Ep. 2

Stenti: si è inceppata la “giusta” transizione

Centinaia di milioni di euro per aiutare il Sulcis sono bloccati dall’inefficienza della Regione Sardegna. E non è la prima volta.

Porto di Portoscuso, Sud Sardegna.
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Il cammino del Sulcis

In tempi di transizione verde, il Sulcis Iglesiente è una terra in crisi. Arriverà la rivoluzione grazie al Just Transition Fund o morirà l’economia di un territorio? Matteo Scannavini prova a rispondere

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Il cammino del Sulcis Iglesiente verso un futuro più sostenibile e senza carbone è ufficialmente iniziato. Almeno così ha annunciato il 9 ottobre il presidente della Regione Sardegna Christian Solinas.

 

Eppure, sull’uso concreto dei 367 milioni del fondo di coesione Just Transition Fund (JTF), che dovrebbe accompagnare la giusta transizione energetica e occupazionale del Sulcis, ci sono ancora tanti dubbi e pochissime certezze. E il rischio di perdere o sprecare le risorse, da spendere entro fine 2026, è alto. 

 

Prima di tutto, perché dal 19 gennaio al 26 ottobre 2023 mancava l’autorità regionale responsabile dell’attuazione del piano per la giusta transizione. Poi, perché le parti sociali, soprattutto i sindacati, denunciano scarsa consultazione e sono critici verso la vaghezza del programma. Infine, perché il Sulcis Iglesiente ha già perso un’occasione di sviluppo da centinaia di milioni di euro a causa dell’incapacità amministrativa regionale. E ogni volta il costo sociale è maggiore.

Il direttore che non c’è: chi ha le chiavi dei fondi europei in Sardegna?

La Regione Sardegna ha un problema con i fondi europei: l’ente che dovrebbe attuare e coordinare le politiche di coesione, tra cui il piano per la giusta transizione, è rimasto senza un direttore generale per 10 mesi. Tuttora, anche se nominato, il nuovo reggente non ha ancora preso serivizio. Una mancanza che mette a rischio la spesa dei quasi 2.7 miliardi di risorse di coesione del ciclo di programmazione 2021-2027 destinati alla Sardegna, oltre al futuro stesso del Sulcis Iglesiente, nel pieno di una crisi occupazionale e sociale che presto si aggraverà con l’abbandono del carbone.

 

L’ente in questione è il Centro Regionale di Programmazione (CRP), istituito presso l’Assessorato alla Programmazione, il cui ruolo di direttore è stato vacante da gennaio 2023, quando l’ex reggente Massimo Temussi è stato promosso a un incarico governativo, fino al 26 ottobre. Dopo quattro mesi, la Regione aveva nominato come sostituto il dirigente ASPAL (Agenzia Sarda per le Politiche Attive del Lavoro) Eugenio Annichiarico, ma la sua assunzione è stata bloccata da un ostacolo burocratico. “Non avendo la regione Sardegna approvato entro il 30 Aprile come per legge il rendiconto del 2022, cioè il bilancio consuntivo degli enti, scatta come conseguenza normativa il divieto di nuove assunzioni” racconta a Slow News Annichiarico, che, in quanto dipendente di ASPAL, è rimasto sbarrato fuori dal bilancio regionale.

 

Non è un caso, forse, che alla Just Transition Platform Conference di aprile, l’evento di confronto tra la Commissione Europea e gli stakeholder nazionali e locali della giusta transizione, nessun referente sardo fosse presente. Mentre l’Estonia presentava un impianto di produzione di magneti di terre rare finanziato col JTF e la Svezia illustrava i piani per l’acciaio green, l’Assessore alla Programmazione e vicepresidente della Regione Sardegna Giuseppe Fasolino, atteso per dare aggiornamenti sul Sulcis Iglesiente, non si è presentato. Pare, hanno detto durante l’evento, per un impegno dell’ultimo minuto. 

 

In estate, dopo un nuovo giro di nomine regionali, Annichiarico è stato assegnato a un altro incarico e il CRP è rimasto scoperto. Senza un direttore, e nemmeno un vice, la prima responsabile in carica era la funzionaria anziana Elena Catte, ma con poteri di fatto limitati. “Un facente funzioni – spiega Annichiarico – è per definizione una figura transitoria, che opera tendenzialmente sull’ordinario e difficilmente si muove in ambiti che richiedono un compimento di scelte strategiche”. Soltanto il 26 ottobre, la situazione si è sbloccata grazie alla nomina di Luca Galassi, ma non è risolta: il nuovo direttore non ha ancora preso servizio e, come insegna il caso Annichiarico, l’effettivo avvio del suo lavoro potrebbe non essere rapido.

Cosa può fare quindi al momento la Regione Sardegna per attuare il piano per la giusta transizione?

Da noi contattata il 27 ottobre, la funzionaria Catte ha preferito non rilasciare interviste finché il direttore non prenderà servizio, suggerendo di risentirla tra un ulteriore mese. Alla specifica domanda sui rallentamenti causati dal vuoto di ruolo, non ha voluto dare risposta. 

