto dal PNRR e dal PON Metro (fondi dell’Unione Europea). Per fare un paragone con altre “soluzioni”, la Smart Control Room è costata più di 5 milioni di euro, e non sappiamo esattamente che cosa abbia risolto.
Alla fine delle prime tre tappe di questo viaggio possiamo sappiamo che Venezia si spopola e si spopola selettivamente perché il problema ha a che fare con il denaro; che le politiche per l’abitare e quelle per il turismo si intrecciano. Che le soluzioni raccontate come se dovessero risolvere il problema della pressione del turismo non l’hanno risolto affatto. Che le soluzioni per l’abitare sono insufficienti e non sembrano essere guidate da una visione d’insieme.
Allora viene un dubbio: visto che, a quanto pare, la visione d’insieme c’è quando si tratta di pensare al turismo e a fare selezione all’ingresso, non è che manca proprio la volontà politica? O meglio, non è che questa situazione è proprio il risultato della volontà politica?
Questa inchiesta a puntate è stata prodotta grazie al supporto di Journalism Fund Europe.
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