Conteremo anche le gocce
L’acqua dovrebbe essere un diritto. Invece è una merce, ed è sempre più richiesta.
La carenza idrica è un’emergenza che ci coinvolge tutti, e andrebbe posta in testa alle agende dei governi. Così non è.
L’accesso universale all’acqua è, e dovrebbe essere, il presupposto di ogni politica tesa a contrastare le diseguaglianze. Ma non sempre ce ne preoccupiamo.
Quando ero bambino e trascorrevo le mie estati a Monforte d’Alba, nelle Langhe, succedeva che dai nostri rubinetti non uscisse più l’acqua. Per l’eterogenesi dei fini tipica dell’infanzia – quella che trasforma un disagio in un’avventura al di fuori dell’ordinario – andare a prendere l’acqua in una fonte pubblica a poche centinaia di metri da casa diventava una sorta di gioco da ripetere più volte durante il giorno.
Io e mio nonno partivamo con taniche e borracce per raccogliere l’acqua che sarebbe servita per i vari utilizzi domestici. Mio nonno era stato un ciclista professionista e fra i suoi compiti in corsa c’era quello di riempire e portare le borracce ai capitani. È stato lui, per “deformazione professionale” pioniere alla ricerca delle sorgenti in qualsiasi posto si andasse, a educarmi alla sacralità dell’acqua, alla gioia semplice di fare una conca con le mani e bere. Un paio d’anni fa sono tornato a quella fonte per molte volte salvifica, ho messo in moto la pompa manuale, ma dal rubinetto non è uscita nemmeno una goccia.
È una cosa che sta succedendo sempre più spesso. La carenza idrica è un’emergenza globale che va affrontata al più presto e che deve essere posizionata in testa alle agende dei governi.
Se i cambiamenti climatici sono la principale causa delle prolungate siccità e del progressivo scioglimento dei ghiacciai e dei permafrost polari, nelle emergenze idriche vanno considerati molti altri fattori: dagli utilizzi agricoli e industriali sempre più massicci all’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee, dalla dispersione dovuta a reti infrastrutturali anacronistiche alle prepotenze delle società private nei paesi in via di sviluppo.
Partiamo da una premessa: il rapporto fra le persone e l’acqua non è uguale in tutte le aree del mondo. Se nel mondo continuano a esistere comunità per le quali permane la sacralità dell’acqua molto lo si deve al substrato culturale. Come spiega Dario Casalini in Fondamenti per un diritto delle acque dolci :
Dal libro della Genesi ad Aristotele, da Cartesio a Locke, il pensiero di matrice giudaico-cristiana è caratterizzato dall’affermazione di diritti di proprietà sull’ambiente e sulle sue risorse. Ogni discorso sull’acqua non può che partire da questa visione del mondo, ideale terreno di coltura per il capitalismo.
L’acqua è una risorsa finita e in diminuzione e, come tale, non può non suscitare gli appetiti del capitale. Il cosiddetto “oro blu” è il motore occulto delle principali dinamiche geopolitiche mondiali: è per la mancanza di risorse idriche che si combatte ed emigra e sarà sempre di più il possesso di risorse idriche a condizionare la stabilità politica ed economica degli Stati sovrani.
La scintilla dalla quale è scaturita la guerra civile siriana è stata una siccità che ha colpito il paese fra il 2006 e il 2010, in un periodo di forte incremento demografico. Il crollo della produzione agricola dovuto alla scarsità idrica ha fatto raddoppiare il costo dei cereali e ha spinto la popolazione dalle campagne alle città innescando le proteste anti-governative contro Bashar al-Assad.
Secondo i dati del 2017 rilasciati dalla FAO sono 2,1 miliardi le persone prive dell’accesso ad acqua potabile gestita in modo sicuro e ben 4,5 miliardi quelle che non hanno accesso a servizi igienici sicuri. Ogni anno 340.000 bambini con meno di cinque anni muoiono a causa di malattie dovute a carenze idriche o acque non trattate. L’80% delle acque utilizzate per scopi industriali e domestici vengono rilasciate negli ecosistemi senza essere trattate o riutilizzate. Insomma se le carenze idriche sono un problema montante nel mondo occidentale, nel resto del Pianeta l’emergenza è aperta da tempo.
