Mai sentito parlare di CEVA?
Chi c’è dietro la logistica del libro in Italia? E come funziona la “bolla dei resi”?
Si fa avanti l‘ombra di un colpevole fino a questo momento insospettabile. E attorno a lui si comincia a intravedere un sistema.
La crisi delle librerie indipendenti è veramente tutta colpa di Amazon?
Prendi un libro, uno qualsiasi di quelli che hai a portata di mano e guarda il prezzo di copertina. Diciamo che costi una quindicina di euro. Circa quattro euro vanno a coloro che lo fanno, ovvero all’autore, all’eventuale traduttore e alla casa editrice. Un euro e mezzo circa va allo stampatore, che lo produce fisicamente e il resto serve a pagare la filiera che fa in modo che ti arrivi in mano. Quasi 10 euro su quindici servono a pagare la logistica, ovvero il distributore, il grossista, i promotori e i librai.
Questi ultimi, che sono poi le vittime di questa storia, trattando con i promotori, che rappresentano le case editrici o il grossista (sono rappresentanti di commercio che lavorano per una ditta a parte, di cui sono clienti tantissimi editori), acquistano i libri con uno sconto variabile, mediamente tra il 30-35 per cento, a volte di più, a volte di meno, perché c’è spazio per la trattativa e dipende da molte cose: dalla bravura e dal potere contrattuale del libraio, da quanto ha un conto aperto, da quanto volume d’affari ha, da quanto accetta di scendere a compromessi e di acquistare i libri consigliati dai promotori. Da questa cifra il libraio deve pagare tutto: l’affitto, le spese, gli stipendi. Per una piccola libreria aperta da tre anni, come diceva Maddalena, ogni tanto basta appena a pagarci le tasse.
A pochi chilometri dalla libreria di Maddalena, in una zona più centrale e più ricca di Milano la libreria dove lavora Alfredo, anche questo un nome inventato, è una piccola libreria indipendente che funziona abbastanza bene, che definiremmo sana.
A lavorarci sono in tre: la proprietaria e due uomini. La competenza è molto alta. Ogni persona che entra e chiede qualcosa fa partire uno scambio di commenti tra i librai e la chiacchiera coinvolge presto i clienti presenti. Difficilmente te ne vai senza aver aperto bocca e dato o ricevuto un consiglio di lettura. È un ambiente piacevole, si sente la presenza di un tessuto sociale, di rapporti di fiducia e di rispetto reciproco.
È una libreria di quartiere, ben radicata, con una clientela fissa e dalla forte capacità di spesa. È anche abbastanza vicina a una università specializzata, e non di rado ci passano degli studenti. Ha però una clientela mediamente vecchia, spesso di una generazione predigitale, ricca e colta, con consumi culturali molto alti rispetto alla media italiana. Sembrerebbe la clientela perfetta, almeno per un po’, ma c’è poco ricambio generazionale in vista: i giovani hanno molti meno soldi e non abitano più in centro.
Nell’ultima stanza, in fondo al corridoio che compone il cuore della libreria, uno dei librai è seduto con una brochure colorata in mano. Alla sua destra, seduto al suo fianco, c’è il Promotore. Ha in mano l’elenco dei libri che rappresenta e che deve cercare di vendere. Con un tratto-pen ci segna il numero di copie che il libraio ordina.
«Di questo me ne dai due per favore…»
«Ok»
«Di questo ciclo me ne dai due del primo e uno a testa degli altri quattro…»
«Certo»
Il libraio sfoglia rapidamente le pagine del catalogo, di piccoli editori gestiti dal promotore. Ordina un’altra dozzina di libri, poi viene interrotto: «Di questo…»
«Aspetta, prendi un paio di questi altri e ti faccio il 37…».
«Va bene, di te ne prendo due, ma questo non lo voglio. Dammene uno di quest’altro ancora e due di quell’altro che ti dicevo».
Al netto della genericità di questo scambio, con gli appropriati titoli al posto dei pronomi dimostrativi è una conversazione assolutamente normale durante un incontro tra un promotore e un libraio. Non c’è nulla di cui scandalizzarsi. Serve rendersi conto ogni tanto che i libri non saranno certo frigoriferi, ma non sono nemmeno entità magiche che si vendono da sole agli eletti di una religione di savi.
Funziona così: di solito il libraio ha davanti a sé un catalogo e lo scorre a una velocità variabile, in dipendenza della strategia del promotore, che potrebbe interromperlo o addirittura guidare la sua lettura. Davanti agli occhi gli passano copertine, strilli e informazioni varie sui libri che il promotore gli presenta. Di promotori, come di librai, ce ne sono di ogni tipo. Ci sono quelli che non hanno nemmeno bisogno di aprire il catalogo, che sanno tutto a memoria, ma anche quelli che avendo in catalogo la Serie A, vivono di rendita sugli ordini grossi e non fanno quasi nulla per vendere i piccoli.. Ci sono quelli scolastici e noiosi e quelli brillanti e geniali.
