Ep. 02

Conteremo anche le gocce

L’acqua dovrebbe essere un diritto. Invece è una merce, ed è sempre più richiesta.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
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Accadueò

L’accesso universale all’acqua è, e dovrebbe essere, il presupposto di ogni politica tesa a contrastare le diseguaglianze. Ma non sempre ce ne preoccupiamo.

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Tutto ciò che provoca la scarsità di un elemento è un fattore di valorizzazione di tutte le attività che estraggono, gestiscono, distribuiscono e vendono quella risorsa. Non importa quale sia la natura di quell’elemento e non importa nemmeno se nella storia umana esso sia stato trattato come un bene comune: la scarsità lo trasformerà in una merce e la trasformazione in merce lo assoggetterà alle leggi del mercato e, di conseguenza, a quelle della finanza.

Nell’ultimo mezzo secolo, il raddoppio della popolazione mondiale e il riscaldamento globale hanno trasformato l’acqua in una merce sempre più richiesta e la finanziarizzazione di questo elemento imprescindibile per la vita è, giorno dopo giorno, una realtà sempre più concreta.

Se facciamo ruotare il mappamondo e vogliamo trovare i promotori di questa tendenza alla privatizzazione, il nostro indice finisce sul Regno Unito.

A mettere in discussione il riferimento giuridico del Codice di Giustiniano (534 d.c.) che affermava la natura pubblica dell’acqua è il Trattato del Governo di John Locke, opera che nella seconda metà del XVII secolo legittimava l’appropriazione dei commons (beni comuni) sulla base di un diritto di proprietà derivante dalla trasformazione, per mezzo del lavoro e dell’utilizzo di energia, delle risorse naturali in beni utili all’uomo. Ci volle un secolo perché le idee di Locke trovassero applicazione giuridica con gli Enclosures Acts, dando il via alla tendenza anglosassone alla privatizzazione dei beni comuni, acque e terre in primis.

 

Un altro giro del mappamondo, lungo un paio di secoli, ci riporta ancora una volta nel Regno Unito.

È il 28 novembre 1989. A un anno esatto dalla fine del suo terzo e ultimo mandato, Margaret Thatcher accende la miccia: “Persino nella Francia a guida socialista hanno capito che privatizzare l’acqua è meglio che nazionalizzarla. E penso che la privatizzazione dell’acqua porterà dei grandi risultati”.

Le parole della madre del neoliberismo avviano un lento e inesorabile processo di privatizzazione dei servizi idrici: reti, infrastrutture e concessioni per la captazione finiscono nelle mani di società private che iniziano a tagliare la fornitura a coloro che non pagano le bollette. A cavallo fra il vecchio e il nuovo millennio, nel Regno Unito viene approvata una legge che vieta di tagliare le forniture elettriche, ma il mondo della finanza ha già compreso come l’acqua sia il business del futuro prossimo.

Facciamo ruotare il nostro mappamondo e spostiamoci agli antipodi, più precisamente in Australia, vale a dire nel subcontinente più caldo del Pianeta. Qui migliaia di allevatori sono stati messi in ginocchio da un clima sempre più caldo e sempre più secco.

Il 2019 è stato l’anno più caldo e più siccitoso nella storia dell’Australia, con un +0,85°C rispetto alla media annuale del periodo 2000-2018 e addirittura un +1,52°C rispetto al periodo 1961-1990. Inoltre, il tasso di piovosità è stato il più basso dal 1900, con la precipitazioni medie annue del 40% più basse rispetto alla media 2000- 2018. Queste condizioni (alte temperature e siccità prolungate) hanno preparato il terreno agli incendi che fra il giugno 2019 e il febbraio 2020 hanno distrutto 16,8 milioni di ettari di aree boschive.

Questo è il contesto nel quale si trovano a operare gli allevatori di un Paese che, con una media annua di 121,6 kg pro capite, è terzo nella classifica del consumo di carne. Per gli operatori finanziari che qualche decennio fa hanno deciso di scommettere sull’acqua, i lunghi periodi di siccità degli ultimi anni si sono rivelati una “tempesta perfetta”. Agricoltori e allevatori si sono ritrovati a un bivio: alcuni sono sopravvissuti arrivando a spendere anche un milione di dollari australiani (650mila euro) per irrigare le proprie tenute e mantenere in salute i propri capi di bestiame, altri si sono dovuti arrendere e hanno chiuso le loro attività.