L’assenza del direttore era stata riportata da un’interrogazione parlamentare anche alla Commissione Europea, che si è limitata a rispondere che il CRP “ha assicurato la continuità operativa”. Per ora però, guardando alle risorse del JTF, l’unica continuità è nell’incertezza intorno ai progetti. E nel ritardo.

La giusta transizione finora: per i lavoratori, ma senza sindacati

Se è vero che c’è ancora nebbia intorno all’uso concreto del JTF, cos’è stato fatto finora?

 

Un piano, approvato dalla Commissione Europea a fine 2022, che descrive le azioni degli investimenti (tutti i dati nello scorso episodio): energie rinnovabili, supporto alle PMI, bonifiche, reskilling e sostegno nella ricerca di lavoro ai disoccupati di oggi e quelli che seguiranno al coal phase out. I sindacati però, fin dall’inizio, sono tagliati fuori.

 

Già nel febbraio 2021, a un anno dalla scelta del Sulcis Iglesiente come target del JTF, CGIL e Ficltem del Sud Sardegna Occidentale lanciarono un appello per denunciare il ritardo della pianificazione delle risorse e chiedere un confronto con la Regione. In teoria, il dialogo di governo e regione con le istituzioni locali (comuni, sindacati, imprese, associazioni, ecc.) è uno dei pilastri del regolamento dei fondi di coesione, secondo l’idea di non buttare fondi a pioggia dall’alto ma rispondere alle vere esigenze del territorio. In pratica, come ha ricostruito il periodico d’inchiesta Indip, la consultazione in fase di progettazione si è limitata a pochi incontri che hanno lasciato molti scontenti, soprattutto i sindacati.


Emanuele Madeddu, segretario generale Filctem-CGIL per la Sardegna Sud Occidentale, li ricorda così: “Mi hanno lasciato abbastanza perplesso, perché sono stati due incontri conoscitivi in una fase molto embrionale del JTF, dove ancora si provava a raccogliere elementi per costruire il piano d’azione. Piano che poi di fatto noi non abbiamo potuto condividere, perché non c’è stato un momento di confronto con tutti gli stakeholder del territorio. Questo è quel che io considero il punto di debolezza”.

Emanuele Madeddu, segretario Filctem CGIL Sud Sardegna Occidentale.
Emanuele Madeddu, segretario Filctem CGIL Sud Sardegna Occidentale. Foto di Matteo Barsantini

Tuttora, dopo oltre due anni e mezzo, le comunicazioni tra sindacati e Regione Sardegna sono scarse e vaghe. “Ad oggi non si capisce quali sono le idee, quali progetti portare avanti, ma soprattutto quanti di quei lavoratori che verranno espulsi dal ciclo produttivo potranno trovare collocazione” continua Madeddu. La paura è che lo sviluppo di fotovoltaico ed eolico non basti a riassorbire la forza lavoro della centrale a carbone Enel di Portoscuso (400-1200 tra diretti e indotto), che chiuderà a fine 2025. 

Giuseppe Masala, segretario regionale FSM-CSIL.
Giuseppe Masala, segretario regionale FSM-CSIL. Foto di Matteo Barsantini

“Come categoria, stiamo sollecitando il problema della prospettiva futura dei lavoratori e della riqualificazione” racconta Giuseppe Masala, segretario regionale FSM-CSIL (metalmeccanici). “Nell’ultimo incontro” con la Regione “ci è stato presentato un percorso da parte di Enel, ma molto generico, a livello nazionale. Noi vogliamo un progetto specifico per il nostro territorio, che ha peculiarità diverse dalle altre realtà industriali: la mancanza di infrastrutture e gas sono criticità che al momento viviamo e tocchiamo con mano”.

Un lavoratore della Centrale Enel Grazia Deledda.
Un lavoratore della Centrale Enel Grazia Deledda. Foto di Matteo Barsantini

“Senza decidere cosa fare”

Se il confronto della Regione coi sindacati manca, quello coi comuni, dopo un lento avvio, è stato più attivo negli ultimi mesi. A fine settembre, si sono svolti alcuni tavoli tecnici sul JTF nel Sulcis, anche con referenti nazionali ed europei. Tra le proposte discusse, lo sviluppo di comunità energetiche a Carloforte e la valorizzazione del porto di Portoscuso, che aspetta il dragaggio, cioè la pulizia dei fondali dai residui industriali, e la bonifica da oltre 20 anni. Ancora una volta però, non si sa quali di queste idee saranno poi implementate. L’unico progetto certo, ma non avviato, è un impianto per lo stoccaggio chimico di energia rinnovabile.

 

Ignatzio Atzori, sindaco di Portoscuso, il comune più impattato dalla transizione energetica, ha partecipato agli ultimi incontri sul JTF ma fatica a restare speranzoso. “Se non c’è una scelta strategica di fondo – spiega – stiamo girando attorno ai problemi senza decidere cosa fare. Siamo sempre bloccati, soprattutto con gli interventi di base che servono per far crescere un territorio: le infrastrutture”. Per il primo cittadino, il rischio è che il JTF finanzi qua e là piccoli interventi nei diversi comuni, senza una visione di sviluppo organico del Sulcis a coordinarli. “Se non abbiamo strade, non abbiamo un porto, non abbiamo nulla, nessun investitore verrà mai a proporre iniziative in un territorio che ha queste criticità”.