Ci sono mattine, in libreria, in cui il viavai di questi personaggi è più fitto di altri. Io almeno, la mattina che ho passato da Alfredo, ne ho visti arrivare tre. Alla cassa, mentre uno dei librai ancora sfoglia e ordina insieme al promotore numero 1 di cui sopra, il promotore numero 2 sta discutendo con l’altro libraio. Small talks, direbbero gli americani, ma a un certo punto tirano in ballo la legge appena votata dal Senato, quella per la promozione della lettura e la limitazione degli sconti e che, mettiamo subito i numeri sul tavolo, ha deciso quanto segue:
Lo sconto massimo per un rivenditore di libri è al massimo il 5 per cento, MA:
Questa legge è una legge importante, se ne parla da anni, ed è importante fermarsi per capirla. Io, per farlo, ho chiesto un parere a Federico di Vita, che in una delle chiacchierate via twitter che ci siamo fatti in questi giorni mi ha detta la sua: «È tutto molto in evoluzione», dice Federico, «non è certo la fine della storia, ma mi sembra più che altro un tentativo disperato di ostacolare Amazon. I librai indipendenti e gli editori indipendenti penseranno di tirare un respiro di sollievo, e in effetti per motivi incidentali questa legge li favorisce».
È un argomento complicato e lui mi può spiegare cosa significa: «Si trova poco online e sembra che quasi nessuno si sia mai preso la briga di spiegare perché gli sconti non siano un regalo ai lettori, ma al contrario e forse contro intuitivamente, favoriscono le concentrazioni editoriali e annientano il tessuto dei piccoli librai».
Sul tema si è scatenata la danza macabra del cinismo. Guia Soncini, che da scrittrice dovrebbe essere sensibile al tema, ha scritto un tweet attaccando la legge con goffo qualunquismo: «Quindi, se ho capito bene, al termine delle due settimane in cui io ho comprato un centinaio d’Adelphi in quanto scontati al 25, lo stato italiano, che capisce l’anima del commercio come pochi, fa una legge per cui non si possono scontare i libri più del cinque per cento».
Ma non sorprenda, perché della stessa opinione, mondata giusto del cinismo, è anche il presidente dell’Associazione Italiana Editori (Aie), Riccardo Franco Levi che a nome del 90% del mercato librario italiano che AIE stessa dice sul proprio sito di rappresentare, ha scritto in una nota nel gennaio 2020 che «di fronte all’approvazione della legge sul libro da parte della Commissione Cultura del Senato, l’AIE esprime preoccupazione per il possibile grave impatto che questa avrà sul mercato e su tutti gli operatori».
La posizione dell’AIE è spiazzante: perché è contro a una legge che ci avvicina ai mercati librari a cui da sempre guardiamo con ammirazione. La Francia e la Germania, soprattutto, dove l’hanno risolta vietando ogni tipo di sconto. E infatti, da quanto di Vita mi ha ripetuto, questa legge, pur non essendo risolutoria, dovrebbe far felici la maggior parte degli editori – i medio piccoli – e i librai indipendenti, mentre a non sorridere dovrebbero essere i grandi gruppi, le concentrazioni editoriali che possiedono tutta la filiera, quelle quattro aziende di famiglia diventate mastodonti di cui abbiamo parlato e di cui ci siamo segnati i nomi.
Eppure l’AIE, nella persona di Levi, lancia praticamente un grido di allarme, e dichiara: «Imponendo la riduzione degli sconti sui prezzi di vendita – ha sottolineato -, questa legge peserà sulle tasche delle famiglie e dei consumatori per 75 milioni di euro, mettendo a rischio 2mila posti di lavoro».
Più o meno nelle stesse ore in cui io ripenso alle tracce che ho trovato, su Radio3, durante Fahrenheit, Loredana Lipperini intervista il presidente del librai italiani, il dottor Ricardo Levi già citato e Marco Zapparoli, presidente dell’associazione editori indipendenti che quando tocca a lui, conferma che non ci sbagliamo: «Questi numeri vanno respinti» dice Zapparoli parlando delle cifre sostenute da Levi, «è una cifra largamente sopravvalutata, rappresenterebbe l’8 per cento del mercato annuale della categoria». Zapparoli rappresenta molti meno editori di quelli che sulla carta stanno dietro Levi, ma se scorriamo la lista troviamo praticamente tutti i giocatori singoli, i piccoli avversari dei Big 4: Sur, Iperborea, Add, Minimum Fax, Laterza, 66thand2nd, Neo, Tic, Nottetempo, Marcos y Marcos, e/o e tantissimi altri. Tutti o quasi i puntini rossi della mappa.
