Ep. 02

La politica di coesione funziona?

Tra rapporti e ricerche, proviamo a capire se e quali disuguaglianze vengono colmate grazie ai fondi europei.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Dalle nostre serie Serie Giornalistiche
Le basi della coesione

Capire la Politica di Coesione, e i suoi effetti sulle nostre vite di cittadine e cittadini, è cruciale ma non sempre facile. Con questa serie collettiva, proviamo a sciogliere un po’ di nodi.

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È la più grande politica del mondo del suo genere.

È uno dei capitoli più ricchi del budget dell’Ue 

E risponde a uno degli obiettivi più antichi e cruciali che l’Unione si è data. 

 

È la politica europea di coesione, una politica territoriale (place-based, in inglese) che muove centinaia di miliardi di euro ogni sette anni per colmare le disuguaglianze interne all’Ue. 

 

Con quali risultati?

 

La domanda è difficile e la risposta complessa.

Ma riguarda da vicino anche l’Italia, che è storicamente uno dei principali paesi beneficiari di questa politica. 

«La politica di coesione è la colla che tiene insieme l’Europa»

Coesione economica, sociale e territoriale

La politica di coesione è una politica pubblica di investimenti il cui obiettivo principale è ridurre le differenze tra i vari territori dell’Unione Europea, cosicché gli abitanti possano avere accesso alle stesse opportunità, a prescindere da dove risiedono.

 

Tale obiettivo viene perseguito promuovendo la coesione economica, sociale e territoriale, in modo che si riesca ad attuare una crescita tangibile, sostenibile e inclusiva dei vari Paesi.

 

In particolare, vengono seguite con maggiore attenzione le zone rurali, le zone interessate da transizione industriale e le regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici.

 

«La politica di coesione è la colla che tiene insieme l’Europa», ha sintetizzato nel 2022 la Commissaria per la coesione e le riforme Elisa Ferreira.

 

Ed è una colla che, per l’attuale periodo 2021-2027, vale 327 miliardi di euro. 

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Fabrice Serodeala - Centro per il riuso dei rifiuti, Bruxelles, Belgio

Il punto è se (e quanto) i soldi che da Bruxelles fluiscono in tutte le regioni del continente riescano davvero a ridurre le differenze tra territori. 

 

Secondo la Commissione Europea, nel complesso sì, sebbene con delle criticità.
Lo si legge nell’ottava Relazione
sulla coesione economica, sociale e territoriale – la più recente, pubblicata a febbraio 2022. 

 

Il documento spiega che le disparità in Europa sono diminuite negli ultimi due decenni, ma non ovunque e non allo stesso ritmo, anche a causa della crisi del 2008 e della pandemia.

 

A livello geografico le tendenze sono due, molto diverse.
La prima riguarda le regioni meno sviluppate (con livello di Pil inferiore al 75% della media UE) dell’Europa orientale, che dal 2001 «hanno iniziato a rimettersi al passo con il resto dell’UE, causando una riduzione significativa del divario nel PIL pro capite. I loro elevati tassi di crescita sono stati alimentati da una trasformazione strutturale, in particolare da un passaggio dell’occupazione dall’agricoltura a settori dal valore aggiunto maggiore».

 

Di contro, «diverse regioni a reddito medio (con livello di Pil tra il 75% e il 100% della media UE) e  meno sviluppate, soprattutto nell’UE meridionale, hanno registrato una stagnazione o una contrazione dell’economia e questo indica che si trovano in una trappola dello sviluppo.
Molte di esse sono state colpite dalla crisi economica e finanziaria nel 2008 e da allora stentano a riprendersi». 

 

In questo contesto, secondo la Commissione Ue, la politica di coesione ha dato il suo contributo.

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Emmanuel Lemaignen - Festival di Street Art, Uzerches, Francia

«La modellizzazione economica indica che nel 2023 il Pil pro capite sarà più alto del 2,6% nelle regioni meno sviluppate, grazie al sostegno ricevuto dalla politica di coesione nel periodo 2014-2020. Questo modello mostra inoltre che il divario tra il Pil pro capite delle regioni che si  trovano ai decili più alti e più bassi diminuirà del 3,5%», si legge nella relazione. 

 

In un intervento dell’ottobre 2023, Ferreira ha rivendicato quanto fatto, spiegando che «i programmi 2014-2020 hanno sostenuto oltre 4,4 milioni di imprese, creato 350.000 nuovi posti di lavoro e aumentato le prestazioni energetiche di oltre 540.000 famiglie». 

 

La relazione, però, mette in luce anche le criticità.

