Il caldo uccide migliaia di persone nelle città europee
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Vista dall’estero è un modello, un caso di studio e un vanto per la città di Milano, solo che vista da Milano praticamente non esiste
Nel 2023, più di 45.000 persone sono morte in Europa a causa del caldo, con i Paesi del sud in cima alla lista. Tuttavia, esistono soluzioni adattive disponibili.
Tra le soluzioni pratiche in atto in città c’è anche ForestaMI, di cui abbiamo già accennato nel capitolo precedente. Nato da una ricerca del Dipartimento di Architettura e di Studi Urbani del Politecnico di Milano, viene lanciato ufficialmente nel 2018, insieme a diversi partner istituzionali e privati, dalla Città metropolitana di Milano al Comune di Milano e alla Regione Lombardia, dal Parco Nord Milano al Parco Agricolo Sud Milano all’ERSAF e alla Fondaazione Comunità Milano.
Maria Chiara Pastore, direttrice scientifica di ForestaMI, spiega così gli obiettivi del progetto: «quello che noi stiamo tentando di fare è, prima di tutto, lavorare sull’incremento in termini assoluti di capitale naturale, cioè cerchiamo di mettere più alberi e arbusti nei 133 comuni della Città metropolitana. L’obiettivo che ci siamo dati sono i simbolici 3 milioni di alberi, uno per ogni abitante, il che porterebbe un aumento della copertura forestale della città (canopy tree cover) metropolitana di 5 punti percentuali, dal 16% fino al 21%. Significa, come stima, un abbassamento dai 2 °C agli 8 °C, in dipendenza dei punti della città».
Ma questo non è l’unico obiettivo, spiega Pastore, «Una parte importante del progetto è riuscire a lavorare insieme ai vari comuni, cercando di entrare nei processi in corso nelle varie realtà locali. Perché spesso il problema è che si lavora a compartimenti stagni».
Cosa significa? Che, spiega ancora Pastore, «quando si fa una pista ciclabile spesso si perseguono solo gli obiettivi di mobilità, e magari non si pensa di metterci a fianco degli alberi. Una delle cose che frena di più la capacità delle amministrazioni di reagire al cambiamento climatico è che non ragionano a livello multidisciplinare».
ForestaMI, dunque, mira a contrastare i cambiamenti climatici in città a due livelli: Il primo, piantando alberi. Il secondo, meno visibile ma potenzialmente persino più importante, facendo collaborare tutti i cosidetti stakeholder: dalle amministrazioni locali alle aziende private del territorio fino alle associazioni, ai comitati e alle singole persone sul territorio. In poche parole: vuole agire sulla governance, ovvero l’insieme dei principi, delle regole e delle procedure che riguardano la gestione e il governo della città.
Sulla carta, ForestaMI è il progetto perfetto, ma nella realtà qualcosa sembra essersi inceppato e il progetto si trova ora in una situazione paradossale: a livello internazionale ha raccolto entusiasmo, è un caso di studio, viene presentato e ammirato ovunque, ha ispirato a sua volta altre politiche in altre città; a livello locale, invece, sta deludendo le aspettative, sta faticando a piantare in centro città e per alcuni, come il consigliere Monguzzi, è «una mossa propagandistica, perché per piantare 3 milioni di alberi in 10 anni devi piantare 300 mila alberi all’anno, 150mila in città, ma chi li ha mai visti?».
Secondo le ultime dichiarazioni, aggiornate alla stagione agronomica 2023/2024, gli alberi piantumati fino ad ora nell’area della Città metropolitana di Milano sarebbero 611.459, di cui però soltanto «58.534* sono stati piantati in 29 comuni della Città metropolitana direttamente da Forestami grazie alle donazioni di privati cittadini e aziende», si legge dal sito ufficiale.
Rispetto all’obiettivo finale — 3 milioni in 10 anni — siamo a circa la metà di quanto avremmo dovuto fare: 600 mila invece che 1 milione e 200 mila. E questo contando anche le piantumazioni autonome dei comuni. Un po’ lontani, insomma, dagli annunci iniziali.
Anche Elena Granata riconosce questa duplicità: «Una politica come ForestaMI», dice, «è ineccepibile dal lato formale: è una buona idea, è incardinata al Politecnico, ha dei testimonial d’eccezione, è sponsorizzata anche grandi fondazioni — pensa a Prada o Armani — però non riesce a fare una cosa che invece dovrebbe fare: diventare un fatto culturale».
Cosa non ha funzionato? Secondo Elena Granata, che il progetto l’ha visto nascere al Politecnico e che nel 2020, da consulente del governo Draghi al G20, aveva contribuito all’annuncio di voler piantare a livello globale 1.000 miliardi di alberi entro il 2030, «va benissimo avere dei ricercatori che studiano, che mediano, che interagiscono con le amministrazioni, che fanno tutto questo lavoro sotterraneo di governance e di sensibilizzazione, però se l’obiettivo deve essere sentire l’urgenza di una città che sta implodendo sotto il cemento e di un tempo che non abbiamo più, allora bisogna fare di più. ForestaMI deve diventare un fatto politico e io questo fatto politico non l’ho visto», continua Granata.
E come si fa? «mettendo sul tavolo la reputazione internazionale e cittadina di Stefano Boeri, per esempio. Facendo lobby. Spostando il peso politico su questi temi. Dissentendo, quando possibile, rispetto alle politiche che vengono portate avanti a livello comunale. E ancora, vuol dire coinvolgere su questa sfida politica le personalità più influenti della città, sia a livello nazionale che internazionale. Vuol dire farla diventare una operazione politica. E questo, purtroppo, non sta succedendo».
Questa inchiesta a puntate è stata prodotta grazie al supporto di Journalism Fund Europe.
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Lo è per tanti motivi, ma soprattutto per scelte urbanistiche e politiche. Le cose potrebbero migliorare, ma non sta succedendo
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