Ep. 08

La strage di Bologna (1980)

La storia dell’attentato alla stazione di Bologna, minuto per minuto.
Per non dimenticare.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Dalle nostre serie Serie Giornalistiche
I giorni più lunghi del secolo breve

Una serie che è anche un libro e che racconta, minuto per minuto, i giorni che hanno cambiato la storia del ‘900, o meglio, del Secolo breve.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

Sono le 8 e 15 circa della mattina del 2 di agosto del 1980. Gli altoparlanti della Stazione Centrale di Bologna annunciano che il treno per Bolzano è in partenza. Una donna fatica trascinando una valigia, un uomo aumenta il passo, chiede alla signora se ha bisogno, la aiuta a montare sul vagone. Poi il semaforo in fondo al binario diventa verde e un fischio, quello del capotreno, dà al macchinista il segnale per partire. Le porte si chiudono con uno sbuffo, mentre a qualche binario di distanza un ragazzo rallenta la sua corsa e ricomincia a camminare, anche lui sbuffando. Si chiama Sergio, ha 24 anni , il treno da cui è appena sceso è in ritardo e lui, che a Bolzano deve incontrare un gruppo teatrale di Treviglio, ha appena perso la coincidenza.

 

Intanto, a qualche centinaia di chilometri da Bologna, nella caserma dei Carabinieri di Vallunga, vicino a Selva di Val Gardena, un signore con gli occhiali spessi ha appena finito di fare colazione. Appoggia la tazzina del caffè e apre il giornale, come ogni mattina.

Accanto ha la moglie e, a portata di mano, una pipa di legno marrone con il bocchino nero, marca Mastro de Paja. Quel giorno non l’ha ancora accesa, ma prima di notte la caricherà molte più volte del solito. Si chiama Sandro Pertini, ha 84 anni, da due è il Presidente della Repubblica Italiana e ancora non sa che per lui quello è l’ultimo giorno di ferie per un bel po’.

 

Sono le 9 del mattino e a Bologna anche Sergio ha finito di fare colazione. Ha mangiato una brioche e ha bevuto un caffè al bar della stazione. Nel frattempo ha scoperto che il prossimo treno per Bolzano partirà alle 10.50. Ha tempo, ma prima di trovare un posto in sala d’aspetto va alla cabina telefonica, a poche decine di metri. Si avvicina all’apparecchio, infila qualche moneta e compone un numero, cominciando dal prefisso, quello di Verona.

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«Pronto, Ferruccio?»
«Sì, chi parla?»
«Ciao sono Secci»
«Oh, Sergio, ciao, che combini? Non dovresti essere in viaggio?»
«Sì, lascia stare, sono ancora a Bologna, ho perso la coincidenza. Volevo solo dirti che arriverò un paio d’ore in ritardo, vi farò aspettare»
«Ah, cavolo… dai, non preoccuparti, ti aspettiamo in stazione
«Grazie amico, a dopo allora»
«A dopo Sergio, buon viaggio.»

Sono le 9 passate e a pochi metri dalla cabina telefonica in cui Sergio ha appena salutato il suo amico Ferruccio, un ragazzo giapponese aspetta diligentemente il suo turno per telefonare. Si chiama Iwao Sekiguchi è nato a Tokio e studia letteratura giapponese alla Università Waseda , una delle più esclusive del suo paese. Nel giro di due settimane compirà vent’anni ed è lì perché spera di incontrare una sua amica italiana che si chiama Teresa e che sta proprio a Bologna. Si avvicina al telefono, compone il numero senza prefisso e sta in attesa. Lascia squillare per un minuto intero, poi, un po’ triste, mette giù.

 

Intanto si sono fatte le 9 e 30, e a qualche centinaio di metri dalla stazione, un ragazzo di circa trent’anni che nella vita fa l’autista di autobus sta aspettando un suo collega. Tra poco più di un’ora attaccano servizio e tutti e due preferiscono arrivarci prima, giusto per fare due chiacchiere prima della giornata di lavoro. Si chiama Agide Melloni e anche la sua, come quella di molti altri, sarà una giornata interminabile.