C’è una sola strada da percorrere: quella del risparmio. Ben vengano, dunque, le campagne per il risparmio idrico fra le mura di casa, tutte le iniziative volte ad accrescere nella cittadinanza la consapevolezza della preziosità dell’acqua e della necessità di non sprecarla in tempi di carenze, ma bisogna che sia altrettanto chiaro che non sarà la cittadinanza a evitare che i nostri rubinetti rimangano a secco.
I dati percentuali sull’utilizzo domestico ci consentono di parafrasare il noto We are the 99% e capovolgerlo in We use the 1%.
Prendiamo i dati sulla captazione idrica del 2015 negli Stati Uniti: il 41% delle acque superficiali o sotterranee prelevate viene utilizzato per la produzione di energia nelle centrali termoelettriche, il 37% per l’irrigazione agricola, il 12% per utilizzi pubblici, il 5% in campo industriale, il 2% nell’acquacultura, l’1% nell’allevamento, l’1% nell’industria mineraria e l’1% nell’utilizzo domestico.
Su 100 litri estratti soltanto uno viene utilizzato per cucinare i nostri alimenti, per idratarci, per lavare i nostri corpi, stoviglie e capi d’abbigliamento. We use the 1%, noi usiamo l’1%. Spetta al restante 99% la parte maggioritaria nell’opera di risparmio idrico fondamentale in un mondo diretto verso criticità climatiche e ambientali dagli esiti imprevedibili.
AQUASTAT è il sistema informativo globale della FAO sulle risorse idriche e la gestione dell’acqua agricola. Raccoglie, analizza e fornisce libero accesso a oltre 180 variabili e indicatori per paese a partire dal 1960
Secondo i dati Aquastat della FAO in Benin, Repubblica Centrafricana e Rwanda vengono utilizzati circa 17 m³ d’acqua all’anno per abitante considerando tutti gli utilizzi (domestici, agricoli e industriali). Ciò significa che gli abitanti di questi tre Paesi africani hanno a disposizione 46 litri d’acqua il giorno, vale a dire il consumo di un ciclo di una moderna lavastoviglie e di due tirate dello sciacquone. La media degli Stati Uniti è di 1543 m³ all’anno pro capite, più del triplo rispetto alla Cina (425 m³) e Russia (425,2 m³). In Italia la captazione annua media pro capite è di 899,8 m³, quasi il doppio rispetto alla Francia che si ferma a 475,6 m³.
Il rapporto fra il dato degli Stati Uniti e quello di Benin, Repubblica Centrafricana e Rwanda è di 90 a 1. Se pensiamo a quanto sia importante l’acqua per il sostegno a settori strategici come agricoltura, industria e sanità possiamo facilmente comprendere la portata delle diseguaglianze, le motivazioni di chi si spinge verso l’Europa per trovare un futuro più dignitoso o per mera sopravvivenza.
Ci può essere acqua senza insediamenti umani nelle vicinanze, ma non possono esserci insediamenti umani lontani dall’acqua, è sufficiente questa elementare constatazione per mandare a carte quarantotto qualsiasi slogan sulla falsariga dell’abusato “aiutiamoli a casa loro”.
L’era dell’abbondanza è finita. Le prolungate siccità e il progressivo scioglimento dei ghiacciai rischiano di creare crisi idriche a latitudini fino a poco tempo fa inimmaginabili. Non è allarmismo, ma la mera constatazione della realtà dei fatti.
Nell’ultimo decennio gli episodi di siccità in Portogallo, Spagna, Italia e Grecia si sono moltiplicati. Nell’ottobre 2017, in seguito a una siccità di molte settimane, 50 comuni del Piemonte (di cui 13 della provincia di Torino) sono stati riforniti con autobotti. Stiamo parlando di una regione che – come dice il nome stesso – è caratterizzata da una pianura all’interno di un lunghissimo arco alpino. Se in Piemonte, dove ci sono alte montagne e ghiacciai, fiumi e torrenti in abbondanza, manca l’acqua che cosa potrà succedere nelle regioni che non dispongono di queste risorse?
Come affrontare le sfide dei cambiamenti climatici dal punto di vista della reperibilità dell’acqua?
