Ep. 03

Taranto perderà un’occasione da 800 milioni di euro?

Il rischio c’è. Raccontare il programma Just Transition Fund a Taranto, finora, vuol dire documentare un vuoto. E il tempo per spendere i fondi è sempre meno.

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Oltre l’acciaio

Taranto ha un’occasione da 796 milioni di euro per cambiare pelle e non dipendere più dall’ex Ilva. Come la sta usando?

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Sulla spesa del Just Transition Fund l’Italia è in ritardo: non ha speso nemmeno un euro. 

 

Lo aveva già detto a Slow News la Commissaria europea per la Coesione Elisa Ferreira nell’autunno 2023, preoccupata che l’Italia perdesse le risorse del Jtf e degli altri fondi europei. Dieci mesi dopo quell’intervista, ancora nessun progetto è partito e l’unico bando Jtf pubblicato è quello per le bonifiche (molto urgenti) del Sulcis Iglesiente, l’altro territorio su cui agisce il fondo.

 

Nella Regione Puglia, i bandi sono zero: il calendario pubblicato sul sito governativo del Jtf ne prevedeva tre tra marzo e aprile 2024. Al 28 agosto, non è ancora uscito nulla. 

 

La colpa è di ritardi amministrativi, soprattutto a livello governativo, e a livello locale il disorientamento è tanto: mentre diversi sindaci della provincia sono ancora poco consapevoli di cosa sia il Just Transition Fund, Confindustria Taranto dichiara di non conoscere proposte di progetti delle imprese locali perché «la partita sul JTF è ferma». Chi nella società civile prova a stimolare le istituzioni per chiedere trasparenza e consultazione nell’uso delle risorse, non trova risposte.

 

I tempi sono sempre più stretti. 

Spendere tutto nei tempi è «inverosimile»

«C’è questa spada di Damocle rispetto alla quale un 70 per cento circa della dotazione pubblica dovrebbe essere speso entro il 2026. Comprenderete bene che è al limite dell’inverosimile», dichiara a Slow News Francesco Murianni, dirigente della struttura di coordinamento dei fondi europei del comune di Taranto. 

 

La dotazione del Jtf, infatti, è composta per il 30 per cento da fondi del bilancio ordinario Ue e per il 70 per cento da fondi provenienti dal  Recovery Fund, gli stessi che finanziano il Pnrr e che vanno spesi entro la fine del 2026. Secondo Murianni, queste tempistiche sono problematiche e andrebbero rinegoziate a livello europeo, ma i funzionari Ue con cui è in contatto Slow News hanno negato categoricamente questo scenario.

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Francesco Murianni, dirigente della struttura di coordinamento per i fondi europei del comune di Taranto. Foto di Matteo Barsantini

L’apertura dei bandi per i finanziamenti spetta alla Regione Puglia, Organismo Intermedio del programma JTF, e in particolare all’Autorità di gestione regionale, il cui capo è Pasquale Orlando. Slow News ha provato a contattarlo attraverso più canali, ma senza successo. 

 

Orlando ha però fatto un’apparizione pubblica a un evento organizzato nell’aprile 2024 da Rosa D’Amato, ex europarlamentare dei Verdi che ha contribuito alla definizione del regolamento europeo del fondo e organizzato nella provincia di Taranto una campagna d’informazione sul Jtf.

 

«Non sono io il responsabile del programma. Le date e le garanzie non competono a me, non è il mio ruolo. Posso assicurare che tutti quelli che lavorano a Roma e nelle altre sedi sono accomunati dall’esigenza di fare il più presto possibile», ha dichiarato Orlando dopo essere stato incalzato sui tempi dei bandi, scaricando di fatto tutte le responsabilità sul governo.

 

I quasi due anni di immobilismo del programma sono, almeno in parte, dovuti a due cause esterne alla Regione Puglia.

«C’è questa spada di Damocle rispetto alla quale un 70 per cento circa della dotazione pubblica dovrebbe essere speso entro il 2026. Comprenderete bene che è al limite dell’inverosimile».

