Ep. 1

Diritto all’asilo

Antonio Riccio
Dalle nostre serie Serie Giornalistiche
Qualcuno pensa ai bambini?

L’Italia è un paese con pochi bambini e pochissimi servizi l’infanzia. La politica di coesione può colmare questi vuoti?

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

Ezinne Lilian Nkwocha si sente a casa ad Acerra. Qui è dove si è ritrovata nel 2015 con suo marito, che era andato via dalla Nigeria anni prima, e dove sono nati i suoi figli, Chidiebere Salvatore, che ha cinque anni, e Kamsi Uriella che ne ha due e mezzo. Gli amici nigeriani di suo marito, che lavora a Napoli come commerciante, l’hanno presa in giro. Acerra è nota per il termovalorizzatore e i suoi conoscenti le dicevano che non si respira bene in questo comune napoletano di 60mila abitanti.

Ma ad Acerra Nkwocha si trova bene. Anche se il periodo del Covid è stato duro, Nkwocha, 34 anni, laureata in scienze politiche nello stato dell’Imo, nel sud-est della Nigeria, è riuscita a studiare per fare l’esame della terza media mentre i figli avevano posto una a nido comunale e uno alla materna.

Da settembre 2021, però, le cose sono cambiate: il nido non ha riaperto in seguito a un problema di appalto e lei ed altre 29 famiglie si sono trovate senza un’opzione educativa per i più piccoli. Non solo le sole in questa situazione.

Per raggiungere l’obiettivo europeo di 33 posti in asilo nido ogni 100 bambini, il nostro Paese ne dovrebbe creare almeno altri 100mila.

Mentre in Italia si dibatte sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e su come spendere i soldi per creare più posti nei nidi, che sono pochissimi soprattutto nel sud Italia, la maniera in cui Acerra ha provato a risolvere il problema — grazie in parte ad altri fondi europei, quelli di coesione — può aiutare a illustrare le sfide cui vanno incontro le amministrazioni comunali che provano a colmare il vuoto dei servizi per la prima infanzia.

In Campania ci sono solo 9,3 posti in asili nido per ogni 100 bambini 0-2 anni, l’offerta più bassa tra le regioni italiane, secondo gli ultimi dati Istat che si riferiscono all’anno educativo 2019-2020. Non solo la Campania è molto al di sotto della media nazionale del 26,9 per cento, ma lo è ancora di più rispetto all’obiettivo europeo che l’Italia si è prefissa di raggiungere entro il 2025, ma che sarà difficile da realizzare se non si colma il divario di copertura tra nord e sud, come denuncia il rapporto asili nido di openpolis e Con I Bambini. In Italia i bambini sotto i 3 anni che frequentano una qualsiasi struttura educativa sono il 26,3 per cento, valore inferiore alla media europea (35,3%) e ad altri paesi del sud Europa (Spagna 57,4%, Francia 50,8%), secondo l’ultimo rapporto Istat.

Il dato campano è particolarmente allarmante considerato che questa regione ha un tasso più alto di residenti minori rispetto alla media italiana (18% vs 16%): Napoli e Caserta sono tra le dieci province italiane con il tasso più alto di bambini tra 0 e i 2 anni.

Napoli e Caserta sono tra le dieci province italiane con il tasso più alto di bambini tra 0 e 2 anni.

Allo stesso tempo, la Campania è anche la regione che ha avuto una notevole ripresa negli ultimi anni. Tra il 2012 e il 2019, il numero di comuni campani che hanno attivato servizi per l’infanzia è cresciuto in modo nettamente più marcato rispetto al dato medio nazionale, arrivando al 73% del totale contro il 60% a livello italiano, secondo dati dell’Istat. Questo è stato spesso possibile grazie ai finanziamenti della politica di coesione dell’Unione Europea, attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) ed il Fondo sociale europeo (FSE), che hanno appunto lo scopo di ridurre il divario economico e sociale tra le regioni più o meno sviluppate del continente. Grazie ai fondi di coesione dedicati ai servizi per l’infanzia, in Italia ci sono stati investimenti pari a 1,14 miliardi di euro per un totale di 15.017 progetti, nei due cicli di programmazione 2007-2013 e 2014-2020, secondo dati di OpenCoesione.