 

In quel momento, a Palmerston North, in Nuova Zelanda il sole è basso sul mare all’orizzonte e sta per scendere la sera. Sono le sette e mezza circa e davanti al vecchio edifico dell’Opera House decine di persone stanno aspettando di entrare nella sala grande. Hanno tutti in mano un biglietto di un concerto con sopra scritto il nome del gruppo che stanno per ascoltare: The Cure.

 

In Val Gardena Pertini ha finito di leggere i giornali. I titoli di oggi parlano delle Olimpiadi di Mosca — è ancora fresca la vittoria di Pietro Mennea nei 200 metri — ma anche delle trattative in corso tra l’Alfa Romeo e la giapponese Nissan . Ci sono polemiche, il governo non si sta sbilanciando e Pertini è un po’ preoccupato. Mentre pensa a che cosa hanno in mente Cossiga e i suoi ministri, Pertini carica del tabacco nella sua Mastro de Paja, poi la accende e sbuffa i primi tiri.

 

Il giovane giapponese intanto si è allontanato un po’ sconsolato dal telefono pubblico ed è andato al ristorante. Non ha ancora fatto colazione, forse sperava di farla con Teresa in qualche posticino nel centro storico, e ora deve inventarsi qualcosa. In un italiano approssimativo chiede a una giovane cameriera cosa può avere da mangiare. Non ha molti soldi, quindi si accontenta di un cestino di viaggio che gli possa durare un po’. Mentre la cameriere incassa i soldi ed è assorta nel calcolare il resto, Iwao si accorge di fissarla e intanto pensa a quanto è carina. Poi distoglie lo sguardo e si guarda intorno. A pochi metri da lui c’è il ragazzo che stava telefonando prima di lui. Lo sta guardando, ha notato anche lui la cameriera e ora sta pensando la stessa cosa di Iwao.

Gli lancia un sorriso complice, poi abbassa lo sguardo e torna a leggere il giornale.

 

La ragazza che entrambi stavano fissando si chiama Rita e ha 23 anni. Porge il resto a Iwao, insieme al cestino di viaggio, e gli augura una buona giornata. Poi si mette a chiacchierare con una sua collega, Nilla, di due anni più grande. Nilla sta per sposarsi e le deve finire di raccontare dei mobili che ha scelto per la sua nuova casa. È su di giri.

 

Intanto l’orologio della stazione di Bologna segna le 10 meno un quarto. Un gruppo di controllori cammina verso la sala d’attesa del personale viaggiante. Sono in quattro. Tra loro c’è Roberto Castaldo, che sta raccontando agli altri di quel che gli è successo poche ore prima. Doveva essere a Cremona, ma all’ultimo gli hanno spostato il turno da Bologna, sul treno straordinario Ancona Basilea. Mentre lo racconta sorseggia un caffè.

 

All’Opera House di Palmerston North, intanto, è tutto pronto per l’inizio del concerto. Robert Smith si avvicina al microfono e annuncia: «Let’s start boys!». Nello stesso momento, Laurence Tolhurst dà il tempo agli altri tre e Smith inizia a suonare il riff di chitarra di Seventeen Seconds. Poi, a un certo punto, comincia a cantare:

«Time slips away
And the light begins to fade
And everything is quiet now
Feeling is gone
And the picture disappears
And everything is cold now
The dream had to end
The wish never came true
And the girl
Starts to sing
Seventeen seconds
A measure of life
Seventeen seconds»

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Mentre i Cure ci danno dentro, il giovane studente giapponese, a Bologna, si è diretto alla sala d’aspetto di seconda classe e si è seduto. C’è una gran chiasso, la sala è piena di gente eccitata, stanno aspettando tutti di prendere un treno che li porti in vacanza e molti di loro sono bambini. Iwao si guarda intorno, osserva una bambina piccola che continua a scappare alla madre, che la insegue senza sosta. Avrà al massimo quattro anni, pensa, chissà dove se ne andrà in vacanza. Il giovane si guarda intorno per qualche minuto, poi tira fuori dallo zaino un quaderno e una penna, trova la prima pagina bianca e attacca a scrivere il suo diario, come fa spesso:

«2 agosto: sono alla stazione di Bologna. Telefono a Teresa ma non c’è. Decido quindi di andare a Venezia. Prendo il treno che parte alle 11:11. Ho preso un cestino da viaggio che ho pagato cinquemila lire. Dentro c’è carne, uova, patate, pane e vino. Mentre scrivo sto mangiando».

