Ucraina: un nuovo modello d’accoglienza?
A oltre un anno e mezzo dall’inizio della guerra, un’analisi di come le persone le persone in fuga dall’invasione russa sono state accolte dagli stati europei
La storia di Aliona Fedchyshyna: «Così ho aiutato gli altri profughi ucraini in Italia, prima di tornare a casa».
Dal campo, il racconto del doppio standard di accoglienza dei profughi ucraini in Europa.
Quando è arrivata in Italia, il 3 marzo 2022, Aliona Fedchyshyna, 28 anni, pensava di restare al massimo due settimane. Ci sono voluti dieci mesi per riuscire a tornare a casa, in Ucraina, con la guerra che, dopo un anno, non accenna a finire.
Originaria di Kiev, Fedchyshyna ha deciso di lasciare l’Ucraina dopo i primi bombardamenti di fine febbraio. «Ho sentito da subito un forte senso di colpa nell’andare via. Non è stata una scelta facile, ma a un certo punto ho pensato che restando a casa non avrei potuto fare molto. Nelle prime settimane di guerra, con i bombardamenti continui ero costretta a scendere nei sotterranei continuamente, bloccata dalla paura. Non potevo neanche essere d’aiuto agli altri. Così l’unica scelta è stata ripararsi altrove», racconta.
La sua meta, da subito, è l’Italia. Fedchyshyna parla fluentemente l’italiano da anni. Laureata in Studi culturali al dipartimento di filosofia con una tesi sull’immagine di San Francesco nel Rinascimento, ha iniziato a studiare l’italiano ai tempi dell’università a Kharkiv, e lo ha poi consolidato durante un soggiorno di tre mesi a Cremona.
«Sono una persona molto razionale, mantengo la lucidità anche nei momenti di panico. Ho pensato che in un paese dove non avevo lo scoglio linguistico avrei potuto integrarmi meglio, stare più tranquilla e ricevere aiuto»,spiega.«Così, una volta varcato il confine con l’Ucraina, mi sono spostata subito a Milano. Qui avevo degli amici che avevano contatti anche con alcune organizzazioni umanitarie».
E così Fedchyshyna, come gli altri 173mila rifugiati ucraini (92.353 donne, 31.848 uomini e 49.444 minori) arrivati dal 24 febbraio al gennaio 2023 in Italia, inizia il suo percorso nel nostro paese.
Da subito trova un appoggio per dormire, le associazioni del territorio che offrono cibo e vestiti. «La gente non era solo comprensiva, mi aiutavano con tutto», spiega. «Sono partita con uno zainetto e poche cose. Alcune persone mi hanno persino comprato quello di cui avevo bisogno, perché le mie carte di credito erano bloccate. È stato straordinario».
Dopo un periodo di permanenza a Milano, Fedchyshyna incontra i suoi amici italiani che le chiedono se ha bisogno di lavorare e le indicano un progetto che offre accoglienza e aiuto ai profughi ucraini.
Help Ucraine è un’iniziativa di AVSI che Fondazione di Comunità Milano ha sostenuto con risorse del fondo solidale #MilanoAiutaUcraina creato con il Comune di Milano a pochi giorni dallo scoppio della guerra. L’iniziativa ha coinvolto oltre 350 donatori, tra cittadine e cittadini, imprese e realtà della società civile.
Fedchyshyna inizia così a lavorare allo sportello: «Poter aiutare gli altri connazionali non era solo un modo per rendermi utile, ma anche per tenere occupata la mente. Prima di iniziare a lavorare ero continuamente al telefono con le persone rimaste in patria, guardavo i video dei bombardamenti sulle città ucraine, leggevo tutto, non riuscivo a staccarmi dal flusso delle notizie. Piangevo e mi disperavo per gran parte delle mie giornate», racconta.
«Il lavoro allo sportello invece mi ha consentito di indirizzare la mia energia nel bene verso gli altri e accantonare il senso di colpa per aver lasciato il paese, nella consapevolezza che in Italia il mio ruolo era importante. Grazie alla conoscenza della lingua potevo essere un punto di riferimento e orientare gli altri profughi, che arrivavano spaesati. Ho iniziato come volontaria poi è diventato un vero lavoro. Servivo agli altri, ma soprattutto così ho evitato di impazzire», aggiunge.
Ancora oggi, nell’hub milanese sono sei le operatrici di madrelingua ucraina che rispondono alle chiamate dal lunedì al venerdì: raccolgono i bisogni delle persone rifugiate e operano in stretta connessione con i servizi sociali, con gli operatori del Comune e con i partner territoriali articolati sui Municipi.
«Abbiamo deciso di inserire nel progetto persone ucraine come Aliona Fedchyshyna perché il peer to peer è un valore aggiunto: non solo possono fare una mediazione linguistica, ma anche relazionale e di confronto»,spiega Stefano Sangalli, coordinatore dell’hub Help Ukraine per Avsi. «Al contempo in questo modo si valorizzano le competenze dei rifugiati stessi che possono lavorare aiutando i connazionali».
