Ep. 05

Cicatrici: tutti i numeri di un disastro ambientale

In Sardegna, sotto le industrie di Portoscuso, i metalli pesanti superano di migliaia di volte i limiti di legge. Dopo dieci anni di mancata trasparenza, i dati sono stati resi pubblici in seguito a una richiesta di Slow News. È una crisi ambientale che non sembra sanabile, nemmeno col Just Transition Fund.

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Il cammino del Sulcis

In tempi di transizione verde, il Sulcis Iglesiente è una terra in crisi. Arriverà la rivoluzione grazie al Just Transition Fund o morirà l’economia di un territorio? Matteo Scannavini prova a rispondere

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Il cadmio è un metallo pesante, tossico per l’uomo anche in piccole dosi. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, è causa di cancro ai polmoni e danni ai reni e alle ossa. La soglia legale di cadmio per le acque sotterranee è di 5 microgrammi per litro (μg/l): nelle falde sotto gli impianti dell’ex Alcoa di Portoscuso, la concentrazione è 120mila μg/l, 24mila volte superiore al limite di legge

 

Anche nei suoli del comune il cadmio supera i limiti consentiti, ma di “sole” 14 volte. Discorso simile per lo zinco (la cui concentrazione è 31 volte superiore ai limiti) e il piombo (13). Nelle falde urbane invece, c’è mercurio in quantità fino a 3 volte e mezzo la soglia di legge.

 

Che la situazione ambientale di Portoscuso fosse grave è un fatto noto. Ma quanto grave?

 

Negli ultimi 10 anni, rispondere con dati aggiornati non era possibile: Arpa Sardegna (Arpas) svolge i monitoraggi ambientali ogni anno ma non pubblicava sul proprio sito i report sul Sulcis dal 2014.

 

Oggi, in seguito a una richiesta di accesso civico ai dati di Slow News ad Arpas, possiamo raccontare i numeri di un disastro ambientale che persiste. Per porvi rimedio, il Just Transition Fund (Jtf) ha stanziato 80 milioni di euro per le bonifiche nel Sulcis – Iglesiente, ma i risultati dei bandi per assegnare questi fondi non sono ancora stati pubblicati e a Portoscuso c’è pessimismo sul fatto che il territorio possa finalmente ricevere dei soldi per risolvere questa crisi.

I dati dieci anni dopo: ancora contaminazioni, ancora morti

In queste mappe e grafici, ogni cerchio è un punto di prelievo di falde o suoli dove, tra 2020 e 2022 (a seconda dell’ultimo monitoraggio disponibile per il punto), è stato registrato un eccesso di un determinato contaminante. Gli eccessi sono descritti da un indice di superamento (i.s.) calcolato da Slow News come il rapporto tra la concentrazione del contaminante nel punto e la concentrazione massima legale per quel contaminante. In breve, l’indice di superamento rivela quante volte la quantità di una sostanza supera la soglia di legge in un dato punto.

Le contaminazioni delle falde del distretto industriale di Portovesme, nel comune di Portoscuso, sono spaventose: l’eccesso più alto registrato è il cadmio sotto l’ex Alcoa (i.s. 24mila), che ha anche il record di manganese (i.s. 1.820). Il cadmio abbonda pure sotto la Portovesme srl (i.s. 1.158), dove si registra il picco di mercurio, oltre 1.700 volte la soglia legale. Le acque dell’Enel sono ricche di alluminio (i.s. sopra 16mila), mentre l’Eurallumina ha contaminazioni più “contenute” degli altri impianti, ma primeggia per concentrazione di arsenico, con oltre 1.100 μg/l, il limite è 10μg/l. Presenti anche eccessi per ammonio, antimonio, berillio, boro, cobalto, cromo, fluoruri, piombo, selenio, solfati e tallio.

La contaminazione non si limita alle falde industriali, che sono isolate solo parzialmente dal resto delle falde e dal mare. I metalli pesanti viaggiano nelle acque sotterranee, mentre sopra il terreno il trasporto aereo li sparge a chilometri di distanza. Eccessi di cadmio, per esempio, si trovano nei suoli dei comuni confinanti con Portoscuso: Carbonia, Gonnesa e San Giovanni Suergiu. Avvicinandosi verso il polo industriale, le contaminazioni del suolo si fanno più intense: cadmio, piombo e zinco registrano picchi nei punti P2 Genneruxi e P13 Case Figus, entrambi esposti alle ricadute della zona industriale con i venti da Nord Ovest, e nel punto P03 Palazzo Gardenia, esposto alle ricadute dei venti da Sud Est.

