Ep. 07

Africa sott’acqua

Un 2022 da dimenticare per le inondazioni in Africa.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
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È possibile fare, e parlare, di ricerca scientifica in Africa? Decisamente sì. Senza stereotipi.

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Da gennaio sono stati oltre 2000 i morti, in tutto il continente africano, per colpa delle inondazioni e sono milioni le persone alle quali la forza brutale dell’acqua ha portato via tutto: casa, beni personali, lavoro, affetti.

Quest’anno l’Africa occidentale e centrale ha sofferto di inondazioni più devastanti del solito, con numeri spesso mai visti in precedenza e che evidenziano la pericolosità del micidiale mix di sviluppo urbano caotico e cambiamento climatico in dozzine di città africane in rapida crescita. Lagos, Kinshasa, N’Djamena, Cotonou sono solo alcune delle città finite sott’acqua per giorni, settimane, spesso senza corrente elettrica e con il rischio, terminate le piogge, del diffondersi di epidemie come il colera, in una catena di valore al ribasso che imprigiona i sopravvissuti di cataclisma in cataclisma.

“Quest’anno stiamo assistendo a livelli senza precedenti di inondazioni in tutto il mondo e, con essa, un’esplosione di minacce per i bambini. La crisi climatica è qui. In molti luoghi, le inondazioni sono le peggiori da una generazione o più, i nostri figli stanno già soffrendo su una scala che i loro genitori non hanno mai sofferto”. Lo ha detto, al suo arrivo in Egitto per la Conferenza per il clima delle Nazioni Unite COP27 Paloma Escudero, capo delegazione dell’UNICEF, riferendosi a dati di cruda realtà.

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Acqua assassina

In Ciad, le peggiori inondazioni degli ultimi decenni hanno provocato migliaia di sfollati a settembre e hanno lasciato la capitale, N’Djamena, navigabile solo in barca per giorni interi: nelle zone agricole le inondazioni hanno distrutto 2700 ettari di coltivazioni solo nel mese di agosto, in piena stagione delle piogge, mentre l’ottavo distretto della capitale è rimasto totalmente sommerso dall’inizio di luglio ai primi di settembre. Sono almeno 442.000 i ciadiani colpiti o sfollati a causa delle inondazioni. 22 i morti.

In Nigeria, il Paese più popoloso dell’Africa, centinaia di persone sono morte (603 secondo i conteggi ufficiali), 1,4 milioni sono rimaste sfollate, 2400 ferite e almeno 200.000 case sono state distrutte solo nel mese di ottobre, in seguito alla peggiore inondazione registrata nella grande nazione africana nell’ultimo decennio. Le forti piogge in Nigeria hanno inondato almeno 332.000 ettari di terra coltivabile. Il 13 settembre, con il rilascio dell’acqua in eccesso dalla diga di Lagdo, nel vicino Camerun, il fiume Benue e i suoi affluenti sono esondati, inondando le comunità negli Stati nigeriani di Kogi, Benue e altri Stati del nord-est: oltre alle intense piogge e al cambiamento climatico la Nigeria paga la mancata realizzazione della diga Dasin Hausa nello Stato dell’Adamawa, pensata per contenere gli straripamenti proprio in queste occasioni. 33 stati su 36 della Repubblica federale nigeriana sono stati colpiti dalle inondazioni, quest’anno, e terminate queste un’epidemia di colera ha preso piede nel nord-est, attribuita alla contaminazione delle acque e responsabile della morte di almeno altre 64 persone. Morti non per le inondazioni ma per i loro effetti nel breve periodo.

Secondo i dati diffusi dal Programma Alimentare Mondiale (PAM) delle Nazioni Unite, complessivamente 1 milione di ettari di terra arabile si sono allagati in Africa occidentale e centrale a causa delle precipitazioni del 2022, molto superiori alla media. Un problema enorme, a maggior ragione se lo colleghiamo alla crisi del grano in corso: significa che sarà un 2023 di fame e costi altissimi per sfamarsi. Secondo il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per la Nigeria, Matthias Schmale, le inondazioni di quest’anno si spiegano “ampiamente” con il cambiamento climatico: secondo un report dell’IPCC, la stagione delle piogge del 2022, che va da aprile a ottobre, è stata del 20% più umida di quanto sarebbe stata senza il cambiamento climatico. Acqua che chiama altra acqua: quella nigeriana è considerata tra le peggiori catastrofi naturali registrate lo scorso anno nel mondo.