Sono le 10 e 10 e l’altoparlante della stazione annuncia l’arrivo, al primo binario, del treno straordinario Ancona Basilea. È il treno su cui deve prestare servizio Roberto Castaldo, che sentendo l’annuncio, insieme ai suoi colleghi si incammina verso la testa del treno. I quattro passano davanti alla sala d’aspetto di seconda classe, affollata di gente seduta ovunque, anche sui marciapiedi. Nota che, seppur siano solo le dieci, c’è già fila al chiosco dei gelati, a quello dei panini e anche al ristorante. Poi si salutano, ognuno con il suo compito. A Roberto toccano le vetture in centro e ci va.

 

In quel momento nel ristorante suona il telefono. A rispondere per prima è la cameriera più giovane. Si chiama Franca e ha vent’anni.

Si occupa, tra le altre cose, di controllare le consegne e la voce dall’altra parte del ricevitore è proprio quella di un fornitore.

«Buongiorno signorina, scende lei, come al solito?»
«Buongiorno, oggi c’è un po’ di ressa e non vorrei lasciar sole le mie colleghe, le spiace venire su lei?»
«Non c’è problema signorina, ma prima allora ne approfitto per sbrigare un’altra faccenda, arrivo subito»
«Ma certo, grazie mille»

E mette giù.

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A Bologna l’orologio segna le 10.15 e mentre Sergio Secci leggi il giornale seduto a un tavolo a poca distanza da Franca, mentre Iwao mangia il contenuto del suo cestino da viaggio, mentre Pertini fuma la sua prima pipa della giornata, mentre decine di persone aspettano di partire per le vacanze e mentre Rita e Nilla parlano di quanto è bello sposarsi, un uomo entra nella sala d’aspetto di seconda classe con una grossa valigia. Non lo nota nessuno, o quasi, appoggia la valigia su un tavolino e si siede. Poi, dopo un paio di minuti, se ne va. Senza la valigia. A migliaia di chilometri di distanza, Robert Smith sta ancora cantando sul palco dell’Opera House di Palmerston North:

«10.15
Saturday night
And the tap drips
Under the strip light
And I’m sitting
In the kitchen sink
And the tap drip
Drip drip drip drip drip drip drip drip…»

Sono le 10.24 e l’uomo misterioso con la valigia se n’è andato da qualche minuto, salito in macchina davanti alla stazione e sparito nel nulla. Intanto l’autista Agide Melloni è quasi in stazione con il suo collega, il suo turno inizia tra poco, mentre il treno per Basilea sta per partire con dentro Roberto Castaldo e i suoi colleghi. Nel breve arco di un istante il semaforo del binario diventa verde e il capotreno fischia con forza nel suo fischietto per dare l’ordine. Roberto sente il fischio e si gira, vede il segnale verde e fa per alzare il braccio in direzione del suo collega in fondo al treno. Ma non fa in tempo, perché ormai sono le 10 e 25 e quella che un istante prima era una stazione, ora è un campo di battaglia. Dentro la valigia misteriosa dello sconosciuto c’erano 23 chili di esplosivo. La detonazione ha letteralmente distrutto l’intera sala d’attesa della stazione, ha travolto il treno straordinario Ancona Basilea, ha sbriciolato gran parte del ristorante e ha fatto crollare la pensilina del primo binario, travolgendo anche dei taxi nel parcheggio antistante la stazione. Il boato si è sentito per tutta la città, così come da ogni angolo di Bologna si può scorgere il terrificante fungo di fumo nero che si è alzato dalla stazione e che ora la avvolge per intero, come un mantello, rendendo la scena straziante.

Per due minuti c’è solo silenzio.