Prima, la lentezza della Regione Sardegna nel nominare il dirigente responsabile del Jtf ha avuto ripercussioni su tutto il programma nazionale. Poi, un cambio di regia a livello governativo ha causato ulteriori ritardi: il governo Meloni ha trasferito le competenze sui fondi di coesione Ue dall’Agenzia di Coesione Territoriale (Act), soppressa nel dicembre 2023, al Dipartimento per le politiche del Sud, sotto controllo diretto della Presidenza del Consiglio. In pratica, questo passaggio ha portato a dover ridefinire da capo una nuova Autorità di Gestione nazionale del programma Jtf, individuata in Raffaele Parlangeli il 30 maggio 2024.

 

«Il ritardo della governance oggettivamente c’è stato, tanto quanto rispetto alle procedure e tanto quanto rispetto proprio a rimettere in piedi la riorganizzazione interna del dipartimento che prima dell’Agenzia di Coesione non c’era. Sul fatto che si riesca a dare certezze alle procedure e ai target, ho ragionevoli pensieri positivi in tal senso. C’è stata una criticità che è stata rivelata ma c’è anche una rimessa in piedi e un movimento», ha spiegato proprio Parlangeli a Slow News nell’agosto 2024.

 

Secondo la nuova Autorità di Gestione del Programma, le Regioni Puglia e Sardegna hanno definito in luglio i piani esecutivi. Il governo li sta valutando e, una volta approvati, potranno finalmente aprire i finanziamenti. «Per essere concreti, credo realisticamente che tra settembre e ottobre [2024] cominceranno a uscire bandi» specifica Parlangeli.

 

I piani esecutivi delle Regioni contengono anche informazioni sui progetti, le bonifiche e le attività di formazione dei lavoratori. Tuttavia, «non è possibile ricevere anticipazioni perché dare informazioni prima ai media vorrebbe dire scavalcare il partenariato e creare problemi», dice Parlangeli.

Monitorare sì, ma cosa?

Le informazioni sul programma, come si deduce dalle dichiarazioni di Parlangeli, non sono quindi ancora condivise con il partenariato, cioè i diretti interessati locali.

 

Infatti, anche chi è dentro al comitato di sorveglianza del Jtf, l’organo che include alcuni stakeholder locali e ha lo scopo di monitorare l’uso del fondo, è all’oscuro di tutto. È il caso, come verificato da Slow News, di Confindustria Taranto, dei sindacati, di Legambiente e dell’Università di Bari.

 

Per esempio, Giovanni d’Arcangelo, segretario Cgil Taranto e membro del comitato, non ha tuttora alcuna indicazione su quale sarà la formazione e riqualificazione per i lavoratori dell’acciaieria in esubero. «Qual è il modello di sviluppo? Se a Taranto dobbiamo produrre l’idrogeno, si sta facendo un percorso per andare in quella direzione e rivedere le skill industriali delle imprese? A nostro avviso no» dichiara d’Arcangelo a Slow News. 

 

La prima e unica riunione del comitato di sorveglianza si è svolta nel maggio 2023 ed è servita ad approvare i criteri di monitoraggio i progetti. Da allora più nulla, anche perché non c’è nulla da monitorare.

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Giovanni d’Arcangelo, segretario CGIL Taranto. Foto di Matteo Barsantini

L’unico altro strumento di partecipazione pubblica era il portale regionale Puglia Partecipa: aperto nel 2021, aveva lo scopo di raccogliere dal territorio idee da far confluire nel programma Jtf. 

 

Un’iniziativa positiva ma, secondo il presidente dell’associazione Giustizia per Taranto Massimo Ruggieri, «estremamente poco pubblicizzata». Di fatto, hanno partecipato solo tre enti, tra cui Giustizia per Taranto, che ha candidato delle proposte di rigenerazione urbana, come la creazione di un corridoio naturalistico ciclo pedonale sul Mar Piccolo.

