Ep. 5

Per le rifugiate ucraine trovare lavoro non è facile

Nel Lazio, un progetto sostenuto dai fondi di coesione UE ha aiutato Hanna, Kateryna e Larysa ad avere un’occupazione. A livello continentale, però, le loro sono eccezioni.

Foto: Christin Hume via Unsplash
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Accoglienza a doppio standard

Dal campo, il racconto del doppio standard di accoglienza dei profughi ucraini in Europa.

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Hanna ha 24 anni ed è originaria di un piccolo paese vicino a Kiev. Quando è arrivata in Italia aveva ancora in mente le parole dei suoi genitori: «vai tu, mettiti in salvo». Figlia unica, è arrivata da sola.

 

Dopo l’inizio dell’offensiva russa nel suo paese, nel febbraio del 2022 i familiari l’hanno spinta a partire quasi subito. Loro sono rimasti: il padre non poteva uscire dal paese, perché ancora considerato in età per prestare servizio militare e la madre ha scelto di rimanere con lui. E così Hanna ha deciso di lasciare un lavoro che le piaceva, la traduttrice, e provare a ricostruirsi una vita in Europa.

Frida, per il lavoro e l’inclusione

A Roma è stata accolta all’Hotel Capannelle, uno degli hub di prima accoglienza numericamente più importanti della regione Lazio per i profughi ucraini. E da qui ha cominciato a chiedere come fare per poter trovare un’occupazione. Il primo step è stato un corso di formazione professionale per operatore di servizi alberghieri. Al termine le è bastato un colloquio in un resort a cinque stelle a Fiuggi, per essere assunta come receptionist, grazie alla sua conoscenza delle lingue, italiano e inglese in particolare. Oggi vive lì. «Il lavoro mi piace – racconta la ragazza – anche se in futuro vorrei mettere a frutto i miei studi, cercando un impiego diverso».

 

Come gran parte dei profughi ucraini ha in mente di tornare prima o poi nel suo paese, ma sa che i tempi non sono brevi, così punta a migliorare la sua situazione in Italia. «Il mio fidanzato – continua – è ucraino, è nella marina militare, ma opera in contesti internazionali e non nello scenario di guerra. Vogliamo sposarci ma per ora dobbiamo aspettare».

Il corso per l’orientamento al lavoro che ha permesso ad Hanna di ripensare la sua vita in Italia fa parte del progetto  FRIdA – Femmes réfugiées indipendentes et aimèes – Donne Rifugiate, Indipendenti e Amate Roma Capitale. L’intervento è stato finanziato dalla Regione Lazio con il POR FSE 2014-2020, cioè con quella quota di fondi della politica di coesione Ue che, dopo lo scoppio della guerra, è stato possibile riprogrammare e destinare all’accoglienza dei rifugiati ucraini.

 

Capofila è l’associazione Casa dei Diritti Sociali Odv in partnership con Anci Lazio, il Forum del Terzo Settore del Lazio e l’ente formativo privato Maspro Consulting. A frequentare il corso di formazione con lei altre undici persone, in maggioranza donne. Il progetto punta a un’effettiva inclusione sociale e lavorativa. Per questo, oltre allo sportello legale e socio assistenziale, ha attivato anche un corso di italiano di base per adulti e uno sportello di orientamento ai servizi dedicato alle donne, con particolare riguardo per le eventuali vittime di tratta o violenza.

In albergo, temporaneamente

Per Kateryna, 41 anni, proveniente da Khmelnytsky nella regione di Podolia, frequentare il corso ha significato poter sviluppare una sua passione. Quando un anno fa è scappata dall’Ucraina per venire in Italia, non era la prima volta che arrivava nel nostro paese. Tempo prima, aveva già vissuto a Milano, lavorando in un bar. Poi era rientrata a casa, ma l’inizio dell’offensiva russa l’ha costretta a fuggire insieme ai due figli. Il marito è rimasto in Ucraina a combattere.

 

Nel suo paese Kateryna insegnava musica: «una passione che avevo fin da bambina e che amo moltissimo» dice. Ora in Italia ha iniziato invece a lavorare come cameriera ai piani di un hotel di lusso di Roma e sta coltivando la sua idea di diventare pasticcera. Con lei lavora anche Larysa ha 37 anni, originaria di Leopoli. È laureata in economia e separata, ha un figlio, che è venuto con lei. Non è partita subito dopo il conflitto, ma col passare delle settimane, ha deciso di venire in Italia, mentre i genitori sono rimasti. Per lei ora sono un pensiero fisso, vorrebbe riuscire a portarli qui e metterli in sicurezza. Per ora è impiegata nell’hotel ma in futuro vorrebbe far valere i suoi studi e trovare un’occupazione adeguata.

Dopo l’inclusione sociale e lavorativa, l’accompagnamento di queste donne verso un’indipendenza economica è il secondo obiettivo del progetto, spiega Francesca Danese, presidente del Forum del Terzo settore: «Stiamo sviluppando un sito web per il sostegno all’inclusione che rimanga a disposizione on line anche dopo la fine del progetto». «Con FRIdA il Forum del Terzo Settore prosegue il supporto alla popolazione ucraina cominciata allo scoppio della guerra. All’inizio abbiamo fornito beni di prima necessità e sostenuto trasferimenti in strutture di accoglienza presenti in tutta la Regione Lazio. Ora serve una rete per supportare queste persone in maniera stabile» aggiunge Danese.

Solo un terzo ce l’ha fatta

In totale, FRIdA ha coinvolto oltre 200 profughi, soprattutto donne. Oltre ai corsi di italiano di base sono state svolte attività di ludoteca e laboratori creativi che hanno coinvolto una quindicina di minori. Molte le consulenze giuridiche, legali, di accompagnamento al lavoro e ai servizi sanitari.

 

Il progetto, che è iniziato nel luglio del 2022, si concluderà a fine ottobre e quindi è ancora presto per fare dei bilanci. Quel che è certo che le storie fin qui raccontate sono positive, ma c’è anche chi sta faticando a trovare lavoro. Lo ha messo in evidenza, a livello UE, anche una recente indagine della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound).

 

Nonostante le facilitazioni a loro accordate con l’applicazione della direttiva 55/2001, che a differenza di altri rifugiati e richiedenti asilo li rende da subito impiegabili per molti profughi ucraini non è facile trovare un’occupazione per via di diverse difficoltà pratiche.

Il primo scoglio è la lingua: anche se il 23 per cento frequenta dei corsi, non conoscere la lingua del paese ospitante è la ragione principale per cui le persone abbandonano gli studi, non lavorano o hanno difficoltà a ottenere assistenza sanitaria. E poi c’è il problema della casa: anche se il 59 per cento paga per l’alloggio, spesso deve condividere servizi come il bagno o la cucina e questo può creare ulteriori difficoltà.

 

In conclusione, ad oggi, solo il 33 per cento degli oltre 14 mila profughi ucraini che hanno risposto al sondaggio ha un lavoro retribuito e il 33 per cento delle donne non lavora perché deve prendersi cura dei figli o di parenti anziani/malati. Non solo. Per il 48 per cento dei rispondenti il nuovo lavoro è al di sotto del loro livello di istruzione e il 30 per cento afferma di essere stato sfruttato sul lavoro. Le esperienze di Hanna, Kateryna e Larysa sono ancora eccezioni, purtroppo.

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