Non è (mai stato) un paese per veri editori
Ci avviciniamo alla verità: il problema, prima di Amazon, è l’industria editoriale italiana
Chi c’è dietro la logistica del libro in Italia? E come funziona la “bolla dei resi”?
La crisi delle librerie indipendenti è veramente tutta colpa di Amazon?
Nel frattempo la vita in libreria prosegue. Il secondo promotore ha quasi finito, mentre l’ultima, la terza, guarda i libri esposti in una saletta laterale e aspetta il suo turno. Di colpo alza lo sguardo verso di me e mi fa segno di avvicinarmi. Non sto registrando e quello che mi dice lo sto ripetendo a memoria. Ha quasi l’età della pensione, mi spiega, e vorrebbe arrivarci tranquilla, aggiunge ridendo. Non vuole che il suo nome appaia, ma ha sentito le domande che facevo ad Alfredo e voleva aggiungere una cosa. «È assurdo, dice, ma l’editore che io rappresento — un editore storico e molto conosciuto — quest’anno ha fatto un record assoluto di vendite nelle piccole librerie, solo che non li hanno presi da me».
È una promotrice, fa il giro di tutta una serie di librerie portando un catalogo monoeditore ed è preoccupata per il settore, ma anche se quel che sta succedendo è vero, se di librerie indipendenti ce ne sono sempre meno, la colpa non è di Amazon.
«So di alcuni librai che hanno semplicemente deciso di accettare il franchising, e diventare Ubik per esempio», mi dice. Ubik è un marchio che si sta espandendo, me ne ha già parlato Maddalena. Offre ai librai di prendersi in carico l’approvvigionamento del catalogo, offre loro una magna carta di principi bellissimi: “radicamento sul territorio, soddisfazione del lettore “forte”, indipendenza del libraio nella costruzione dell’assortimento ideale, gestione semplificata della libreria, creazione di una comunità attorno alla libreria attraverso un calendario di eventi e incontri con gli autori“. Sulla carta tutto bellissimo, ma nemmeno Ubik è esattamente quello che sembra: pur garantendo amplissimi margini di indipendenza non è un circuito “indipendente”, è una holding, ed è di proprietà di EMMELIBRI – GRUPPO MESSAGGERIE. È un male in sé? No, ma bisogna saperlo.
Il secondo promotore intanto ha finito e prende anche lui la porta. Mentre entra al suo posto una signora di una sessantina d’anni che ha l’aria di essere familiare in libreria. Prende in pochi minuti cinque o sei libri, discute di un settimo e un ottavo con la libraria più anziana, poi scambia due battute con Alfredo, il più giovane dei due librai. Parla del suo romanzo che sta per proporre a una grossa casa editrice. È un’esemplare di lettrice forte, non ce ne sono più così tante. Il suo ingresso esuberante in libreria segna anche la fine della mia breve conversazione con la signora senza nome, che prima di incamminarsi per fare il suo lavoro e vendere i libri che rappresenta al capo di Alfredo, mi dice una cosa: informati su Ceva, lì c’è una parte della colpa di questa situazione. L’altra, ahimè, è l’amatorialità del settore».
Segnatevi anche questa, ci ritorneremo.
CE-VA. Due sillabe, un suono semplice che avevo già sentito nelle parole di Alfredo, un’oretta prima. CEVA sottintende “logistic” e se non ne hai mai sentito parlare, queste sono le informazioni minime che ti serve sapere: CEVA Logistic è una azienda multinazionale con sede in Olanda che, dieci anni fa, a Stradella, in provincia di Pavia, ha creato il progetto Città del libro, che all’epoca definiva una «piattaforma logistica all’avanguardia interamente dedicata al settore editoria».
