Uno dei punti chiave dell’intera iniziativa catalana è il concetto sottolineato da Ariano: i dati prodotti dai cittadini appartengano ai cittadini, in particolare quelli legati ai telefoni cellulari che vengono raccolti dalle compagnie telefoniche.
A tal proposito, Bria ha spiegato che il comune ha introdotto clausole nei contratti con queste aziende, «come la sovranità dei dati e la proprietà pubblica dei dati» e che, da quando ha firmato un contratto con Vodafone il comune ogni mese ha accesso ai dati che l’azienda estrae dalla città. Prima erano usati solamente dalla compagnia telefonica, ora il loro utilizzo può andare a vantaggio di tutta la cittadinanza di Barcellona perché i dati sono disponibili su un portale creato dal comune stesso, in formato aperto, leggibile e riutilizzabile. I negoziati con la compagnia telefonica, ha spiegato Bria in un’altra intervista, non sono stati facili: «Hanno resistito per oltre un anno», ha detto a Sifted.
Anche Venezia, con la sua Smart control room, ora ha accesso ai dati legati ai telefoni cellulari, grazie alla collaborazione con Tim. Ma non è chiaro come li usi e, soprattutto, ad oggi, non sembrano portare alcun vantaggio a veneziani e veneziane.
Intanto, però, i progetti per rendere sempre più smart le city italiane proseguono e si moltiplicano. Molti, come abbiamo visto, sono anche quelli finanziati dalla politica di coesione Ue, che continua ad avere tra le sue priorità italiane anche quella delle città intelligenti. Troveranno almeno queste iniziative il modo di mettere, come a Barcellona, i dati al servizio delle persone? Se si, allora avranno rispettato la missione della poltica di coesione, che è combattere le disuguaglianze. Se no, il rischio è che la tradiscano, finendo per aumentarle.