E poi c’è il modo in cui i dati sono stati raccolti. Il Comune, all’inizio della sperimentazione, chiedeva addirittura il motivo preciso per cui si entrava in città: lavoro? terapia? visita ai detenuti? accudimento di familiari? Affinché il portale funzionasse, bisognava esplicitare tutto. Un’iperburocrazia digitale con cui nessuno avrebbe mai accettato di convivere se fosse stata imposta in presenza, da un funzionario con un timbro e un faldone.
Solo più avanti il Comune ha semplificato: ha reso possibile selezionare una voce generica, “altre esenzioni”, che permetteva di compilare il modulo digitale senza entrare nel dettaglio, e ha tolto alcune categorie dall’obbligo di pre-registrarsi. Ma era troppo tardi: il danno (anche normativo) era già fatto.
Il Garante ha poi segnalato problemi anche sui totem: in almeno un caso, l’interfaccia permetteva di modificare le impostazioni del browser, salvare il QR-code nella memoria locale, lasciare tracce di dati nei file temporanei. In pratica, c’era il rischio concreto che le informazioni personali di una persona fossero accessibili a chi usava il totem dopo di lei.
Sicurezza informatica scarsa, insomma. Ma anche progettazione sbagliata: mancava la cosiddetta privacy by default, cioè quel principio che dovrebbe garantire che, anche se una persona sbaglia o non sa, il sistema lo protegge lo stesso.