La carenza di risorse idriche e l’accaparramento dei privati hanno portato a un mercato dell’acqua in tutto e per tutto simile a quello che regola la quotazione del petrolio. Ogni giorno, il prezzo dell’acqua al metro cubo viene regolato dalla domanda e dall’offerta, con quotazioni variabili a seconda della piovosità o della siccità previste dal meteo. Una volta effettuata la transazione attraverso un’applicazione, le paratie vengono aperte e gli stock d’acqua finiscono nei latifondi attraverso la canalizzazione.

È stato il Water Act 2007 a creare i cosiddetti “mercati dell’acqua” nei quali chiunque può acquistare e vendere i diritti su fonti idriche private. In una decina d’anni il business australiano dell’acqua ha raggiunto un volume di 2 miliardi di dollari. Una manna per gli investitori, un disastro per tutte quelle imprese agricole che non hanno potuto acquistare l’acqua ai prezzi maggiorati dalle regole del mercato. La finanziarizzazione delle acque australiane ha creato dei veri e propri magnati.

Fra questi c’è David Williams, uno dei maggiori proprietari delle risorse idriche della Tasmania, che durante una conferenza stampa tenutasi a Shapperton nel 2016, si è espresso in questi termini: “Ho comprato l’acqua in Tasmania esclusivamente per fare soldi. Ogni 10 milioni di dollari spesi, ne ho guadagnati 6 o 7 negli ultimi mesi. (…) Tutti parlano di acqua, è quello di cui tutti vogliono parlare… Ora potrete tornare a casa da questa conferenza e dire di avere visto un vero ‘bandito dell’acqua’ dal vivo”.

Ci sono quattro domande fondamentali legate al consumo dell’acqua. Come trovarla? Come darle un prezzo? Come collocare questo prezzo sul mercato? E, infine, come regolarlo? Willem Buiter, Global Chief Economist di Citigroup dal 2010 al 2018, intervistato da Patrice Des Mazery e Jérôme Fritel nel documentario I signori dell’acqua, difende con fermezza la necessità della privatizzazione:

I signori dell’acqua è un documentario del 2019 di Patrice Des Mazery e Jérôme Fritel che racconta la dura lotta tra chi con l’acqua ci guadagna e chi invece la difende come bene comune

“Non esiste un’alternativa corretta alla quotazione dell’acqua, perché la gente deve capire che ogni goccia che esce ha un valore e un costo. E i conti si pagano! Se è gratuita non avremo un consumo responsabile. Vedremo nascere mercati dove si vendono prodotti derivati legati all’acqua e ciò interesserà il trading ad alta frequenza e i fondi speculativi. Tutti sanno che succederà, ci chiediamo solamente quando e chi sarà il primo a sferrare il colpo decisivo. Il profitto produrrà un vantaggio per l’umanità, sarà un vantaggio per tutti”.

Nell’ultima frase risuona la più opinabile fra le opinabili teorie del neoliberismo, quella del trickle down ovverosia dello “sgocciolamento” dei benefici concessi ai ceti più abbienti della società verso la classe media e i ceti meno abbienti. Una narrazione sconfessata dalla realtà e che Papa Francesco, nel suo Laudato si’, ha ben esemplificato con la metafora del bicchiere che si ingrandisce ogni qualvolta l’acqua arriva all’orlo e potrebbe sgocciolare verso il basso.

Non è bello constatarlo e nemmeno scriverlo: guardare ciò che sta accadendo oggi in Australia significa avere sotto gli occhi ciò che accadrà nell’Europa Mediterranea nei prossimi decenni.

Quindi facciamo ruotare il mappamondo e dagli antipodi torniamo nuovamente al Vecchio Continente, stavolta non più nel Regno Unito, ma sulle Alpi.

Secondo i dati del 2008 pubblicati dalla European Environment Agency, dall’epoca pre-industriale all’inizio di questo secolo la temperatura è aumentata di 0,8°C se consideriamo la terra e gli oceani e di 1,0° C se ci si limita esclusivamente alla terraferma. In questo stesso periodo, però, il mercurio dei termometri europei è salito ancora più considerevolmente, con un incremento di 1,0° C su mare e su terra e di 1,2° C sulla sola terra.

