L’endless show della campagna elettorale italiana
In Italia c’è una sola vera emergenza: la campagna elettorale.
È bello il parquet, ma è una seccatura.
Diario di un autore contemporaneo perso tra le variabili del nostro tempo
L’infiltrazione d’acqua, come il pensiero, ha un che di miracoloso.
La madonna piange, il muro pure, gli esseri umani danno voce alle idee che si sono espanse in loro, goccia su goccia fino a diventare parole, sintagmi, frasi articolate che infradiciano il sangue, le ossa, la carne.
Il muro che prima è semplicemente una non cosa, un giorno prende vita, e comincia a odorare, poi a esprimere un colorito insolito, e non è più bianco e puro, e il candore si macchia di tetraggine, e la superficie liscia diventa una crosta, e si rigonfia di bolle pustolose, poi si screpola e sfiata: dopo qualche giorno, il muro piscia per terra, sul parquet, il massimo dell’offesa, l’espressione demoniaca in una povera indifesa casa borghese.
Dlin-dlon, arrivano due operai. Sono sempre in coppia, gli operai, e si indica loro con il dito la parte marcia della casa: bisogna smontare l’enorme termosifone e aprire, e intanto gli si offre il caffè, e dovranno rompere tutto, e il danno è nel sistema principale del riscaldamento condominiale?, non si sa, bisogna rompere per saperlo, e spesso è nel tubo di derivazione che porta l’acqua al termosifone ma comunque bisogna rompere. È un danno di deviazione. Di devianza, penso io giocando con le parole, e quindi gli si offre il caffè: uno lo prende, sono napoletano, dice, non posso rifiutare un caffè. Di Napoli?, chiedo. No, di Caivano, e rimaniamo zitti un po’, e penso a quanto ci siamo dimenticati di Caivano e che lui non se l’è scordata per niente, e si vede dal rammarico che il suo volto produce come reazione al nostro improvviso silenzio, mentre beve il suo caffè per creanza, un cucchiaino di zucchero, grazie.
L’altro non beve caffè, ha la pressione alta, altissima. L’alimentazione? No. Beve alcol? No. Ansia? Nessuna.
Poi, dice, la vodka ho scoperto che fa abbassare la pressione. Lo so, dice, l’ho provata e funziona: prima l’ho misurata, poi ho bevuto tre bicchierini di vodka, dopo ancora ho rimisurato la pressione ed era scesa.
È russo. La vodka non conta come alcolico, penso.
L’operaio di Caivano vive a Orte, ha due figli che tifano Napoli e una figlia juventina, e ride di questa cosa, non segue il calcio ma lo scudetto è stata una gioia per tutti. L’altro stacca gli occhi dal muro aperto, e dice un giorno ho tifato per una squadra ucraina che giocava contro la Roma, eravamo in un locale, erano tutti romanisti, ho detto chi perde paga da bere e alla fine ha vinto la squadra ucraina per 3-0 o 3-1, non ricordo, e allora i romanisti incazzati gli hanno pagato da bere ma il tipo che era con lui, anche lui russo, gli fa smettiamo di prenderli in giro che questi qua ci menano, beviamoci le nostre birre e andiamocene.
Neanche le birre sono considerate alcoliche in Russia. Ma russo di dove, gli chiedo. Moldavo, mi dice, e a me la Moldavia risulta essere in Moldavia e non in Russia, e lui dice siamo piccoli e vicini all’Ucraina, e allora io dico sarà difficile adesso con la guerra, e lui dice io tengo sempre Russia, è tutto Russia, Ucraina è Russia, Moldavia è Russia, e Putin ha fatto bene a fare la guerra, ma noi (occidentali) non capiamo, non sappiamo.
Panslavismo, penso. Lo tengo per me. Lui apre il muro, individua il tubo, martella, scava, sfascia e dà aria all’arteria ferita, libero sfogo alle sue teorie:
La Russia ha fatto bene a fare la guerra all’Ucraina. Gli americani si sentono i padroni del mondo, loro possono fare le guerre e la Russia no? Loro si allargano sempre, l’Ucraina cosa ci fa nella Nato e in Europa, è solo un pezzo di Russia, era tutta Russia prima e sarà sempre tutta Russia. Il granaio della Russia, penso, la peggior grana. Dico che per me la gente ha due braccia e due gambe e una testa, e la guerra ammazza solo i figli di mamma, che in fondo sono tutti uguali, e fare una guerra porta solo a questo, a far morire i figli di mamma che sono tutti uguali in tutto il mondo. Lui mi dice che nel villaggio dov’è cresciuto c’era gente di quattordici paesi diversi e che tutti vivevano in pace. Se ci fosse stato Putin, al villaggio, gli dico… Non la prende benissimo.