 

Tra 2012 e 2019, le persone a rischio povertà in Ue sono diminuite di 17 milioni, ma la pandemia ha invertito la tendenza, facendole crescere di cinque milioni negli anni successivi.
Inoltre, nonostante l’occupazione nel 2022 risultasse in aumento, la relazione rileva delle differenze territoriali «più pronunciate rispetto al periodo precedente la crisi del 2008, con dei tassi di occupazione considerevolmente più bassi nelle regioni meno sviluppate».
Il divario di genere, per esempio, nelle regioni più sviluppate è mediamente del nove per cento, mentre in quelle meno sviluppate sale al 17%.

 

E qui sorge spontanea un’altra domanda. 

Se la politica di coesione ha un effetto positivo sui territori meno sviluppati dell’Ue, come influisce invece sulle singole persone che quei territori li abitano?  

Un potenziale limitato

Una risposta arriva dallo studio Place-Based Policies and Inequality Within Regions, pubblicato a marzo 2023 da Valentin Lang, Nils Redeker e Daniel Bischof. 

 

I ricercatori, che provengono dall’Università di Mannheim, dal Centro Jacques Delors di Berlino e dall’Università di Aarhus, sostengono che «la Politica di Coesione dell’UE, aumenta i redditi delle famiglie benestanti ma incide appena sulle famiglie a basso reddito nelle regioni sostenute»

 

«Questo risultato è dovuto all’aumento del reddito da lavoro per le fasce di reddito più ricche e più istruite.

Questi gruppi di reddito sembrano essere in una posizione migliore per raccogliere i benefici della politica [di coesione]», si legge nelle conclusioni dello studio. 

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Carmela Gioia - Notte Europea dei Ricercatori, Italia

Il lavoro di ricerca si è basato sui dati delle famiglie di 2,4 milioni di intervistati nell’Unione Europea  e dimostra «che la disuguaglianza di reddito all’interno delle regioni europee è sostanziale, si è ampliata a partire dagli anni ’90 e contribuisce maggiormente alla disuguaglianza complessiva rispetto a quella interregionale».

 

Le conclusioni del nuovo studio, quindi, sembrano essere molto distanti da quelle cui è arrivata la Relazione della Commissione UE.
Eppure, leggendo meglio, la distanza tra i due lavori di ricerca si riduce.

 

Lang, Redeker e Bischof, infatti, chiariscono che i risultati da loro ottenuti «non implicano che le politiche basate sul luogo siano inefficaci.
Se l’obiettivo è ridurre la disuguaglianza tra le regioni, sono strumenti potenti. Tuttavia, il loro potenziale per affrontare la disuguaglianza complessiva e fornire sollievo ai poveri sembra fortemente limitato – a meno che non siano abbinate a regole che garantiscano una distribuzione più egualitaria del sostegno basato sul luogo».

 

La riflessione è importante per il futuro della politica di coesione a livello europeo, ma anche per il nostro paese, che viene citato da Lang, Redeker e Bischof.

«Sia in Spagna che in Italia – scrivono – le regioni meridionali sono sostanzialmente più diseguali di quelle settentrionali».
Per questo, capire se la politica di coesione è efficace in queste zone è ancora più importante.

Convergenza cercasi

L’Italia ha storicamente beneficiato di cospicui finanziamenti tramite la politica di coesione, indirizzati soprattutto verso le regioni del Sud. Nell’attuale programmazione, 2021-2027, siamo il secondo paese con più fondi, dopo la Polonia, con a disposizione 75,3 miliardi di euro, tra risorse europee (circa 40 miliardi) e cofinanziamento nazionale.

 

Tanti?
Sì e no.

 

Per fare un paragone, le spese correnti previste per il 2023 dallo Stato italiano erano 715 miliardi di euro.

 

«In assoluto, il bilancio della politica di coesione non è tanto, ma, visto il modo in cui i fondi sono distribuiti, in alcuni territori rappresentano la grande maggioranza degli investimenti pubblici», ha spiegato a La Revue Dessinée Italia Nicola De Michelis, funzionario della Commissione Ue che si occupa di coesione da molti anni.

 

È il caso del sud Italia, per esempio. 

 

E, per comprendere se e in quale misura le dinamiche descritte finora a livello europeo riguardino anche l’Italia, ci viene in aiuto uno studio pubblicato a giugno 2023 dall’Istat.

Il titolo è già di per sé piuttosto esplicativo: La Politica di Coesione e il Mezzogiorno – Vent’anni di Mancata Convergenza

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Michal Zxkudlarek - Pista ciclabile a Brzeg e Skarbimierz, Polonia

«Nel corso degli ultimi cicli di programmazione, – si legge nel documento – per la Spagna, la Polonia e la Romania (che sono tra i principali beneficiari delle politiche di coesione) è cambiata la percentuale di popolazione interessata. Invece l’Italia ha mantenuto sostanzialmente stabile il suo coinvolgimento in termini di popolazione (oltre 19 milioni di abitanti) e ha ampliato il numero di regioni coinvolte».