 

«Quella partecipazione si è chiusa e non si è avuto più notizia. Abbiamo sollecitato la Regione per sapere che fine avessero fatto queste proposte, non c’è stata risposta» racconta Ruggieri. «Sembra essere stata l’ennesima operazione di facciata di coinvolgimento fittizio della città» conclude.

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Massimo Ruggieri, presidente di Giustizia per Taranto. Foto di Matteo Barsantini

A fine agosto 2024, la Regione Puglia, a differenza della Sardegna, non ha nemmeno un portale pubblico aggiornato dedicato al Jtf. L’unica pagina regionale di riferimento, a cui rimanda anche il sito governativo, è quella di Puglia Partecipa, che mostra ancora le proposte candidate nel 2021.

Pensare Taranto, tra 30 anni

In questo vuoto informativo, lo stesso responsabile regionale del Jtf Pasquale Orlando, nella sua unica apparizione pubblica, ha dato l’impressione di voler ridimensionare le aspettative sul JTF. 

 

«È un programma che sicuramente non riuscirà a risolvere il problema della transizione in un territorio come quello di Taranto. Ritengo che avvierà la transizione in modo importante, ma il processo richiede un periodo maggiore», ha dichiarato Orlando.

 

Lidia Greco, sociologa esperta di transizione energetica e docente dell’Università di Bari, è nel comitato di sorveglianza e segue da tempo la questione just transition. Crede che alla fine i fondi saranno spesi in qualche modo ma teme che il programma Jtf stia venendo condotto con scarsa visione d’insieme.

 

«Affinché questi soldi siano ben spesi e possano innescare questi processi di transizione dobbiamo avere un’idea di sviluppo e di diversificazione. Ho ripetuto tante volte che non è una questione di soldi: abbiamo tantissime risorse europee, il problema non è quello ma la carenza di una visione collettiva di un disegno su come si spendono» dichiara Greco a Slow News. «Sicuramente alla fine [i fondi] saranno spesi ma la mia preoccupazione è se avranno quel ruolo di leva tale da innescare il processo di transizione. Il problema è che qui bisogna pensare come vogliamo essere tra 30-50 anni e in qualche modo avviare questi percorsi di diversificazione» conclude.

«È un programma che sicuramente non riuscirà a risolvere il problema della transizione in un territorio come quello di Taranto. Ritengo che avvierà la transizione in modo importante, ma il processo richiede un periodo maggiore».

Come sarà Taranto tra 30 anni?

Non è possibile dirlo, ma oggi chi vive in città oggi incoraggia i giovani a scappare.

 

Raffaele Cataldi, l’Ilva in cassa integrazione con cui si è aperta questa serie, ha un figlio di 24 anni e lo ha «supplicato» di non entrare in acciaieria. Oggi il ragazzo fa il pasticcere al bar Eden di Taranto. «Mio figlio ha lavorato anche in Portogallo, poi è scoppiato il Covid ed è dovuto scappare. La mia speranza era che lui rimanesse fuori da Taranto» conclude amareggiato Cataldi.

 

Daniele Donvito, operaio dell’indotto dell’acciaieria, la pensa allo stesso modo: «Mio nipote di 28 anni lavora con me nella mia stessa azienda, sto provando a cacciarlo via a calci».

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Raffaele Cataldi. Foto di Matteo Barsantini
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Daniele Donvito. Foto di Matteo Barsantini.

Da quel che sappiamo oggi, tra trent’anni la città non potrà più contare sulla monocultura dell’acciaio.

Forse, avrà più alberi, piantati grazie ad alcuni dei quasi 800 milioni di euro del JTF.

Per il resto, il rischio sempre più concreto è che, a Taranto, con il Fondo per la transizione giusta si sarà seminato poco altro.

In copertina: Mar Piccolo, Taranto. Foto di Matteo Barsantini.

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Oltre l’acciaio

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Un piano B per Taranto

Schiacciata tra la crisi dell’ex Ilva e la transizione energetica, Taranto ha bisogno di un piano B alla monocultura dell’acciaio. I 796 milioni di euro del Just Transition Fund possono aiutare la riconversione del territorio

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