Io guardo i telegiornali di qua e quelli di là, dice, per cui ho le idee chiare. Quelli di là non sono liberi, faccio notare io, e lui dice io sento tutti i miei cugini e loro sono tutti con Putin. I tuoi cugini non sono liberi, faccio notare nuovamente. Ma loro stanno bene così, dice lui, meglio Putin che quell’ubriacone di Boris Él’cin, venduto all’America, pupazzo dell’America come quel cancro assassino di Gorbačëv, che deve morire male e torturato. Faccio presente che è già morto. Ha venduto le fabbriche ai mafiosi, dice, che doveva darle al popolo, un pezzo a te, un pezzo a te, agli operai e ai lavoratori, e ha fatto un grande disastro solo per favorire l’America, ha svenduto la Russia e infatti gli hanno dato il premio Nobel. Cooperative, penso io. Il giudizio storico su Gorbačëv, in effetti, penso, ma poi non dico nulla.
Ora parlate tutti di Naval’nyj, dice lui, come se Naval’nyj fosse un eroe. Ma Naval’nyj è un traditore della Russia e Putin ha fatto bene a metterlo in carcere, dice. Lo avrebbe avvelenato e adesso anche ucciso, faccio presente, non ci sono prove ma così sembrerebbe. Lui ride: se Putin avvelena una persona, mi dice, quella persona muore. Ad avvelenarlo per finta sono state le stesse persone a cui Naval’nyj si è venduto, e tutto questo per danneggiare Putin. Gli dico che il danno mi pare sia stato fatto all’avvelenato Naval’nyj, con appunto del veleno, ma che effettivamente non posso sapere chi l’ha avvelenato. Lui lo sa, e me lo dice: è stata l’America.
Chiedo: scusa, e allora Anna Politkovskaja? Lui non sa chi sia. Mai sentito parlare.
Dico che è stata una giornalista d’inchiesta, che aveva denunciato le storture della guerra in Cecenia ma non solo, che era una persona molto scomoda per Putin, in patria e all’estero, e che come regalo per il compleanno dello zar, il 7 ottobre (annuisce, conosce la data di nascita di Putin), il 7 ottobre del 2006 è stata uccisa con quattro colpi di pistola, uno dei quali alla testa, un’esecuzione.
Io guardo i documentari, dice lui. L’America si crede padrona del mondo, come adesso che fa la guerra con Israele. E Anna Politkovskaja? È sempre l’America? Non lo sa. Non ha ancora visto il documentario su di lei.
Faccio un gioco, gli dico che il 7 ottobre hanno fatto un altro bel regalo a Putin, l’attacco di Hamas a Israele, e improvvisamente la guerra in Ucraina è passata in secondo, terzo, quarto piano.
Ebrei gente senza terra, dice lui, come gli zingari.
Vi va un caffè?
L’operaio di Caivano con la figlia juventina ne avrà bevuti dodici ma per bontà d’animo ne prende un altro.
Il russo no. Ha la pressione alta. Mi racconta che a una signora con il passaporto russo non hanno voluto dare una bottiglia d’acqua al duty-free dell’aeroporto di Fiumicino.
Sarà colpa dell’America, gli dico.
Il muro tra due settimane si può imbiancare, mi dice lui mentre finisce di rimettere a posto il termosifone, dopo aver chiuso tutto e rasato la superficie con destrezza.
È un tizio simpatico. Come il padre di De Gregori era un ragazzo tranquillo in una sua bella canzone. Mi dice che nei prossimi giorni bisogna vedere se il parquet non gonfia. È bello il parquet, ma è una seccatura, dice, e se questo è laminato probabile che non gonfia, dice. Quello da ricchi invece gonfia di sicuro quando si asciuga, specifica. Il mio è laminato. E allora capace che non si gonfia, mi dice. E mi dice pure che sua moglie voleva il parquet a casa e lui che è un abile e veloce operaio le ha fatto trovare già posate delle mattonelle a effetto parquet: ecco, le ha detto, pensatelo che è un parquet, ha detto con quella sua parlata slava.
La foto di copertina che apre il pezzo è di Emiliano Ereddia. Le illustrazioni a seguire sono immagini sintetiche create da Alberto Puliafito remixando l’immagine originale attraverso strumenti di intelligenza artificiale generativa.
Diario di un autore contemporaneo perso tra le variabili del nostro tempo
In Italia c’è una sola vera emergenza: la campagna elettorale.
Un po’ come in quella canzone di Giorgio Gaber.
E adesso guardo un po’ meno Twitch, un po’ meno serie e film, sempre meno televisione – diciamo che ho gli occhi stanchi, mettiamola così.
È bello il parquet, ma è una seccatura.
In Italia c’è una sola vera emergenza: la campagna elettorale.
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