«La modellizzazione economica indica che nel 2023 il Pil pro capite sarà più alto del 2,6% nelle regioni meno sviluppate, grazie al sostegno ricevuto dalla politica di coesione nel periodo 2014-2020. Questo modello mostra inoltre che il divario tra il Pil pro capite delle regioni che si trovano ai decili più alti e più bassi diminuirà del 3,5%», si legge nella relazione.
In un intervento dell’ottobre 2023, Ferreira ha rivendicato quanto fatto, spiegando che «i programmi 2014-2020 hanno sostenuto oltre 4,4 milioni di imprese, creato 350.000 nuovi posti di lavoro e aumentato le prestazioni energetiche di oltre 540.000 famiglie».
La relazione, però, mette in luce anche le criticità.
Tra 2012 e 2019, le persone a rischio povertà in Ue sono diminuite di 17 milioni, ma la pandemia ha invertito la tendenza, facendole crescere di cinque milioni negli anni successivi.
Inoltre, nonostante l’occupazione nel 2022 risultasse in aumento, la relazione rileva delle differenze territoriali «più pronunciate rispetto al periodo precedente la crisi del 2008, con dei tassi di occupazione considerevolmente più bassi nelle regioni meno sviluppate».
Il divario di genere, per esempio, nelle regioni più sviluppate è mediamente del nove per cento, mentre in quelle meno sviluppate sale al 17%.
E qui sorge spontanea un’altra domanda.
Se la politica di coesione ha un effetto positivo sui territori meno sviluppati dell’Ue, come influisce invece sulle singole persone che quei territori li abitano?