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Cose e persone

I Paesi africani sono tra i più colpiti dal cambiamento climatico: la veloce urbanizzazione pone grandi sfide poiché le città, in continua e rapidissima espansione, devono affrontare enormi perdite economiche causate dai disastri ambientali. Nel 2020, la Banca Mondiale ha stimato che l’interruzione dei trasporti causata da ogni giorno di inondazione a Kinshasa costa alla popolazione 1,2 milioni di dollari, una cifra che non include i danni alle infrastrutture e le perdite per le aziende e le catene di approvvigionamento. Proprio a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo da 15 milioni e mezzo di abitanti, a metà dicembre le intense piogge hanno causato frane e inondazioni che hanno colpito 300.000 famiglie, spazzato via 280 case, causato la morte di almeno 120 persone. A Yaoundé, capitale del Camerun, il 27 novembre, mentre centinaia di persone partecipavano ad un funerale in un campo da calcio posto alla base di un terrapieno alto 20 metri, una frana si è staccata e li ha colpiti, uccidendo 14 di loro: Yaoundé è una delle città più umide d’Africa ed è circondata da colline in terra rossa sulle quali sono state spesso edificate delle baraccopoli. Quel giorno non aveva piovuto ma il governatore della regione del Centro del Camerun, Naseri Paul Bea, non ha esitato nel legare quella strage al cambiamento climatico, dopo le intense piogge e le gravi inondazioni dei mesi precedenti al disastro.

Andando più a sud, secondo il World Economic Forum la pioggia più intensa degli ultimi 60 anni, ad aprile 2022, ha provocato gravi inondazioni intorno alla città di Durban, in Sudafrica, nella provincia del KwaZulu-Natal: case, ponti e strade distrutti, frane e inondazioni che hanno abbattuto anche 900 ripetitori per telefoni cellulari, con tutti i problemi che ne sono potuti conseguire per i soccorritori e le comunità. Il World Economic Forum, che cita il governo sudafricano, stima i danni di quelle inondazioni in 3 miliardi di dollari, cifra che rende il disastro del KwaZulu-Natal la decima catastrofe climatica dell’anno 2022 per danni economici causati. Una cifra che tuttavia non considera una grossa parte di ciò che si è perso: parlando con l’AFP un uomo di nome Nonkululeko Mdlalose ha detto di aver perso tutti e dieci i membri della sua famiglia in una sola notte. E, come lui, sono molti ad avere vissuto drammi simili. Tra febbraio e aprile 2022, in un periodo di appena sei settimane, la regione sudafricana del KwaZulu-Natal è stata colpita da tre cicloni e due tempeste tropicali, con precipitazioni più abbondanti e danni più ingenti del solito.

Le inondazioni e le conseguenti catastrofi umanitarie non colpiscono soltanto quei paesi che, nel nostro immaginario, sono poverissimi e le cui infrastrutture sono in realtà una concausa ai disastri di questo tipo. Il 15 dicembre scorso a Windhoek, capitale della Namibia, è caduta in 24 ore la pioggia che generalmente cade in tre mesi: 96mm di pioggia. Secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale la media namibiana, per tutto dicembre, è 30mm: in un solo giorno edifici e strade sono stati distrutti, centri commerciali allagati, veicoli portati via dalla corrente e i sobborghi e le aree informali della capitale della Namibia sono rimasti sott’acqua per le due settimane successive. Un disastro la cui proporzione economica è ancora da calcolare. Solo a dicembre, si sono verificate inondazioni in Sudafrica (Johannesburg), Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Namibia, Uganda e Malawi. Nella prima settimana di gennaio 2023 si sono aggiunti Angola (5 province interessate), Congo-Brazzaville e, ancora, la Repubblica Democratica del Congo.

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Prevenire è meglio che lottare

Prevenire un’inondazione causata da pioggia intensa prevede due metodi di indagine che vanno applicati contemporaneamente: il primo si basa sulla letteratura, sullo studio dei dati di precipitazioni e inondazioni precedenti provenienti dalle stazioni meteorologiche e dai misuratori fluviali, mentre il secondo si basa sui modelli predittivi computerizzati.

Posto che l’infallibilità non esiste, perché modellare con precisione tenendo in considerazione velocità del vento, alta e bassa pressione, sono attualmente gli unici strumenti che i governi di tutto il mondo hanno per prevenire cataclismi di questa portata e mettere in salvo le persone.

A queste previsioni se ne aggiungono altre, altrettanto necessarie: dove scorrerà tutta l’acqua che cade dal cielo e che straripa dai fiumi e dai laghi? Prevederlo è fondamentale: l’aumento del deflusso superficiale contribuisce alle frane e all’erosione mentre l’aumento del flusso superficiale significa inondazione (e quindi vie di fuga chiuse per chi non ha una chiglia sotto ai piedi). Questo comporta lo studio dei suoli, dei materiali, delle dinamiche dei fluidi, ma anche una concertazione con i modelli di indagine precedenti perché prevedere la durata della tempesta è un altro di quei fattori chiave che può influenzare le inondazioni e la capacità di risposta.

Sviluppare sistemi di preallarme alluvionali, come lo Storm Surge Information System (che è però di portata globale e quindi poco efficace sui fenomeni locali), è una priorità per i paesi che maggiormente subiscono il peso, economico e sociale, delle inondazioni. Ma certamente non basta: la pianificazione urbana, il caso-Ischia parla da solo, è un altro fattore determinante nella prevenzione da questo tipo di eventi. A questo si aggiunge la necessità di condividere i dati il più possibile, forse la cosa più complessa perché non dipende da un gap tecnologico ma politico.

Umano. Insomma, lo decidiamo noi.

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