La Città del libro, malgrado il nome ricordi un festival, è solo un magazzino. Un magazzino gigantesco che contiene 400mila tonnellate di carta, che può movimentare 90 milioni di libri all’anno. È una cosa enorme. Tra i clienti di CEVA ci sono i due più grandi attori della distribuzione: Mondadori e Messaggerie, che insieme formano la gran parte dei libri commercializzati in Italia. Nel 2019, leggo, CEVA Logistic ha acquisito da Mondadori i suoi due magazzini di Verona e Rimini, rispettivamente di 24mila e 12mila metri quadrati, che si vanno ad aggiungere ai 100mila di Stradella.
Quando nell’ottobre del 2014 l’Antitrust si ritrovò per decidere se l’operazione di fusione tra Messaggerie e PDE (la distribuzione di Feltrinelli) rispettasse le regole della concorrenza, i relatori definirono i pesi del mercato della distribuzione verso le librerie. I numeri si riferiscono al 2013: il Gruppo Messaggerie, detenuto da GeMS, ha una quota di mercato del 20-25% mentre la PDE, detenuta dal Gruppo Feltrinelli, il 10-15% (fonte dati Nielsen, dati AIE rielaborati dalle società). E i principali concorrenti? Il primo è il Gruppo Mondadori, che nel 2013 ha il 25-30%, ma che nel frattempo non solo si è mangiato il Gruppo RCS e la sua quota di mercato del 10-15% arrivando al 35-40 per cento del mercato, ma è anche entrato nel parco clienti di CEVA.
Fuori da CEVA cosa resta? Il Gruppo Giunti, con il 5-10% e con la sua filiera che evade personalmente e che, tra le altre, rifornisce i più di duecento punti vendita delle Giunti al Punto e, poi, tutti gli altri: ovvero una serie di società di distribuzione indipendenti e più piccoli e marginali, che insieme arrivano al massimo al 20 per cento.
Ricapitoliamo: 4 gruppi editoriali si dividono il 60 per cento del mercato in valore e in copie e, contemporaneamente, la diretta emanazione, Messaggerie, controllata da 2 di questi, gestisce il magazzino di 3 di loro, concentrando tra il 70 e l’80 per cento del mercato su un fornitore unico: CEVA Logistics, per l’appunto, che a questo punto è difficile capire come mai non appare quasi mai nelle cronache, o come mai non sia intestata contro di lei la legge che si vorrebbe Anti Amazon.
Mentre la promotrice completa la sua mezz’ora di tempo per presentare le ultime novità dell’editore che rappresenta, io dal mio cellulare scopro altri dettagli su CEVA, inquietanti. Scopro infatti che la CEVA Logistic ha un passato recente molto torbido: è al centro di accuse di caporalato e di sfruttamento del lavoro delle cooperative che prestano servizio all’interno della Città del libro, accuse che hanno portato a diversi arresti nel 2018, ma anche nel 2019. Dinamiche bulgare che sono alla base anche di uno sciopero di cui l’opinione pubblica si interessa poco ma che si sta svolgendo proprio ora.
Mondadori, GeMS, Feltrinelli e Giunti hanno circa il 60 per cento del mercato del libro del 2018, calcolato a copie. Ognuna di loro gestisce decine di punti vendita sia indirettamente che direttamente. I giganteschi magazzini di tre di loro, sono distribuiti dalla stessa società, la CEVA Logistic, che sfrutta i lavoratori e che è al centro di accuse molto gravi di caporalato. Di più, perché questo è anche il sistema che si tiene in piedi grazie alla bolla generata dalle rese e, in fondo, è un risultato di concentrazione che sfiora il monopolio.
Non c’è nulla di nascosto, anche qua basta leggere sul sito ufficiale e seguire i grassetti: «La Città del Libro introduce un’innovazione radicale nell’assetto distributivo del settore editoria: la filiera logistica si accorcia grazie all’integrazione a monte delle attività inbound e di finissaggio, con una conseguente ottimizzazione dei flussi e una riduzione dei costi logistici connessi». E poi prosegue usando le espressioni che di solito su queste pagine attribuiamo ai cattivi: concentrazione, economie di scala, riduzione dei costi. Ok. Ha tutte le caratteristiche dell’economie malate, quelle che stanno tirando le cuoia e che nascondono una crisi, Verificarlo è abbastanza semplice: basta vedere se c’è una bolla.