Nemmeno le falde esterne alle industrie sono salve: eccessi di mercurio si trovano nel punto 14PT003 (i.s. 3,5), tra Eurallumina e Alcoa, ma anche a Paringianu, la frazione più a Sud di Portoscuso, dove abbondano fluoruri e manganese.

 

Dopo 10 anni di mancata trasparenza, il 27 giugno 2024, a poche ore dalla pubblicazione di questo articolo e dopo essere stata contattata da Slow News per un commento finale, Arpas ha aggiornato il proprio sito con i report mancanti (assenti fino a poco prima, come mostra questo screenshot del 24 giugno), in cui c’è la maggior parte dei dati qui presentati.


In un’email a Slow News, Arpas ha ammesso che «il Dipartimento del Sulcis ha attraversato numerose variazioni organizzative nel corso degli anni e questo potrebbe aver contribuito a una certa discontinuità nella gestione delle richieste di pubblicazione nel sito istituzionale, nonostante la redazione dei rapporti e il loro invio alla Regione e agli altri Enti territoriali sia avvenuto regolarmente». Con la cittadinanza però, per anni non è stato condiviso nulla.

 

«Questi dati sono un segnale che dimostra che non è stato fatto niente per evitare che la gente, gli alimenti e le acque vengano a contatto con questi contaminanti» commenta Angelo Cremone dell’associazione Sardegna Pulita. Gli ordini di grandezza delle contaminazioni sono infatti in linea con quelli di 10 anni fa. «La differenza sono i morti che ogni settimana vediamo a Portoscuso per malattie tumorali» continua.

 

L’eccesso di mortalità nel Sulcis, in particolare per malattie respiratorie, è stato più volte documentato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) e dall’ISDE (Associazione Medici per l’Ambiente). Ma non c’è ad oggi uno studio epidemiologico sulla popolazione per capire quante persone abbiano metalli pesanti nel proprio organismo. Un fatto pressoché certo per i cittadini che ancora mangiano i prodotti della terra di Portoscuso: stando al sindaco, l’ordinanza comunale del 2014 che, a causa dell’inquinamento, vietava la vendita di prodotti ortofrutticoli coltivati nel Comune è stata revocata dopo un nuovo controllo dell’ASL. Ci sono però diversi dubbi in merito, a partire dal fatto che il documento di revoca non è pubblico. Secondo Sardegna Pulita, molti cittadini coltivano ancora, convinti – a torto – che l’ordinanza non sia più valida, mentre il sindaco sostiene che le terre coltivate a Portoscuso siano ormai pochi vigneti lontano dall’area industriale.

«Questi dati sono un segnale che dimostra che non è stato fatto niente per evitare che la gente, gli alimenti e le acque vengano a contatto con questi contaminanti»

In ogni caso, nessuno controlla oggi la frutta di Portoscuso: come si legge nei report sull’inquinamento del Sulcis che ci ha fornito Arpas (anni 2020, 2021 e 2022), il monitoraggio della vegetazione è assente perché «non sono stati consegnati campioni di uve da parte del servizio SIAN della Azienda USL 7 di Carbonia». Lo stesso SIAN dichiara che la Regione ha sospeso i controlli dal 2018 per mancanza di fondi.

 

Infine, il monitoraggio Arpas è incompleto anche per un altro motivo, fa notare Sardegna Pulita: nei dati manca il controllo dei PFAS, dei composti chimici usati per attività industriali molto tossici e molto resistenti alla degradazione ambientale. L’Alcoa di Portoscuso è stata indicata tra i siti di “presunta contaminazione” da PFAS dal Forever Pollution Project, un’inchiesta internazionale di Le Monde. L’unico accertamento in questo senso è documentato da un rapporto ISPRA del 2018, che riscontrò PFAS in due punti delle acque sotterranee e superficiali del comune.

Da allora però, a Portoscuso non sono state più condotte indagini su questi pericolosi contaminanti.

Chi inquina paga?

Il Sulcis è un Sito d’Interesse Nazionale per le Bonifiche (SIN) da oltre 20 anni. Come si vede dai dati, le cose non stanno andando benissimo. Le (poche) informazioni sullo stato dell’arte delle bonifiche si trovano nell’ultimo report sul portale SIN del Ministero dell’Ambiente, datato dicembre 2023.