Proviamo a rispondere partendo proprio dal Piemonte, da Mariangela Rosolen, coordinatrice del Comitato Acqua Pubblica Torino: «Le perdite idriche della rete della Città Metropolitana di Torino sono nell’ordine del 40% dell’acqua captata. La Smat (azienda che gestisce i servizi idrici del torinese, ndr) ha smentito le cifre dai noi rese note, ma successivamente ha ammesso perdite idriche superiori a 92 milioni di m³ all’anno, vale a dire la quantità d’acqua di 6 laghi di Avigliana…».
Le siccità causate dai cambiamenti climatici unite allo spreco rischiano di mettere in seria crisi la rete idrica del torinese. Proprio in ragione di un progressivo impoverimento delle risorse in bassa quota, la Smat dovrebbe aprire quest’anno, a Bardonecchia, un nuovo acquedotto di valle che attingerà dal Lago di Rochemolles: «Quella dell’Acquedotto di Valle è una questione estremamente delicata. Si tratta di un progetto da 120 milioni di euro che è iniziato nel 2007 e che non è ancora stato ultimato. Si tratta di 100 chilometri di tubature… I lavori vanno avanti da dodici anni, neanche per il Tunnel della Manica è stato impiegato così tanto tempo!»
Per prelevare solo l’acqua necessaria alla popolazione, all’agricoltura e all’industria del Torinese occorrerebbe, secondo Mariangela Rosolen, utilizzare maggiormente i misuratori di captazione: «Dei 1700-1900 punti di prelievo della Città Metropolitana di Torino solamente 200 o 300 dispongono dei misuratori di captazione, necessari per capire se si sta prelevando più acqua di quanta ne serva. Inoltre è importante che i comuni attuino le aree di salvaguardia in modo che le acque presenti nel loro territorio siano protette da eventuali fattori inquinanti».
C’è poi un’altra questione spinosa, anzi è la questione “spinosa” per eccellenza, quella della Tav: «Gli scavi di un tunnel così lungo della montagna andranno a interferire inevitabilmente con le falde e le acque sotterranee. Abbiamo visto che cosa è accaduto con la centrale idroelettrica di Pont Ventoux, sempre in Valsusa. Ogni volta che si compiono dei lavori all’interno di una montagna le conseguenze sulle sorgenti e sulle falde sono imprevedibili, non si può sapere prima che strada prenderanno le acque e se saranno utilizzabili».
Il precedente della tratta Alta Velocità Bologna-Firenze invita alla massima cautela: le tre gallerie di Vaglia (18,561 km), Firenzuola (15,060 km) e Raticosa (10,450 km) hanno causato uno squilibrio alle falde dell’Appennino tosco-emiliano con la scomparsa di sorgenti, pozzi e torrenti.
Su queste questioni Slow News ha provato a contattare ripetutamente la presidenza della Smat, ma le nostre telefonate e mail non hanno avuto risposta.
A quasi otto anni dal referendum del giugno 2011 la questione dell’acqua pubblica sta tornando prepotentemente alla ribalta. Secondo Paolo Carsetti, rappresentante del Forum Italiano dei Movimenti per l’acqua, «il risultato del referendum del 2011 è stato disatteso, se non contraddetto esplicitamente, sia a livello nazionale che a livello locale, con tentativi di riproporre la normativa abrogata dal voto popolare».
Attualmente le aziende dei servizi idrici continuano a essere: pubbliche, pubbliche/private e private. Come spiega Carsetti, «l’obiettivo delle aziende private è la massimizzazione dei profitti e non la garanzia del servizio per i cittadini. Ne consegue che, invece di investire sull’ammodernamento delle reti, si ripartiscono i dividendi degli utili fra gli azionisti». L’Italia è il paese europeo nel quale le tariffe dei servizi idrici sono aumentate maggiormente nell’ultimo decennio, con una percentuale che oscilla fra l’80 e il 90%. Proprio in questo decennio le crisi idriche si sono moltiplicate nel nostro paese e i trend climatici fanno supporre che la situazione non potrà che peggiorare nell’immediato futuro.