Allo stesso tempo, la Campania è anche la regione che ha avuto una notevole ripresa negli ultimi anni. Tra il 2012 e il 2019, il numero di comuni campani che hanno attivato servizi per l'infanzia è cresciuto in modo nettamente più marcato rispetto al dato medio nazionale, arrivando al 73% del totale contro il 60% a livello italiano, secondo dati dell’Istat. Questo è stato spesso possibile grazie ai finanziamenti della politica di coesione dell’Unione Europea, attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) ed il Fondo sociale europeo (FSE), che hanno appunto lo scopo di ridurre il divario economico e sociale tra le regioni più o meno sviluppate del continente. Grazie ai fondi di coesione dedicati ai servizi per l'infanzia, in Italia ci sono stati investimenti pari a 1,14 miliardi di euro per un totale di 15.017 progetti, nei due cicli di programmazione 2007-2013 e 2014-2020, secondo dati di OpenCoesione.
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La Città della Scuola di Acerra - Foto di Antonio Riccio
La Città della Scuola di Acerra - Foto di Antonio Riccio

Fino al 2017, il comune di Acerra non aveva asili nido comunali, ma solo posti nido in strutture private convenzionate. Grazie a fondi FESR, nell’ambito dei programmi relativi allo sviluppo della regione Campania, il comune ha ottenuto finanziamenti in due programmazioni successive per un totale di 8,5 milioni di euro per creare una struttura che potesse ospitare servizi per l’infanzia dai 0 ai 5 anni e per le scuole dell’obbligo.

Il polo conosciuto come Città della Scuola è stato eretto in un ex campo agricolo in una zona periferica circondata da molti edifici dormitorio e da terre coltivate. La struttura è stata data poi in gestione a uno dei circoli didattici, ma il nido non è stato creato. La Città della Scuola funziona solo a partire dalla scuola materna, ovvero per la fascia 3-5 anni, però dà la possibilità a bambini di iniziare già dai due anni, come anticipatari. Questo fenomeno, noto come sezioni primavera, è molto diffuso nel sud Italia per venire incontro alla mancanza di servizi per la fascia 0-2, ed è possibile perché le scuole materne sono molto diffuse nei territori, facendo dell’Italia uno dei paesi europei che ha già raggiunto gli obiettivi per la fascia 3 anni fino alla scuola dell’obbligo.

"Per Acerra i fondi strutturali e di investimento europei rappresentano gli strumenti che hanno permesso di realizzare interventi complessi per il miglioramento di competitività, sostenibilità e inclusione sociale"

Grazie a fondi FESR gestiti dalla regione Campania, il comune ha poi ristrutturato una vecchia scuola per trasformarla in asilo nido comunale. E grazie ad altri fondi, ha dato il nido in gestione a una cooperativa. Inaugurato nel 2017, l’asilo si trova nelle vicinanze del termovalorizzatore, in una zona periferica di Acerra, che è il terzo comune più ampio della provincia di Napoli. Il primo anno il comune ha offerto una navetta gratis ai trenta bambini che frequentavano, per poter coprire i sei chilometri che lo separano dal centro della città. Poi, la navetta è venuta meno con i successivi cambi di gestione.

A settembre 2021, in seguito ad un problema di appalto che dipendeva dalla programmazione dei fondi regionali, l’asilo non ha riaperto, lasciando Nkwocha e molte altre madri senza alternative per i figli fino a marzo 2022, quando è prevista la riapertura. Nonostante questo problema, ad Acerra, la volontà politica sembra esserci. Nei dieci anni di gestione del sindaco Raffaele Lettieri, la città ha investito molte risorse, europee e non, per creare spazi per l’infanzia e per rigenerare aree periferiche. «Per Acerra i fondi strutturali e di investimento europei rappresentano gli strumenti che hanno permesso di realizzare interventi complessi per il miglioramento di competitività, sostenibilità e inclusione sociale», si legge nel sito che il comune di Acerra ha dedicato alle politiche europee. Negli ultimi anni, il comune di Acerra ha ottenuto diversi fondi europei per l’infanzia. I finanziamenti hanno fatto una differenza a livello di servizi dell’infanzia: nel 2014, Acerra offriva solo 3 posti ogni 100 bambini in nido, mentre nel 2018 i posti erano diventati 9.