La mappa del SIN del Sulcis Iglesiente Guspinese - Screenshot dal report “Stato delle procedure per la bonifica Dicembre 2023”
La mappa del SIN del Sulcis Iglesiente Guspinese - Screenshot dal report “Stato delle procedure per la bonifica Dicembre 2023”
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Uno zoom su Portoscuso - Screenshot dal report “Stato delle procedure per la bonifica Dicembre 2023”

Nella mappa, il comune di Portoscuso (in arancione a sinistra) è indicato come “area potenzialmente contaminata”, che vuol dire che nessun intervento di bonifica è già deciso e garantito. La mini macchiolina verde chiaro nel comune indica l’unica area bonificata, mentre nel distretto industriale di Portovesme (l’area blu interna a Portoscuso) le bonifiche sono state approvate, ma stentano a partire. 

 

Un esempio recente: le aziende Enel, Alcoa, Portovesme srl e Fintecna stavano prendendo accordi per un progetto comune di bonifica e barrieramento delle falde industriali a protezione del mare. Ma in aprile Enel si è chiamata fuori: «purtroppo non si sono verificati i presupposti per la costituzione della società consortile» si legge nella breve email con cui ha comunicato l’uscita dal progetto. Il mese prima, alla stessa Enel è stato negato in ultimo grado il ricorso con cui per anni ha provato a svincolarsi dalla bonifica del sito “Area 5”, vicino alla centrale Grazia Deledda.

 

Intanto, il sindaco di Portoscuso Ignazio Atzori valuta di riproporre al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica l’avvio di una procedura per danno ambientale per determinare le responsabilità delle industrie locali nell’inquinamento. Ci aveva già provato nel 2006 ma non se ne fece nulla: dopo 15 anni e vari solleciti, la risposta del Ministero e di Ispra fu che l’inquinamento era talmente diffuso da non poter dimostrare il reale «nesso causale» tra il danno e le singole aziende.

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La risposta del Ministero alla richiesta di danno ambientale - Screenshot dall’email al sindaco di Portoscuso.

«Ogni inquinante ha una paternità specifica inconfutabile, si poteva benissimo identificare» dichiara Atzori, sostenendo che la presenza di metalli pesante è attribuibile alle singole industrie che li trattavano. «Sono state scelte della politica nazionale e regionale che hanno sempre trascurato il nostro territorio», aggiunge. Oggi, il Sulcis e in particolare Portoscuso sono tra i tanti territori che l’Ue ha promesso di «non lasciare indietro» grazie all’aiuto del Just Transition Fund. Sarà così?

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Ignazio Atzori, sindaco di Portoscuso. Foto di Matteo Barsantini

La giusta transizione passerà da Portoscuso?

Il programma Jtf in Sardegna sta finalmente per muovere i primi passi, proprio partendo dai siti contaminati: l’area di Portovesme a Portoscuso, con le sue industrie metallurgiche, è il simbolo più grave dell’inquinamento del Sulcis, ma ci sono tante altre zone compromesse da secoli di attività minerarie. Il bando da 80 milioni di euro per le bonifiche del Sulcis è il primo, e mentre scriviamo l’unico, bando Jtf aperto in Italia (l’altra area interessata dal fondo è Taranto, in Puglia). Dopo varie proroghe, i comuni hanno potuto candidare progetti fino al 17 maggio 2024. La comunicazione dei vincitori dei finanziamenti era attesa in tempi brevi, ma il Centro Regionale di Programmazione della Regione Sardegna non ha saputo fornire a Slow News una data, nemmeno indicativa.

 

A Portoscuso, l’ottimismo è poco.

 

Le proposte del comune riguardano la bonifica di falde e suoli esterni a Portovesme e quella dell’area della vecchia centrale Monteponi, vicino all’Alcoa. «Quell’area è “Zona franca doganale” ed essendo adiacente al porto industriale ha un notevole valore strategico», dichiara Atzori. Se risanata, darebbe l’opportunità di lavorare e rispedire merci sotto un regime fiscale agevolato. Il sindaco però ha poche speranze che i progetti vengano finanziati e alcuni elementi supportano il suo pessimismo. 