Nei primi mesi di attività le chiamate arrivate allo sportello milanese sono state anche un modo per capire i bisogni in evoluzione della popolazione ucraina. In particolare, il 45 per cento delle richieste ricevute ha riguardato le iscrizioni a corsi di lingua italiana e le attività ricreative ed extrascolastiche per minori; il 14 per cento le questioni abitative; il 10 per cento l’orientamento rispetto al permesso di soggiorno, mentre nel 7 per cento dei casi la richiesta è stata quella di ricevere supporto economico.
Dopo un’iniziale prevalenza delle richieste di accoglienza, nel corso del tempo si sono accentuati i bisogni per il sostegno alle funzionalità genitoriali e l’alleggerimento del carico di cura nei confronti di figli, figlie, ed eventuali genitori o parenti anziani. I rifugiati, nella stragrande maggioranza donne con bambini piccoli, hanno chiesto spesso attività e percorsi diurni destinati ai minori.
«I bisogni si sono evoluti nel tempo, inizialmente il primo bisogno era legato all’alloggio e alla ricerca lavoro», continua Sangalli. «Ora ci chiedono percorsi di integrazione e attività di sostegno per la famiglia e i bambini. Poi c’è la parte documentale, per esempio per la procedura di richiesta di protezione temporanea».
All’inizio del conflitto, la fuga repentina dall’Ucraina ha portato circa sei milioni di persone a fuggire dal paese. Secondo i dati Unhcr sono 4,9 milioni gli ucraini registrati per la protezione temporanea in UE (dato aggiornato al 17 gennaio 2023), che hanno cioè ricevuto accoglienza immediata e tutti i benefici connessi: l’accesso al lavoro, alla scuola e alla sanità. Una parte dei rifugiati è tornata in patria, un’altra ha deciso di restare nei paesi di accoglienza.
In uno scenario di guerra che non accenna a finire, l’Unione europea ha deciso di prorogare la protezione temporanea, garantita dalla direttiva 55 del 2001, almeno fino a marzo 2024. Già prima di questa decisione, l’Unione Europea si era attivata per fornire agli stati membri dei fondi per far fronte all’accoglienza e all’integrazione dei profughi. Non si è trattato di “soldi freschi”, aggiuntivi rispetto al budget UE, ma della possibilità di usare in maniera diversa una parte di quelli già stanziati.
In particolare, con le iniziative CARE (Cohesion’s Action for Refugees in Europe) e FAST CARE (Flexible Assistance to Territories), l’Ue ha deciso che parte dei fondi della politica di coesione (FESR e FSE), del Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD) e dello strumento per superare la crisi pandemia REACT-EU potranno essere usati anche per aiutare chi ha lasciato l’Ucraina, con modalità più semplici e veloci del solito.
Nel caso di FESR, FSE e FEAD gli stati potranno decidere di reindirizzare le risorse non spese nell’ambito della programmazione 2014-2020 mentre per REACT-EU si prevede l’utilizzo dei fondi previsti per il 2022, in parte sotto forma di prefinanziamenti.
Complessivamente, ha fatto sapere la Commissione UE ad inizio gennaio 2023, i fondi della politica di coesione in favore dei rifugiati ucraini sono stati 7,7 miliardi di euro.
In Italia i progetti finanziati nell’ambito di CARE e FAST CARE destinati alla popolazione ucraina sono, nella maggior parte dei casi, ancora in una fase embrionale.
E, infatti, dallo scoppio della guerra ad oggi, la maggior parte degli interventi per i rifugiati provenienti dall’Ucraina sono stati finanziati con altre modalità. Ne è un chiaro esempio il progetto di AVSI in cui ha trovato lavoro Fedchyshyna, che è stato sostenuto da un ente locale e da una fondazione di comunità.
Da Bruxelles fanno sapere che il nostro paese ha apportato modifiche ad alcuni programmi, come quello relativo all’istruzione “Per la scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento”, che mette a disposizione 50 milioni di euro dal FSE a favore di misure di integrazione scolastica per i bambini ucraini. Si prevede il sostegno ai bambini e ai loro genitori attraverso l’attivazione di percorsi formativi specifici volti a favorire il loro inserimento nel nuovo ambiente scolastico e sociale, anche attraverso il rafforzamento delle competenze chiave.
Altri progetti, attivati nelle regioni come il Lazio riguardano soprattutto l’inserimento lavorativo e il supporto all’integrazione sul territorio. Tra gli aspetti da non trascurare c’è l’aspetto psicologico – aggiunge Sangalli -. L’ansia iniziale, la lontanza dalla famiglia, le notizie che arrivano dei bombardamenti non consentono di vivere serenamente. Metabolizzare tutto è complesso».
Intanto anche Aliona Fedchyshyna è tornata in Ucraina. «A ottobre, quando era tutto più tranquillo sono stata a trovare i miei amici per la prima volta. Poi a gennaio ho deciso di stabilirmi a Leopoli»,racconta al telefono. «La vita non è semplice con l’elettricità, l’acqua razionate e le sirene che suonano. Ma per ora resto qui. In città ci sono diverse organizzazioni umanitarie anche italiane e due uffici dell’Avsi. Continuerò a collaborare con loro, a rendermi utile, ad aiutare gli altri nella speranza che questa guerra cessi il prima possibile».
Errata corrige: in una prima versione del pezzo la nascita di Help Ukraine non era spiegata in maniera precisa e il numero di donatori indicato era inferiore a quello attuale (330 contro 350).
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