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Foto di Antonio Riccio
Ascolta la voce del sindaco Raffaele Lettieri

Con i nidi, dice Giuseppe Gargano, dirigente della direzione comunale di Acerra che si occupa di politiche sociali, e quindi gestisce anche gli asili nido, il problema è la gestione. I fondi europei di coesione hanno potuto finanziare l’infrastruttura ma poi sono stati i comuni che hanno dovuto cercare altri fondi per gestire le strutture. I fondi permettevano di fare gare di appalto per dare la gestione in concessione a cooperative, però le gare di appalto si dovevano fare di anno in anno, rendendo impossibile una pianificazione a lungo termine e creando intoppi come quello che non ha permesso la riapertura del nido a settembre del 2021. «Se il governo ha detto che l’istruzione inizia a zero anni, perché se ne devono occupare i comuni con i servizi sociali, perché non se ne occupa il ministero dell’istruzione?» chiede Gargano.

 

C’è anche un altro problema rispetto ai nidi, spiega Gargano. Le quote di compartecipazione delle famiglie di classe media nel nido comunale sono piuttosto alte, rendendo i prezzi del nido pubblico poco competitivi rispetto alle rette dei nidi privati. Le quote di compartecipazione per la regione Campania (che dipendono dall’ISEE come nella maggior parte del paese), possono arrivare fino a 474 euro al mese, mentre un asilo nido privato può avere un costo minimo più basso. E quindi, alla fine, i genitori preferiscono il privato per spendere meno — anche se le spese di asili (pubblici e privati) possono essere rimborsate attraverso il bonus asili nido.

Acerra al momento offre 30 posti a bambini nel suo asilo comunale, 50 in due asili nido privati convenzionati, e 105 in sezioni primavera, pubbliche e private, per un totale di 185 posti. Nel nido pubblico non c’è lista di attesa perché non c’è una domanda reale dei cittadini. E così, Acerra si ritrova con un asilo comunale dove nessuna famiglia paga la retta mensile, perché hanno tutte un ISEE molto basso, e quindi — non avendo entrate dirette dalle famiglie — la città dipende interamente da fondi regionali per poter far funzionare la struttura.

«Qui c’è una soglia di povertà molto diffusa, abbiamo il 50 per cento di stranieri che usano i nidi, che portano i bambini e sanno che avranno un pasto sano, i pannolini, la frutta. Il nido ha una funzione quasi assistenziale di cura dei bambini», dice Gargano. «A me non importa perché questa funzione mi sembra ancora più importante di quella di conciliazione dei tempi di lavoro della famiglia».

Questa è una anomalia positiva di Acerra, dato che di solito il nido lo frequentano i bimbi di famiglie più avvantaggiate, dove entrambi i genitori lavorano (68,7% secondo dati dell’Istat), e famiglie come quelle di Nkwocha rimangono escluse.

La situazione varia molto all’interno della regione Campania. Se ad Acerra, ci sono nove posti per 100 bambini, dall’altro lato del Vesuvio, a 60 km a sud, la città di Salerno offre trenta posti ogni 100 bambini. Il caso Salerno è un’eccezione non solo nel territorio campano, ma anche a livello del sud Italia dove, a parte Lecce, la maggior parte degli altri capoluoghi di provincia ha un’offerta molto bassa, e per la maggior parte grazie alle strutture private. A Salerno i genitori lottano per avere un posto nel nido pubblico, anche quando è lontano da casa, e ci sono liste di attesa.

«Mi sembrava di stare in casa, di lasciare la piccola in famiglia».

«Sono stata molto accolta dalle maestre, mi sembrava di stare in casa, di lasciare la piccola in famiglia», racconta Enza Torello, madre di Manuel, che ha 5 anni, e di Alma, di 3 anni. Anche se Manuel era già iscritto ad un asilo comunale sotto casa, quando ad Alma non venne dato il posto nello stesso asilo, Torello decise di portarla in un altro nido comunale andando in auto, piuttosto di avere una babysitter a casa.

«Che cosa possono fare mai i bambini al nido?, pensavo. Con i miei figli mi sono ricreduta. Anche a sette mesi è importante, provano sapori, fanno esperienze che non immaginavo», spiega Torello. «A casa una mamma non ha tutto questo tempo da dedicare al bambino, è un’esperienza formativa».

Torello lavora in amministrazione all’università di Salerno, e non ha famiglia che la possa aiutare con i bambini, e quindi aveva bisogno del nido. Ma a Salerno anche madri che rimangono a casa decidono di portare i bimbi al nido fin da piccolissimi.