Sono anni che sento parlare delle rese come di una “bolla”, fin dai tempi dell’università. È il momento di capire come funziona. È il momento di tornare a parlare con Federico di Vita.
«Ho bisogno di capire come diavolo funziona il sistema delle rese», scrivo a di Vita in un messaggio diretto su Twitter. È il pomeriggio del 29 gennaio 2020. Lui mi risponde più tardi:«È una bolla finanziaria in pratica», attacca Federico. «È lo stesso meccanismo che fagocita tutto e che costringe a over-produrre». Sono le 9 e 29. Nel giro di un minuto Federico mi scrive due dozzine di messaggi.
«I libri vengono messi in circolo, Messaggerie fa una stima del venduto e con quello paga l’editore, ma la stima, che ora non è più folle come un tempo, prima facevano finta che tutto il distribuito fosse “venduto” LOL, ora credo che sia presunta in ogni caso per eccesso. Credo – ma non posso metterci la mano sul fuoco – che considerino venduto il 70% del distribuito. Solo che ovviamente non vengono venduti così tanti libri e a un certo punto arrivano le rese».
«Ma le rese arrivano dopo che Messaggerie ha pagato il venduto “presunto” agli editori. E quando arrivano le rese l’editore dovrebbe ridare dunque dei soldi a messaggerie, solo che di solito l’editore non ha molti soldi da muovere e poi non lavora così, dunque che fa? Dà in pasto alla macchina altri titoli. Questo sistema è una bolla finanziaria che spinge a produrre e distribuire più libri di quanti ne servirebbero e che tiene per il collo gli editori (quelli che non hanno distribuzione interna, cioè tutti tranne le major, che ce l’hanno) che in sostanza pagano il loro debito a Messaggerie mettendo in circolo altri libri, che a loro volta venderanno meno del previsto da messaggerie (nel 95% dei casi, diciamo)».
«Cosa significa? Che la forbice del loro debito cresce e che loro sono spinti a produrre ogni anno qualche libro in più e quindi magari a indebitarsi (per stampare i libri, pagare gli autori, promuoverli ecc.) presso le banche. Restano in piedi quelli che lavorano meglio, certo, ma è un lavorare sempre con l’acqua alla gola e male, ma soprattutto non per l’interesse primario del libro».
Una bolla finanziaria, dice di Vita, ma a me sembra un meccanismo medievale. Non mi suonano nuove tutte queste cose. Federico in realtà me le aveva già spiegate, per iscritto, nel suo libro pubblicato da Tic Editore che ti ho già consigliato qualche episodio fa, Pazzi scatenati. Prima di chiudere, Federico me lo ricorda, ma mi consiglia anche la mia prossima mossa: «Lato librerie il problema è che Messaggerie è uno squalo, e il margine che dà alle librerie, ma anche agli editori, è ridicolo. Sono in crisi tutti, sia gli editori indipendenti che librerie non di catena, e anche altri distributori nel frattempo sono falliti o sono stati inglobati da MF-Messaggerie. E poi, non dimenticare l’altro problema ancora, il più grave di tutti forse: in Italia oltre a produrre troppi libri, leggiamo molto poco. Dovresti sentire qualcuno di Messaggerie, secondo me»
È il momento di parlare con qualcuno che conosce da dentro quel sistema. È il momento di fare due chiacchiere con un’altra fonte, che anche questa volta preferisce salvaguardare il proprio anonimato, e che lavora all’interno di Messaggerie.
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Le librerie indipendenti sono in crisi, lo si sente dire da tanto. Ma chi le sta uccidendo?
La scena del crimine è più affollata di quel che sembra e forse il quadro è più complicato di quel che pensiamo.
Si fa avanti l‘ombra di un colpevole fino a questo momento insospettabile. E attorno a lui si comincia a intravedere un sistema.
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