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L’ex centrale termoelettrica Monteponi di Portovesme, Portoscuso. Foto: Sardegna Abbandonata

Benché le certezze sui progetti JTF selezionati si avranno solo con la pubblicazione ufficiale degli esiti del bando, infatti, già oggi si può dire che gli 80 milioni di euro per le bonifiche non basteranno per tutti i comuni del Sulcis-Iglesiente. Portoscuso ne ha chiesti 10 per la centrale di Monteponi, più altri 2 per le falde e suoli esterni all’area industriale. Il comune di San Giovanni Suergiu ha chiesto 38 milioni per la bonifica e riqualificazione dell’ex centrale elettrica Santa Caterina, da destinare ad attività turistiche e per startup a servizio del porto di Sant’antioco. Altri 60 milioni del JTF andranno alla bonifica della valle del Rio San Giorgio nei comuni di Carbonia, Gonnesa e Iglesias, almeno secondo quando riporta fin da gennaio il portale dell’Assessorato dell’industria. Il direttore del Crp della Regione non ha confermato a Slow News questa notizia. 

 

Anche sulla base delle sue interlocuzioni con i funzionari regionali, Atzori teme che dal Jtf il suo comune otterrà solo «un finanziamento di 1,5 milioni di euro per mettere in sicurezza 23 km di strade rurali pavimentate con rifiuti industriali (scorie Waelz)».

 

È presto per dirlo ma, in ogni caso, anche per i progetti che verranno approvati la strada è in salita. Un problema è la mancanza di competenze tecniche, soprattutto per i comuni più piccoli. «Quello che mi preoccupa di più è trovare i professionisti e il personale per costruire l’ufficio apposito di gestione del progetto Jtf. Ormai non si trovano più ingegneri, soprattutto per lavorare nei comuni» spiega Elvira Usai, sindaca di San Giovanni Suergiu. 

 

Infine, c’è la solita questione dei tempi stretti: il programma Jtf ha già accumulato diversi ritardi, per problemi tecnici a livello regionale e nazionale, e la scadenza di spesa della maggior parte dei fondi entro fine 2026 non è rinviabile. Servirebbe almeno avviare i progetti per poi chiedere una proroga, ma i tempi per l’autorizzazione di un intervento di bonifica non sono brevi. 

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L’ex centrale elettrica Santa Caterina, San Giovanni Suergiu. Foto: Sardegna Abbandonata

In fondo al cammino

Questo articolo è l’episodio finale de Il cammino del Sulcis, la nostra serie sulle sfide della giusta transizione energetica del Sulcis Iglesiente. 

 

La partenza di questo percorso ha raccontato della tempesta perfetta che si è abbattuta su un territorio già in profonda crisi, in cui l’abbandono del carbone e il caro energia stanno spazzando via il poco che resta delle industrie locali. Abbiamo poi spiegato il programma Just Transition Fund attraverso i suoi stenti, prezzo storico di burocrazia e incapacità amministrativa, e le sue opportunità: le prospettive di un progetto di economia circolare che vale decenni di occupazione e miliardi di euro, ma non parte; e i sentieri di una riconversione riuscita che mostra, nel suo piccolo, che le alternative al carbone e ai metalli sono possibili anche nel Sulcis.

 

All’inizio di questa serie, ci eravamo chiesti se, anche grazie al Just Transition Fund, nel Sulcis sarebbe arrivata la rivoluzione. Un anno dopo, non ce n’è ancora traccia. 

 

Avremmo voluto almeno chiudere la serie parlando dell’avvio delle bonifiche finanziate dal Jtf, i primi passi concreti della transizione per superare l’eredità velenosa delle miniere e delle attività metallurgiche. Invece, possiamo solo parlare delle cicatrici di quell’eredità. Gli esiti del bando, come detto, non sono stati pubblicati e non è ancora possibile anche solo stabilire una data di inizio lavori. Per scrivere di queste bonifiche, quindi, è ancora troppo presto. Per realizzarle, invece, sembra già troppo tardi. 

Slow journalism è trasparenza…

Alcune fonti che abbiamo usato non erano documenti pubblici a disposizione dei cittadini. Ci sembrava un peccato, così abbiamo deciso di rimediare: ora li trovi qui, in un repository esplorabile di Google Pinpoint. I dati che abbiamo ottenuto tramite FOIA da Arpas e che Slow News ha elaborato sono ora aperti e scaricabili in formato .csv a questo link, che vorremmo rendere uno spazio di monitoraggio continuo della crisi ambientale del Sulcis.

Nell’immagine di copertina: gli impianti Alcoa visti dal tetto dell’ex centrale Monteponi, Portoscuso. Foto di Sardegna Abbandonata

 

 


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