Ep. 4

Banchine elettriche contro l’inquinamento in porto

Le grandi navi, dai traghetti alle portacontainer fino a quelle da crociera, restano spesso ferme in porto coi motori accesi. E inquinano. Il “cold ironing”, finanziato in diversi casi da fondi UE, potrebbe essere la soluzione

Il porto di Bari - Foto: RealCarlo via Flickr in CC
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Un viaggio tra autoproduzione ed efficientamento energetico, per capire il ruolo che giocano i fondi di coesione Ue nel far crescere l’energia pulita. 

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Nei primi sei mesi dell’anno, sono state 48 le navi da crociera passate per il porto di Bari. Nel capoluogo pugliese vi hanno fatto scalo oppure, da qui, sono salpate per andare alla scoperta di città ricche di storia come Istanbul e Atene o per visitare alcune tra le isole più belle del Mediterraneo orientale come Creta, Mikonos o Corfù.

 

Complessivamente, nel corso di tutto il 2023, saranno circa 150 le “grandi navi” che attraccheranno nello scalo barese, con un affollamento particolarmente pesante nei mesi di luglio e agosto quando, in diverse giornate, ce ne saranno anche due o persino tre in contemporanea. E stiamo parlando di navi che, per garantire il funzionamento di tutti i servizi di bordo, tengono accesi i motori ausiliari alimentati a combustibili fossili per tutto il tempo della sosta in banchina, generando grandi quantità di ossidi di zolfo (SOx), ossidi di azoto (NOx), anidride carbonica (CO2), particolato fine ed extrafine (PM 10 e PM 2.5).

Il porto di Bari - Foto: RealCarlo via Flickr in CC
Il porto di Bari - Foto: RealCarlo via Flickr in CC

Queste sostanze vengono respirate non solo da chi lavora nel porto ma anche da chi vive nelle case circostanti. Secondo le stime contenute nel rapporto “The return of the cruise”, pubblicato il 15 giugno scorso dall’organizzazione Transport&Environment, le navi che hanno fatto tappa nel porto di Bari nel 2022 hanno emesso 3,3 tonnellate di ossidi di zolfo (una volta e mezzo rispetto a quella di tutte le auto in circolazione in città), 258 tonnellate di ossidi di azoto e poco più di quattro tonnellate di PM 2.5, il particolato extra-fine e particolarmente pericoloso perché in grado di penetrare negli alveoli polmonari con eventuale diffusione nel sangue.

 

Tagliare (almeno in parte) queste emissioni è l’obiettivo di un ambizioso progetto dell’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico meridionale per elettrificare due ormeggi presso la Darsena di ponente: un intervento che permetterà alle navi ormeggiate di spegnere i motori per alimentare i servizi di bordo con l’energia elettrica fornita da terra. «A breve ci sarà la gara d’appalto per i lavori e – spiega il presidente dell’autorità portuale Ugo Patroni Griffi – verosimilmente il servizio entrerà in funzione entro il 2025. L’impianto è stato dimensionato per l’attracco in contemporanea di due traghetti o per un traghetto e una nave da crociera. Attualmente, infatti, queste sono le due tipologie di imbarcazione che hanno la tecnologia necessaria per essere alimentate da terra».

Bari e Brindisi

Il progetto, del valore complessivo di circa 20 milioni di euro, è finanziato con 16,8 milioni di euro dal Piano d’azione e coesione 2014-2020, complementare al PON infrastrutture e reti 2014-2020. Grazie ai fondi di coesione, inoltre, l’Autorità portuale andrà a elettrificare anche due banchine nel porto di Brindisi. Entrambi i progetti prevedono, oltre alla realizzazione delle infrastrutture necessarie per l’elettrificazione, anche l’installazione di due parchi fotovoltaici all’interno delle aree portuali, per contribuire alla produzione di energia da fonti rinnovabili e di sistemi di accumulo.

Il porto di Bari - Foto: RealCarlo via Flickr in CC
Il porto di Bari - Foto: RealCarlo via Flickr in CC

«In base a quanto previsto dal Regolamento marittimo dell’Unione europea sui carburanti, entro il 2030 le navi da crociera, le navi container e i traghetti saranno obbligati a collegarsi alla rete elettrica quando sono in porto. A oggi – spiega Constance Dijkstra, shipping campaigner per T&E – i porti erano incoraggiati a implementare il cold ironing se c’era una richiesta in tal senso da parte degli armatori. Che però non c’è mai stata, dal momento che oggi è più economico produrre energia bruciando combustibili fossili».

 

Da un punto di vista tecnologico, il “cold ironing” rappresenta la soluzione tecnologicamente più matura ed efficiente per mitigare le emissioni delle imbarcazioni ormeggiate in porto, dal momento che è proprio la fase di sosta in porto quella in cui viene emessa la maggior parte degli inquinanti. Il ministero dei Trasporti stima infatti che il collegamento di una nave alla rete elettrica a terra permetterebbe di ridurre le emissioni di CO2 del 70 per cento e quelle di NOx, PM 10 e PM 2,5 di oltre il 90.

Da Göteborg a Genova

Sono diversi i porti europei che hanno già intrapreso la strada dell’elettrificazione delle banchine per ridurre le emissioni delle navi in banchina: tra i primi a muoversi in questo senso, già nel 1989, quello di Göteborg; Marsiglia, punta a diventare un porto 100% elettrico entro il 2025. L’Autorità portuale di Dunkerque, invece, ha inaugurato il proprio sistema di cold ironing l’8 gennaio 2020 (con una capacità installata di 8 megawatt per alimentare le navi porta container) finanziato anche grazie a risorse del Fondo europeo di sviluppo regionale.