Stefania Casciello non lavora da quando è diventata madre oltre tre anni fa, ma sente che è importante che i suoi bambini frequentino un nido di qualità. Anche se si è sentita dire da altre persone che i bambini stanno meglio a casa con la mamma che al nido, che molti suoi conoscenti considerano un “parcheggio”, lei ha già potuto vedere come il suo primogenito, Claudio, che ora ha tre anni e va alla materna, è cresciuto e ha imparato a socializzare grazie al nido. «Io ho notato un cambiamento, un miglioramento», dice Casciello, che è anche madre di Carlotta, che ha iniziato il nido a settembre prima di compiere un anno.

L’asilo comunale di Via Premuda, a Salerno - Foto di Antonio Riccio
L’asilo comunale di Via Premuda, a Salerno - Foto di Antonio Riccio
L’asilo comunale di Via Premuda, a Salerno - Foto di Antonio Riccio
L’asilo comunale di Via Premuda, a Salerno - Foto di Antonio Riccio
450,000 euro

Sia Torello sia Casciello hanno mandato i bimbi all’asilo comunale di Via Premuda, il fiore all’occhiello delle politiche pubbliche per l’infanzia di Salerno — una struttura comunale che funziona dal 2011 seguendo un modello educativo basato sugli approcci di Reggio Emilia e della Toscana, conosciuti in tutto il mondo per mettere il bimbo al centro delle prime esperienze scolastiche. La struttura salernitana, una vecchia scuola in un quartiere popolare, è stata ristrutturata grazie a 450,000 euro stanziati da fondi FESR, con una partecipazione da parte del comune quando era sindaco Vincenzo De Luca, ora presidente della regione Campania.

 

L’asilo di Via Premuda è uno dei tanti ristrutturati a Salerno grazie a fondi FESR e gestito dal Consorzio La Rada, un consorzio di cooperative sociali che si occupa della maggior parte degli asili nido comunali salernitani. Secondo Rossella Trapanese, ricercatrice presso il Dipartimento di Studi politici e sociali dell’Università di Salerno e responsabile dell’Osservatorio politiche sociali (OPS) dell’Università di Salerno, l’elemento straordinario del sistema degli asili a Salerno è che sono cresciuti grazie ad un input molto forte del comune e con diverse cooperative che si sono organizzate sotto l’ombrello di La Rada. I fondi europei e nazionali sono stati utilizzati al meglio, capendo bene quali erano le necessità delle famiglie.

Con laboratori giornalieri per i bambini per sviluppare motricità e tutti i sensi, attività all’esterno, cibo fresco e sano (con controlli periodici della ASL locale) e attività che coinvolgono genitori e nonni in maniera regolare, l’asilo di Via Premuda si è creato un riconoscimento sociale. C’è stato un passaparola tra famiglie che erano molto soddisfatte del servizio, sia in questo asilo che in altri della città. «Si è creata una realtà virtuosa che ha cambiato la percezione di tutti, persino dei nonni che spesso, nel sud Italia, si oppongono al mandare i nipoti al nido che vedono come un servizio che serve ai genitori ma non ai bimbi», spiega Trapanese. Al cambiare la percezione culturale del nido, si è creata anche più domanda da parte delle famiglie, confermando alle autorità salernitane che i nidi sono un servizio molto richiesto. È una grande differenza rispetto a realtà come quelle di Acerra, dove ogni anno c’è stata una gara di appalto nuova e la gestione delle cooperative è cambiata. Anche a Salerno ci sono gare di appalto ogni anno, ma la maggior parte delle cooperative del territorio si sono organizzate, riuscendo a rispondere all’input politico e a dare continuità nella gestione dei servizi, grazie anche al fatto che il comune di Salerno ha risorse proprie per pagare i nidi e non dipende dai finanziamenti esterni.

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Foto di Antonio Riccio

«Senza continuità non si crea fiducia», aggiunge Trapanese. In più La Rada è parte del Consorzio Nazionale della Cooperazione Sociale Gino Mattarelli (CGM), che fa confrontare la realtà salernitana con altre realtà nazionali con più storia di asili nido, permettendo alle strutture salernitane di diventare ancora più competitive.