Occorrerebbe risparmiare, ma gli obiettivi delle società private vanno nella direzione opposta: «Il modello dei privati vede l’acqua come una merce e non può che avere come obiettivo quello di un consumo crescente. Chi vende acqua ne vuole vendere sempre di più! Laddove c’è meno consumo e i conti non tornano, il recupero nel bilancio avviene aumentando le tariffe. Quando gli utenti vengono sensibilizzati a consumare meno e a non sprecare acqua, ci pensano le tariffe a mantenere stabili i profitti».Si pagano i dividendi e gli investimenti sulla rete idrica e sul trattamento delle acque reflue vengono rimandati.
Esiste inoltre un problema di ipersfruttamento delle risorse: «Il problema dell’inquinamento da arsenico che interessa da alcuni anni i comuni del Lazio è dovuto a una captazione eccessiva e a un impoverimento delle sorgenti: un quantitativo minore di acqua fa sì che la densità dell’arsenico sia superiore e sfori i limiti di legge. Pensiamo al Lago di Bracciano dove il livello è sceso di 2 metri a causa della captazione e dei cambiamenti climatici. Se a questi scenari si aggiungono perdite che per l’Acea hanno raggiunto il 45% si può bene immaginare quanto sia importante intervenire con investimenti volti a limitare gli sprechi».
In Europa le grandi municipalità hanno compreso da tempo l’importanza della pubblicizzazione dell’acqua: Parigi nel 2010 e Berlino nel 2012, oltre 200 grandi città nell’ultimo decennio hanno ripubblicizzato i servizi idrici. Le istituzioni europee sembrano andare in tutt’altra direzione. Le risposte alle istanze provenienti dalla società civile per un’acqua pubblica sono simili: le istituzioni europee si fanno scudo sui singoli governi e questi rispondono come sia l’Europa a imporre una maggiore privatizzazione delle risorse idriche.
Lo sanno bene gli abitanti delle cittadine portoghesi di Barcelos e Passos de Ferreira che all’indomani dell’intervento della trojka si sono visti aumentare le tariffe idriche del 400%. Come racconta il documentario Up the last drop – The secret water war in Europe di Yorgos Avgeropoulos l’acqua è diventata una preziosa merce di scambio per gli interventi in Portogallo e Grecia del trittico composto da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale.
Nel film viene citata una lettera inviata dal membro della commissione europea Olli Rehn al Ministro Giulio Tremonti il 4 novembre 2011, negli ultimi giorni del quarto governo Berlusconi.
Il testo contiene 39 domande. La numero 25 è quella riguardante il referendum del giugno 2011: “Could further information be provided to explain which reform measures are envisaged in the water sector, despite the outcomes of the recent referendum?” Ossia: potrebbero essere fornite ulteriori informazioni per spiegare quali misure di riforma sono previste nel settore idrico, nonostante l’esito del recente referendum? È soprattutto la preposizione avversativa “nonostante” ad attirare l’attenzione. Coerentemente con quanto è stato attuato in Portogallo, in Grecia e in Irlanda, le istituzioni europee si aspettano dal governo italiano una reazione contraria alla volontà popolare.
La guerra segreta per l’acqua va avanti, il braccio di ferro fra le lobby che trattano l’acqua come una merce e i difensori del bene comune supremo continua.
Up the last drop – The secret water war in Europe è un documentario realizzato da Yorgos Avgeropoulos nel 2017
La serie La terra di sotto, scritta da Luca Rinaldi e fotografata da Luca Quagliato fa parte di un lavoro più ampio che è durato anni e che è diventato un libro che puoi trovare qui: laterradisotto.it
L’accesso universale all’acqua è, e dovrebbe essere, il presupposto di ogni politica tesa a contrastare le diseguaglianze. Ma non sempre ce ne preoccupiamo.
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Ci sono forze economiche lavorano nell’ombra per far arretrare diritti acquisiti, mettere le mani sulle risorse e privatizzare ciò che è pubblico.
In questo decennio, il Forum italiano dei movimenti per l’acqua ha tenuto alta l’attenzione sull’operato dei numerosi Governi post Berlusconi III.
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Quasi soltanto a parole, o in qualche report finanziato da progetti europei. Nella realtà le cose sono ancora molto indietro
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