Una precisazione doverosa, arrivati a questo punto: anche usando indicatori come quelli relativi all’intrappolamento, resta impossibile determinare una equazione fissa che leghi in modo diretto e inscalfibile il valore del tasso, gli effetti e soprattutto le cause. Troppi sono gli elementi in gioco. Quello che però questo tasso ci porta a individuare sono alcuni dati costanti che ritroviamo sempre o quasi nelle regioni intrappolate: l’inefficienza del mercato del lavoro e dei sistemi di istruzione e formazione per gli adulti, gli scarsi risultati nei settori dell’innovazione, della governance pubblica o dello sviluppo delle imprese e l’accesso limitato ai servizi, per esempio.
Un altra costante che il team di Iammarino ha rilevato è il legame tra crollo del settore manifatturiero o il numero esorbitante di impiegati pubblici e il rischio di intrappolamento, ma ciò non basta per arrivare a una ricetta.
«Quando si raggiungono livelli di Pil pro capite del 75% rispetto della media UE poi serve spostare gli investimenti dalle infrastrutture di base al finanziamento della formazione altamente qualificata, dell’innovazione, del miglioramento della qualità dei servizi e delle amministrazioni locali», riconosce la Commissione nel VIII Rapporto sulla Coesione nell’Ue e quando questo passaggio manca i territori rischiano fortemente di finire in trappola.
Secondo la commissaria per la coesione Elisa Ferreira, intervenuta alla conferenza stampa di presentazione del rapporto, nel febbraio del 2022, la responsabilità è della politica nazionale. «C’è la tentazione di concentrare gli investimenti nelle regioni più sviluppate», ha detto Ferreira «e si crea una migrazione interna, le persone lasciano i luoghi dove sono nate e hanno vissuto e questo uccide la dinamica dello sviluppo in certe regioni. Bisogna cercare di riequilibrare lo sviluppo nazionale».
Ferreira tocca un nodo importante, e non è l’unica a ribadirlo: un fattore determinante per la crescita, e quindi anche per il rischio che quella crescita non arrivi mai, è la scarsa capacità di visione della politica nazionale, che, unita alla storicamente scarsa qualità istituzionale delle amministrazioni pubbliche, difficilmente capisce che la strada è investire bene e su tutto il territorio, per attenuare le diseguaglianze interne e trasversali al paese.
Le conseguenze di lungo termine, oltre ovviamente agli effetti stessi della stagnazione economica, sono anche altre. Un rapporto europeo intitolato The geography of EU discontent propone un legame tra la stagnazione regionale e la percezione nei cittadini che esista un’Europa a due livelli. Anche nella percezione ritorna ciò che abbiamo visto emergere dai dati: un’Europa a due velocità.
L’intrappolamento in molte regioni storicamente già sviluppate come l’Italia e la Francia, sta causando risentimento sociale e politico verso ciò che è sempre più considerato come un sistema che non aiuta le aree lasciate indietro, i cui i residenti sentono di contare sempre meno, i cui territori effettivamente arrancano, generando così l’humus perfetto perché si diffondano strane credenze che imputano all’Europa ogni male. Esattamente l’opposto di quello a cui puntava la poltiica di coesione. E se la coesione di sfalda, i partiti politici più fortemente euroscettici prendono il largo e, come diceva il rapporto europeo, «rischia ogni singolo paese, ma anche l’intera Unione Europea».