 

Spesso il dibattito attorno agli asili nido si centra attorno all’idea di offrire un appoggio alle famiglie in cui i genitori, specialmente le madri, lavorano. Con questa idea di conciliazione tra i tempi lavorativi e quelli della famiglia sono nati cinquant’anni fa, a seguito di una legge del 6 dicembre 1971. Ma in realtà la funzione degli asili nido ha ben altra importanza, perché i primi anni di vita dei bambini, specialmente i primi mille giorni a partire dal concepimento fino ai due anni, sono fondamentali nello sviluppo dell’architettura cerebrale, così come dimostrano molti studi neuroscientifici. I nidi di qualità offrono ai bambini l’opportunità di imparare giocando, ed anche di socializzare al di fuori della propria famiglia di origine. In questa fase i bambini sono delle spugne capaci di assorbire molto velocemente le influenze dell’ambiente circostante, e per questo stanno aumentando le richieste di politiche pubbliche che garantiscano a tutti un ambiente di crescita quanto più favorevole possibile — a prescindere dalle condizioni della famiglia. In contesti di povertà, il nido incide sulla povertà educativa e aiuta quindi a ridurre le disuguaglianze. Per questa ragione, nel 2017, il ministero dell’istruzione ha approvato nuove linee pedagogiche del sistema integrato 0-6, riconoscendo l’importanza dell’educazione dal momento della nascita e la necessità di una continuità educativa. Ad oggi, però, queste direttive non sono state ancora applicate nel concreto.

Sia Acerra che Salerno sono esempi di quanto i fondi di coesione europea abbiano aiutato a cambiare la rotta rispetto alle politiche della prima infanzia, anche se in maniera limitata. Ad Acerra si sono creati problemi con la gestione della struttura, mentre a Salerno ci sono liste di attesa e quindi non abbastanza offerta per il territorio. Chiaramente la qualità crea maggior domanda, come si è visto a Salerno, e convince le famiglie dell’importanza degli stimoli che provengono da un nido. I problemi coi nido riguardano quindi non solo la quantità, ma anche la qualità.

Con il Pnrr, lo strumento con il quale l’Italia ha definito gli obiettivi da raggiungere con i fondi europei del Next Generation EU, il governo italiano ha messo a disposizione 2,4 miliardi di euro per asili nido, di cui il 55 per cento andrà al sud Italia che è molto più indietro.

2,4 miliardi di euro
55% al sud

Ma anche così c’è preoccupazione. «Se prevarrà soltanto la logica dello “spendere i soldi”, l’obiettivo potrà essere raggiunto anche soltanto attraverso una migliore e più rapida risposta dei territori che sono storicamente più attrezzati da questo punto di vista. Se invece si privilegerà la logica di investimento per ridurre i divari di cittadinanza, allora si dovrà insistere maggiormente su quei territori che sono molto lontani dall’obiettivo europeo del 33 per cento di posti», dice Marco Rossi-Doria, ex sottosegretario all’istruzione ed ora presidente dell’impresa sociale Con i Bambini.

 

Questa preoccupazione è ben fondata, considerando il divario strutturale nord-sud. L’esecutivo ha stanziato oltre un miliardo per il funzionamento di nidi e scuole dell’infanzia fino al 2027 per aggirare la creazione di infrastrutture senza fondi per la gestione. «Il successo del Pnrr non dipende da quanti fondi ci sono, ma se il sistema è capace di usarli», riprende la ricercatrice Trapanese. Paradossalmente, una città come Salerno, o paesi nella provincia di Reggio Emilia dove i nidi sono consolidati da decenni, potranno attrarre più facilmente fondi e usarli meglio rispetto ad altre realtà che hanno meno esperienza.

Ad Acerra c’è ancora molto lavoro da fare, e molti ostacoli strutturali da superare. Quando il nido è stato chiuso non ci sono state proteste, nota Gargano, il dirigente, anche se varie madri nigeriane, hanno spiegato al comune che senza nido avevano dovuto mettere da parte molti progetti personali. Nkwocha, per esempio, cerca lavoro, ma con il nido chiuso ha smesso di farlo. Sa, però, che il nido è fondamentale da un altro punto di vista: aiuta i suoi figli a crescere e a essere parte della società.

«Non capisco», dice, «perché alcuni genitori lasciano i figli a casa. Perché inizia tutto dai primi momenti, l’asilo li aiuta a muoversi, a conoscere la società in cui si trovano, ad affrontare le sfide che si troveranno davanti».
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