Ricardo Levi è il presidente dell’associazione che raggruppa il 90 per cento degli editori prende la posizione ed esprime il punto di vista che è associabile alla convenienza specifica dei grandi editori, perché? Diamo un’occhiata al consiglio di amministrazione dell’associazione, forse si legge tra le righe. Il presidente, Levi, è il consigliere d’amministrazione di Egea, casa editrice dell’Università Bocconi, i vice presidenti, nell’ordine, sono: il direttore editoriale e responsabile dell’area digitale del Mulino (che secondo la mappa è legata a Messaggerie Spa), il direttore generale Rizzoli Education (Gruppo Mondadori), l’erede di una antica casa editrice che sembra rimasta a qualche decade fa e che ora è consigliere di amministrazione di ALuiss, e poi un ultimo ma più interessante che «attualmente ricopre le seguenti cariche operative: consigliere d’amministrazione e direttore generale del gruppo editoriale Mauri Spagnol, amministratore delegato delle case editrici Guanda, Tea, Nord e Chiarelettere, co-amministratore delegato di Longanesi e amministratore delegato della Pro Libro, società di servizi commerciali per l’editoria. Inoltre è presidente di Geamco, società di servizi amministrativi e contabili e membro del consiglio di amministrazione di Messaggerie Italiane».
Non lo scriverà in fondo ai suoi comunicati stampa. Ma quella di Levi è ragionevolmente l’opinione di un intreccio di interessi e di operatori del mercato che poco hanno a che fare con il reale interesse di tutta l’editoria. O meglio, sì, ma della gran parte del valore di mercato, dei grandi, non della rete del tessuto imprenditoriale, delle medie e piccole case editrici, dei piccoli promotori e della piccola distribuzione libraria.
L’AIE sta criticando con urgenza e preoccupazione una legge che, anche se ancora non perfettamente, difende il settore e dà ossigeno ai librai. Riguardiamo le sagome con i nuovi sospetti che avevamo scoperto la puntata precedente: Mondadori, GeMS, Messaggerie. Forse questa legge intacca i loro interessi? Sì, la politica degli sconti lo fa. È quella la parte contestata da Levi ed è anche la parte che più aiuta le librerie e che più fa abbassare i prezzi di copertina. Ah, sì, perché prima di andare avanti è il momento di rispondere a una domanda importante, quella che evidentemente non aveva capito Guia Soncini: perché gli sconti sono sbagliati?
È inutile moltiplicare gli enti non necessari, quindi mi limiterò a incollarvi qui la spiegazione più sintetica e precisa che ho trovato online. L’ha pubblicata Gaspare Bona su l’Unità del 21 luglio 2011 che commentava la Legge Levi, all’epoca da Bona ritenuta insufficiente, chiedendo che venisse resa più dura e stringente la politica sugli sconti.
«Questo passo si è reso necessario per un motivo di equità, dato che i principali gruppi editoriali sono proprietari anche di intere catene di librerie e dunque spesso le librerie indipendenti erano tagliate fuori dalle promozioni. Inoltre le promozioni fatte dagli editori non sono permesse durante il mese di dicembre, non possono essere ripetute nell’arco dell’anno solare e non possono superare lo sconto del 25%. Queste limitazioni cercano di ridurre lo squilibrio fra grandi gruppi editoriali – quelli in grado di fare promozioni – e l’editoria indipendente, in genere di piccole o medie dimensioni».
E affonda: «Il mercato librario presenta un’anomalia: il prezzo del libro è fissato dall’editore, non dal rivenditore, e gli sconti sono finta concorrenza. La vera concorrenza andrebbe fatta sul prezzo di copertina e sui contenuti. L’ideale sarebbe vietare completamente o quasi gli sconti, come avviene in Paesi come Francia, Germania, Spagna, Svizzera. Infatti, se nessuno può fare sconti, la concorrenza si sposta davvero in maniera “sana” sul prezzo di copertina. Altrimenti è il solito vecchio gioco: alzo i prezzi, poi faccio lo sconto».
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Chi c’è dietro la logistica del libro in Italia? E come funziona la “bolla dei resi”?
Le librerie indipendenti sono in crisi, lo si sente dire da tanto. Ma chi le sta uccidendo?
La scena del crimine è più affollata di quel che sembra e forse il quadro è più complicato di quel che pensiamo.
Si fa avanti l‘ombra di un colpevole fino a questo momento insospettabile. E attorno a lui si comincia a intravedere un sistema.
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