 

Quando la polvere cala sulla stazione, o su quel ne rimane, decine di persone sono già morte sul colpo, mente diverse centinaia sono ferite. Sono morte Rita, Nilla e Franca, insieme alle altre tre colleghe, Euridia, Mirella e Katia e la maggior parte dei clienti del ristorante. È morto Iwao, travolto dall’esplosione insieme al suo taccuino. È morta Angela, la bambina di meno di quattro anni che Iwao guardava scappare dalla madre, ed è morta anche la madre, Maria Fresu, la più vicina all’ordigno al momento dell’esplosione, il cui corpo si è polverizzato. Roberto è sotto shock, ma è ancora vivo, così come Sergio, le cui ferite però sono gravissime. L’autista Agide Melloni invece è incolume, non era ancora arrivato in stazione con il suo collega, ma appena sente il boato e lo spostamento d’aria, prima ancora di capire cosa è successo, si mette a correre. Quando arriva nel parcheggio, tutto intorno al suo autobus, il numero 37, c’è uno spettacolo che non dimenticherà mai più: corpi fatti a pezzi, calcinacci, travi, carcasse di taxi, superstiti che corrono alla cieca, qualcuno con i vestiti ancora in fiamme, qualcuno senza braccia o gambe.

 

Sono le 10 e 27 e la prima ambulanza arriva sul posto. All’opera ci sono già decine di persone , tra polizia, militari, vigili del fuoco, ferrovieri, ma soprattutto gente comune, gente che era nelle vicinanze, che lavora negli uffici e nei negozi dei dintorni e che sono subito accorsi. Nel frattempo arrivano anche operai di un cantiere poco lontano, la maggior parte resta sul posto a spostare detriti, ad assistere feriti, a iniziare a spostare cadaveri.

Qualcuno torna al cantiere con un compito: tornare al più presto indietro con altri uomini, ma soprattutto con le ruspe e i camion. Il lavoro che gli aspetta è immane.

 

Il primo lancio dell’Ansa è delle 10.47 e dice così : «Una violenta esplosione ha fatto crollare parte della stazione centrale di Bologna, ci sono morti e feriti». Nel frattempo i primi cronisti sono arrivati. Tra loro c’è anche Maria Bagnoli, redattrice RAI nella sede di via Alessandrini. Si rende subito conto, come tutti, che quella che ha di fronte è una tragedia. Vede gente che fugge, due ragazze piene di sangue che piangono e urlano «Siamo vive», poi vede un telefono ancora attaccato al muro, si avvicina e compone il numero della redazione. Quando le rispondono, la prima cosa che riesce a dire è «È un macello».

Poco distante c’è anche l’inviato di Repubblica, Marco Marozzi, assunto solo il giorno prima. Un uomo si aggira frastornato e intriso di polvere dalla testa ai piedi, urla i nomi di due donne, ma nessuno gli risponde.

 

Sono le 11 e ormai è chiaro che è le dimensioni della tragedia sono immani. La prima teoria che si passano i presenti di bocca in bocca, e che arriva anche a qualche giornalista, è che si sia trattato dell’esplosione di una caldaia. Ma in pochi ci credono veramente. Qualcuno inizia a notare l’odore persistente di polvere pirica, altri che nessuna caldaia può spazzare via 50 metri di stazione in calcestruzzo. Il piazzale della stazione è un via vai continuo. Uno dei più attivi tra i soccorritori è Agide Melloni, che rendendosi conto della strabordante quantità dei feriti rispetto alla disponibilità delle ambulanze decide che il miglior modo per essere utile è salire sul suo autobus e svuotarlo di ogni cosa, trasformandolo in qualcosa di molto simile a un carro per trasportare i cadaveri.

Nella prima corsa verso l’obitorio ne porta 8, in quella dopo 12, ma è solo l’inizio.

 

Sandro Pertini, nel frattempo, di pipe ne ha fumate già il doppio del normale. È ancora a Selva di Val Gardena, ma è attaccato al telefono. Riceve gli aggiornamenti da Bologna ed è molto scosso. Ha già fatto approntare un elicottero perché lo porti il prima possibile a Bologna, vuole essere sul posto. Intanto, i telefoni smettono di funzionare per sovraccarico delle linee. Una delle ultime telefonate che partono dalla stazione è di un lavoratore dell’Ufficio Postale, che chiama a casa per tranquillizzare i genitori, ma soprattutto il fratello, che giusto il giorno prima era partito proprio da quella stazione per tornare a casa, a Pavana. Si chiama Francesco Guccini, e se non fosse stato per un calo di voce che gli ha fatto annullare un concerto e anticipare il viaggio di un giorno, in quel momento, forse, sarebbe d’altra parte del telefono, tra le macerie.