 

L’Istat ha analizzato gli ultimi tre cicli di programmazione della politica di coesione (2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020), per i quali è possibile avere un quadro statistico pressoché completo e osservare, attraverso l’andamento del Pil pro capite a parità di potere di acquisto (ppa), se vi sono stati processi di convergenza fra le regioni e i territori degli Stati membri.

 

I risultati sono sconfortanti, per due motivi. 

 

Il primo, dice lo studio, è che «non si è verificato il processo di convergenza delle regioni italiane classificate come “meno sviluppate” (pressoché quasi tutto il Mezzogiorno d’Italia ad eccezione dell’Abruzzo), che hanno continuato a crescere sempre molto meno della media dei Paesi dell’Ue27», anche a causa di una bassa produttività e ancora più bassa occupazione (rispettivamente, -9% e -20% rispetto alla media Ue).

 

Il secondo, prosegue l’istituto, è che «l’intero sistema Paese Italia si è contraddistinto per un processo di progressivo allontanamento dal dato medio europeo: nel 2000 erano ben 10 le regioni italiane fra le prime 50 per Pil pro capite in ppa e nessuna fra le ultime 50. Nel 2021 fra le prime 50 ne sono rimaste solo quattro (Provincia autonoma di Bolzano/Bozen, Lombardia, Provincia autonoma di Trento e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste), mentre fra le ultime 50 ora se ne trovano ben quattro (Puglia, Campania, Sicilia e Calabria)».

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Karolina Nawrot -Ricostruzione del sentiero antincendio a Osturnia, Lapsanka, Slovacchia/Polonia

Infine, bisogna tener conto anche di un altro elemento. Anche in quelle regioni del Sud in cui il processo di convergenza c’è stato, sembra che sia in buona parte imputabile «all’espansione geografica dell’Unione Europea».

 

L’ingresso nell’Unione di paesi dell’Europa orientale con un reddito pro capite relativamente in basso, infatti, ha portato a un abbassamento della media totale del reddito pro capite europeo, e di conseguenza alcune regioni meno sviluppate – la Basilicata, ad esempio – sono fuoriuscite da tale definizione.

Non per un reale balzo in avanti, quindi, quanto per un mero effetto statistico.

Poca spesa, tanta resa?

Uno dei problemi, anzi, il primo dei problemi è che l’Italia fatica a spendere i fondi UE. 

Quando poi ci riesce, lo fa spesso di fretta e questo incide sulla qualità della spesa. 

 

A Febbraio 2023, il Governo ha presentato la Relazione sull’attuazione della Politica di coesione 2014-2020.

 

L’analisi, ha commentato Ifel, «restituisce un quadro in cui l’Italia, che è uno dei maggiori beneficiari dei fondi strutturali e di investimento europei, si colloca purtroppo agli ultimi posti per efficienza ed efficacia nell’utilizzo delle risorse assegnate».

 

Alla fine di ottobre 2022, la percentuale di spesa era pari al 55 per cento del programmato, contro una media europea del 69 per cento.

Il dato aggiornato ad agosto 2023 è salito al 70 per cento, ma la media Ue rimane lontana, a quota 84 per cento. 

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Lyubomila Dimitrova - Bagni Termali Centrali, Sofia, Bulgaria

Sulla questione, da quando si è insediato, si è espresso più volte Raffaele Fitto, Ministro per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR.

 

«L’Italia – ha dichiarato – non riesce a spendere in maniera né soddisfacente né efficiente i fondi di coesione dell’Unione europea. È per questo che è più che mai necessario e urgente intervenire in maniera strutturale per cambiare il sistema con cui i fondi vengono utilizzati». 

 

Ora, proprio su spinta del ministro Fitto, la riforma della politica di coesione in Italia è stata inserita tra gli obiettivi del Pnrr, che l’Italia ha appena rivisto. Dovrà quindi essere affrontata nei prossimi mesi.


Il problema, l’ennesimo, è che la programmazione in corso (2021-2027) è partita a rilento a causa della pandemia e della concomitanza con il Pnrr e ora sta risentendo negativamente anche di questa ulteriore incertezza causa dall’imminente riforma.

 

Intanto, da Bruxelles fanno sapere che finora «si è mosso ben poco. Giusto qualche bando».

Le immagini che accompagnano questo articolo sono prese da una campagna della DG Regio della Commissione Europea per far conoscere i progetti finanziati dalla politica di coesione nei paesi UE.

 

Immagine di copertina: Adrian Krac – Rigenerazione del centro cittadino, Lublino, Polonia

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