 

Ignazio Atzori, sindaco di Portoscuso.
Ignazio Atzori, sindaco di Portoscuso. Foto di Matteo Barsantini

Per le infrastrutture, in teoria, ci sarebbero tante altre risorse oltre al JTF. Ma spenderle, in Sardegna, è molto complicato.

Déjà-vu: che fine hanno fatto gli 805 milioni del Piano Sulcis?

“Strutture inadeguate, bollette energetiche fuori mercato e le industrie energivore, a Portovesme e Iglesias, chiudono. Il territorio continua a pagare in termini economici e soprattutto occupazionali per la carenza di servizi”

L’attacco di questo pezzo de La Nuova Sardegna, uno dei più diffusi quotidiani regionali, potrebbe essere scritto oggi. Eppure, è del maggio 2011. 

 

Il Sulcis Iglesiente era nel mezzo della crisi della filiera dell’alluminio, cui il governo e Regione Sardegna risposero firmando nel luglio 2012 il Piano Sulcis, un programma straordinario da oltre 805 milioni di risorse pubbliche più 400 milioni di investimenti privati per salvare industrie e ambiente del Sulcis Iglesiente. Non è andata proprio così.

 

Già nel 2016, si celebrava il “funerale” del Piano Sulcis, con tanto di corteo. Il motivo? I soldi, in larga parte ancora oggi, non sono stati spesi. Secondo l’ultimo report pubblico sullo stato di avanzamento del piano, al 2019, dopo 7 anni, solo il 17% delle risorse pubbliche assegnate era stato pagato (il 21% di quelle impegnate). E meno del 10% del budget per le bonifiche dei siti contaminati. Dal 2019, i dati non vengono più pubblicati, ma una recente inchiesta de L’Unione Sarda ha raccontato che non sono stati fatti passi in avanti significativi. 

Le cause del fallimento e della lentezza del Piano Sulcis sono le solite: burocrazia, mancanza di governance, rimpalli di colpe e responsabilità tra un ente e l’altro che rendono complicato spendere i soldi.

A riscuoterli però, la Regione Sardegna fa molta meno fatica. “Il persistente scostamento tra il totale delle riscossioni e il totale dei pagamenti, – si legge nell’ultimo rapporto della Corte dei Conti – rivela come siano presenti anche nel 2022, risultando in costante peggioramento, aspetti ricollegabili alle già rilevate difficoltà di programmazione e spendita di risorse”. Difficoltà che hanno accumulato un fondo cassa regionale da 2.9 miliardi di euro: per avere un paragone con una regione dalla popolazione simile, nel 2022 la Liguria ha lasciato in cassa 296 milioni, circa un decimo rispetto alla Sardegna.

 

Per lo meno, sull’uso dei fondi europei, la Corte dei Conti segnala un netto miglioramento nella capacità di spesa dal 2021 al 2022, nonostante resti un “rilevante divario fra i dati relativi agli impegni e quelli relativi ai pagamenti”. Al 30 giugno 2023, la Sardegna è riuscita a spendere circa tre quarti dei fondi di coesione regionali del 2014-2020 (FESR, FSE e FEASR), un dato non lusinghiero ma comunque migliore della media nazionale: l’Italia ha infatti speso il 67% dello scorso programma di coesione, il secondo peggior risultato dell’UE dopo la Spagna. Al tutto, va aggiunto che la sola spesa dei fondi non è un criterio sufficiente per valutare l’effettivo successo dei progetti.

 

Se oggi comuni e sindacalisti sono scettici verso le promesse della “just transition”, quindi, è anche per tutti questi precedenti. “È assurdo e anche vergognoso dover ammettere che abbiamo risorse inutilizzate e che ancora la nostra economia soffre per la situazione” sospira il sindaco Atzori. Con l’aggravante che, al contrario delle risorse del Piano Sulcis, i fondi del JTF scadono a fine 2026.

 

Come ha detto all’Euobserver Francisco Barros Castro, esperto di gabinetto della Commissaria Europea per la Coesione e le Riforme Elisa Ferreira, “la transizione avverrà, la questione è governarla o farsi governare da essa”. L’UE sta mettendo fondi, regole e strumenti di monitoraggio per mitigare l’impatto sociale della decarbonizzazione, ma sta agli stati e alle amministrazioni regionali e locali far sì che il processo funzioni. 

 

Il sindaco di Portoscuso lo sa e, nonostante tutto, un pochino ci crede ancora: “Sono ottimista sul fatto che ci viene data una possibilità, sta a noi poi sapercela gestire. Non possiamo dire che l’Europa è responsabile di tutti i mali di questo mondo quando noi stessi non siamo in grado di gestire le opportunità che ci vengono date”.

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