Più o meno in quel momento, in Nuova Zelanda, i Cure finiscono il loro concerto dopo due giri di bis.

 

Sono circa le 18 quando Pertini arriva sul luogo della tragedia. «Non ci sono parole… Non ci sono parole per esprimere quello che sento», sono le prime parole che dice, arrivato all’Ospedale. Poi, alla stazione, sollecitato da un giornalista, sbotta: «Come vuole che abbia reagito, quando ho visto quei due bambini sdraiati con le braccia aperte, e che adesso forse sono morti…». Più o meno nello stesso momento, a Mosca, il pugile italiano Patrizio Oliva batte ai punti il russo Serik Konakbayev e si aggiudica l’oro olimpico nella categoria pesi superleggeri.

Chissà se al momento di alzare le braccia, con la medaglia al collo, Oliva sa già che cosa è successo a Bologna poche ore prima.

In ogni caso, ha un’espressione triste.

***

La fotografia originale la puoi trovare qui.

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Una serie che è anche un libro e che racconta, minuto per minuto, i giorni che hanno cambiato la storia del ‘900, o meglio, del Secolo breve.

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Tutti gli episodi

Prefazione, di Marco Missiroli

Cosa c’è di più letterario di un libro che annulla il tempo? O meglio: cosa c’è di più letterario di un libro che svela il tempo? Andrea Coccia ha scritto un’opera con un’idea semplicissima e stupefacente: prendiamo un giorno in cui un evento sta succedendo, ma non fermiamoci lì.

00

27 e 28 giugno 1914

Mancano pochi minuti alle cinque della sera di sabato 27 giugno 1914. In una stanza dell’Hotel Bosna di Ilidze, vicino a Sarajevo, ricolma di opere d’arte di ogni tipo fatte arrivare dagli collezionisti della città, l’Arciduca Francesco Ferdinando sta finendo di scrivere una lettera.

01

La marcia su Roma

Alle 2 e 40 del mattino del 27 ottobre del 1922, a Milano, la notte non è ancora fredda, ma il cielo è molto coperto. Per le ore successive ci si aspettano forti piogge.

02

Il crollo di Wall street

«Ça avait débuté comme ça…», nella notte parigina, in un sottotetto al terzo piano di un palazzo anonimo al 98 di rue Lepic, a Montmartre, Louis Ferdinand Destouches rilegge febbrilmente un testo di una decina di pagine che ha buttato giù di getto qualche nottata prima, in gran segreto. È la notte del 28 ottobre del 1929 e sono ore che ci lavora.

03

L’elezione simultanea di Hitler e Roosevelt (1933)

Quando qualche minuto dopo rilegge la lettera, prima di firmare, senza accorgersene sorride compiaciuto della sua nuova carta intestata. In alto c’è stampato Les édition Denoël&Steele, il nome della sua casa editrice. E mentre lui, Robert Denoël, guarda il suo nome sulla carta intestata e sorride, non lo sa ancora che quel film non si farà mai.

04

Lo sbarco in Normandia (1944)

Le giornate non hanno ancora cominciato ad accorciarsi. In uno degli uffici della sede della Stampa che si affaccia su via Roma, il direttore Concetto Pettinato, scelto direttamente da Benito Mussolini, sta decidendo il titolo per il suo editoriale sulla presa di Roma da parte del nemico alleato, avvenuta quello stesso pomeriggio.

05

La Liberazione di Milano e Genova (1945)

Il 24 aprile è un martedì. E mentre alle 11 e 50 del mattino Orwell è a Stoccarda e cammina nelle macerie, a Milano, nell’ufficio di Corrado Franzi, direttore della filiale milanese della Banca Commerciale, suona il telefono. Dall’altra parte dell’apparecchio c’è un suo collega di Genova e quel che ha da dirgli è una cosa molto importante: la città è insorta.

06

Lo sbarco sulla luna (1969)

A Londra sono le quattro e mezza del pomeriggio. Stanley Kubrick sta lavorando sodo. Ama avere tutto sotto controllo. Per questo scrive il soggetto, la sceneggiatura, dirige, monta e si preoccupa perfino della fase di lancio di tutti i suoi film.

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