 

Oltre alle risorse messe a disposizione dalle politiche di coesione dell’Unione europea, in Italia il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha assegnato 700 milioni di euro per le opere di elettrificazione delle banchine «per ridurre al minimo la dipendenza dai combustibili fossili e l’impatto ambientale del settore dei trasporti marittimi». Fondi che saranno destinati prioritariamente a 34 scali di cui 32 integrati nel complesso delle reti di trasporto trans-europee (Trans european network transport – Ten-T): da Cagliari a Golfo Aranci, da Ancona  a Taranto, da Savona a Genova.

Il porto di Genova - Foto: RealCarlo via Flickr in CC
Il porto di Genova - Foto: RealCarlo via Flickr in CC
Il porto di Genova - Foto: RealCarlo via Flickr in CC
Il porto di Genova - Foto: RealCarlo via Flickr in CC

Proprio nel capoluogo ligure nel 2017 si sono conclusi i lavori per l’elettrificazione delle 12 banchine all’interno dell’Area riparazioni navali: il progetto, nato nel 2009 come progetto pilota, ha visto l’avvio dei lavori nel 2015 e “ha previsto un costo di circa 9,7 milioni di euro, in parte provenienti dal ministero dell’Ambiente e in parte da fondi europei Por Fesr” si legge in un documento della Direzione generale per il clima e l’energia dell’allora ministero dell’Ambiente.

 

La Regione Campania, invece, punta a integrare le risorse messe a disposizione dal Pnrr con ulteriori 20 milioni di euro nell’ambito del ciclo di programmazione 2021-2027 del Fondo europeo di sviluppo regionale.

 

Il rapporto “Porti verdi: la rotta per uno sviluppo sostenibile” curato da Legambiente in collaborazione con Enel X ha realizzato una simulazione dei costi e dei benefici ambientali derivanti da un intervento di elettrificazione di tutti i 39 porti italiani aderenti al network Ten-T. «In generale abbiamo ipotizzato che venissero elettrificati quei segmenti navali caratterizzati da una maggiore permanenza in porto quali ‘Ro-ro’ e traghetti, navi cargo, navi container e navi da crociera. L’abilitazione al cold ironing dei 39 porti permetterebbe ogni anno di evitare la combustione di oltre 635mila tonnellate di gasolio marino, consentendo una significativa riduzione delle emissioni inquinante nel perimetro portuale e nelle aree circostanti», si legge nella ricerca.

 

L’investimento economico necessario è stimato dallo studio in 640 milioni di euro e il fabbisogno energetico lordo ammonterebbe a circa 2,9 TWh all’anno. Ma affinché l’intervento sia efficiente «è necessario che le opere vengano dimensionate sulla base dell’effettivo traffico portuale, in modo che si abbia un utilizzo assiduo dell’infrastruttura».

Il traguardo del 2025

Per elettrificare una banchina, tuttavia, non è sufficiente “tirare un cavo”. Le imbarcazioni, infatti, possono essere molto diverse tra loro e l’infrastruttura portuale, di conseguenza, deve essere adeguata alle navi da alimentare. Le strutture di cold ironing devono essere progettate in modo da essere flessibili e servire le diverse tipologie di navi, dal momento che possono variare l’altezza e la posizione dell’attacco, che di conseguenza necessitano di cavi di diverse lunghezze.

 

Un ulteriore fattore fondamentale da tenere presente è la potenza, che può variare significativamente in base al tipo di imbarcazione servita passando dai pochi kilowatt per le piccole imbarcazioni ai 3 megawatt per le cosiddette “Ro-Ro” (ovvero le navi progettate per l’imbarco dei veicoli, come i traghetti), ai 5 megawatt per le porta-container fino ad arrivare ai 10-11 megawatt consumati da una nave da crociera. «I modelli più grandi possono arrivare a consumare anche 20 megawatt  in dieci ore di stazionamento in porto. E quando capita che ce ne siano due contemporaneamente il consumo raddoppia e può arrivare a 40 megawatt, quasi l’intero fabbisogno energivoro di una città di circa 100mila abitanti», spiega Patroni Griffi.

Il porto di Genova - Foto: RealCarlo via Flickr in CC
Il porto di Genova - Foto: RealCarlo via Flickr in CC

La data fissata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per l’entrata in funzione delle banchine elettrificate nei 34 porti selezionati è il 2025.

 

Resta da risolvere ancora un nodo, ovvero la definizione di una tariffa che renda conveniente il cold ironing: nel corso del 2020 sono stati approvati due decreti normativi (riduzione delle accise e azzeramento degli oneri generali di sistema) per rendere la tariffa elettrica competitiva rispetto al costo di autoproduzione. «Ma l’Autorità di regolamentazione per l’energia reti e ambiente (Arera) non ha ancora definito le tariffe. Di conseguenza anche laddove si sono conclusi i lavori per l’elettrificazione di alcune banchine, come nel porto di Prà-Voltri, queste non sono utilizzabili», spiega Enzo Tortello, presidente del Comitato tutela ambientale Genova centro-ovest, che da anni denuncia il grave inquinamento atmosferico legato al porto cittadino. «Dal rapporto Arpal sulla qualità dell’aria del 2015 emerge che il 62% degli ossidi di zolfo in atmosfera sono imputabili alle attività marittime, in particolare alle navi in stazionamento. Il sistema portuale e il sindaco, che è responsabile per la salute dei cittadini, dovrebbero farsi parte attiva per risolvere il problema delle tariffe, muovendosi congiuntamente con gli altri porti», conclude Tortello.

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