Ep. 6

La mediatizzazione

L’ecosistema dei media non ha anticorpi contro gli inneschi: ne è completamene ostaggio.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Dalle nostre serie Serie Giornalistiche
Vulnerabilità Generale

Il caso del Mondo al contrario di Roberto Vannacci è interessante per analizzare debolezze e problemi dell’ecosistema mediatico. E non solo.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

Una grossa mano, al di là della prima notizia, i media l’hanno data eccome a Vannacci. È finito addirittura al Tg1 delle 20 intervistato. Il suo pensiero è stato riproposto continuamente sui giornali mainstream. Sono state fatte polemiche – spesso anche sul nulla, tipo il fatto che non si trovasse il suo libro in libreria. Per forza: è autopubblicato su Amazon. Ovviamente si è gridato alla censura (di un libro e di un pensiero che veniva continuamente riproposto ovunque).
Fabio Chiusi lo ha definito, correttamente, processo di trasfigurazione mediatica e lo ha documentato in un lungo thread su Twitter/X.

Dopo la prima notizia ci sono state le misure prese dal Ministero della Difesa: un avvicendamento al vertice dell’Istituto Geografico Militare e un procedimento i cui esiti non sono ancora arrivati, ovviamente. Questo ha alimentato le polemiche e le reazioni, come da ciclo della conversazione che ho schematizzato all’inizio di questa analisi. Qualcuno ha cominciato a insinuare che l’avvicendamento sia dovuto a esposti presentati da Vannacci nel 2017-2018. Il trigger iniziale è stato continuamente riproposto. Anche in maniere poco comprensibili, come questo titolo e rilancio sui social: “Vannacci commenta Mattarella”. 

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

Il 29 agosto Chiusi si chiede, giustamente: «Anche oggi Vannacci sentito e raccontato a tutta pagina sul Corriere. Perché?». In questo meccanismo c’è tutta la vulnerabilità dei media contemporanei.

È come se, partito il caso, andasse cavalcato ad ogni costo. In parte per le metriche quantitative che vengono usate per misurare l’efficacia del lavoro. In parte perché ci si racconta che «si è sempre fatto così» (una delle peggiori argomentazioni possibili, in parte presente anche nel libro di Vannacci, che nega l’essenza stessa della natura umana).
Vannacci che scrive, Vannacci che vende sono notizie.
Vannacci che commenta Mattarella un po’ meno.
Le reazioni a quel che dice Vannacci non fanno che consolidare e rinforzare la promozione al suo libro. 

In mezzo a tutto questo, ovviamente, c’è anche quella parte dell’arena politica e intellettuale cui giova la circolazione di idee simili.
Per confermarle, per contrastarle, per trarne profitto di vario genere.
La destra ultra-conservatrice, ma anche la destra che vuole differenziarsi da quella, ma anche chi dall’ultra-sinistra ammicca a qualche idea simile per un po’ di consenso in più, ma tutto sommato anche da parte di chi non ha ancora costruito alternative strutturate.

Il sistema mediatico non ha, evidentemente, anticorpi contro questo tipo di invasioni. Anzi, ne è completamente ostaggio. 

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