Se ci si concentra esclusivamente sulle Alpi, i dati sono ancora più allarmanti: fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XXI secolo l’incremento delle temperature sulle montagne del Vecchio Continente è stato di 2,0°C, vale a dire più del doppio rispetto al tasso di riscaldamento medio dell’emisfero boreale. L’aumento delle temperature ha provocato la progressiva regressione dei ghiacciai e questo si traduce in scorte idriche ridotte per i bacini che si trovano a valle di questi pendii.​​​​​​​​​​​​​​

Il concetto economico del Trickle-down è una idea di sviluppo sostenuta dal liberismo e si basa sulla convinzione che i benefici economici elargiti a vantaggio dei ricchi hanno effetti benefici anche sui ceti più poveri.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Il Monte Bianco e il Monte Rosa a secco, fotografati da Davide Mazzocco
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Per capire meglio che cosa succederà nei prossimi decenni abbiamo intervistato Edoardo Cremonese, Climate Change Expert di Arpa Valle d’Aosta che da anni studia l’impatto del cambiamento climatico sulle riserve idriche dell’arco alpino: “I documenti europei che si occupano dell’utilizzo delle acque hanno la tendenza a definire come usi antropici quelli per agricoltura, industria e settore energetico. Questo è chiaramente un ‘vizio di forma’ che può condurre alla finanziarizzazione dell’acqua.

Ma, pur godendo di spazi marginali in questi documenti, anche l’acqua potabile e quella che rimane nel letto dei fiumi è ugualmente importante. Io credo che, in una situazione di progressiva diminuzione delle scorte idriche, sia fondamentale arrivare a una giusta tariffazione: il costo deve essere incrementato affinché questa risorsa non venga sperperata come accade oggi, ma non può nemmeno aumentare in maniera esponenziale perché il suo utilizzo produce delle esternalità positive e garantisce una virtuosa continuità nei servizi ecosistemici”.

Secondo Cremonese, le anomalie che favoriscono lo spreco dell’acqua sono due: “Oggi, gli agricoltori non pagano l’acqua sulla base della quantità effettivamente utilizzata, ma in rapporto alla superficie irrigata. Inoltre, in molti casi, i turni d’irrigazione sono quelli definiti un secolo fa e può capitare che il turno d’irrigazione di un agricoltore coincida con un momento della giornata in cui sta piovendo. Queste sono due storture dovute al basso prezzo dell’acqua nel nostro Paese”.

L’acqua a basso costo è un lusso che in Italia non potremo più permetterci. Le proiezioni dei climatologi ci dicono che nel 2050, anche nell’improbabile ipotesi di un’immediata decarbonizzazione, la portata estiva dei torrenti di Italia, Spagna e Francia del Sud diminuirà del 20-30%. Se si continuerà con questo trend, la riduzione della portata dei corsi d’acqua sarà del 60% entro il 2100. “Le conseguenze della riduzione delle precipitazioni, dell’aumento dell’evapotraspirazione e della desertificazione – continua Cremonese – non saranno solamente ambientali, ma investiranno interi settori economici. Nell’Italia centrale e meridionale si assisterà a una diminuzione generalizzata delle precipitazioni, mentre al Nord pioverà di più in inverno, con temperature di 2° C più elevate. Questo scenario si tradurrà in una portata maggiore dei fiumi in inverno, mentre in estate la quantità di acqua nel letto dei fiumi sarà inferiore: nel 2050 si potrebbe arrivare a un –
30% o a un -40% nel mese di agosto”.

La diminuzione della nevosità e il progressivo arretramento dei ghiacciai giocheranno un ruolo determinante nella quantità di acqua che finirà nelle pianure nella seconda metà del XXI secolo. La portata d’acqua dei torrenti che hanno una superficie glacializzata importante è composta per il 60% da neve, per il 30% da pioggia e per il 10% dalla fusione dei ghiacciai. Questo 10% è però importantissimo perché viene rilasciato nei mesi estivi, quelli in cui la neve è ormai disciolta e la siccità più frequente.

I ghiacciai sono il capitale idrico che il surriscaldamento globale sta intaccando. Cosa possiamo fare? “Dobbiamo imparare a gestire bene l’acqua – conclude Cremonese –. Per farlo abbiamo due soluzioni: la prima è ottimizzare la rete di distribuzione e le tecniche di aspersione, la seconda utilizzare le risorse idriche in modo efficiente irrigando quando è necessario e non quando è il nostro turno. E, come ho detto in precedenza, una corretta tariffazione dell’acqua deve diventare un fattore politico capace di regolarne l’uso in modo da evitare gli sprechi e garantire il mantenimento dei servizi ecosistemici legati all’acqua”.

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