Biccari non è il primo comune a giocarsi la carta delle case a un euro.
Altri centri interni o montani avevano già provato questo metodo per rigenerare il patrimonio edilizio privato o per ripopolare paesi svuotati. Con alterne fortune. E parecchie critiche.
Gli studiosi Domenico Cersosimo e Vito Teti, per esempio, hanno scritto che «vendere una casa “a un euro” sembra uno slogan rivolto più alla vita degli immobili che a quella delle persone, più ad attivare micro-circuiti edilizi che a riabitare, più a vagheggiare fughe-singhiozzo da città invivibili che a costruire nuovi legami comunitari». A loro parere, si tratta di un’idea «devastante» perché « isola la casa dal resto, dal contesto, dal campanile, dalla piazza, dal cimitero, dalla chiesa, dalla farmacia, dall’orto».
Mignogna conosce queste obiezioni, ma difende il suo programma.
Sia perché si è confrontato con i sindaci che l’avevano preceduto per capire dove migliorare sia perché, di fatto, nessuna casa è stata svenduta davvero a Biccari. Complessivamente, infatti, ad oggi circa 40 abitazioni sono state acquistate o sono in procinto di esserlo, a prezzi che vanno dai 5mila ai 60mila euro, spese di ristrutturazione escluse. Gli acquirenti sono per metà italiani e per metà stranieri, provenienti da Germania, Perù, Romania, Messico, Russia, Argentina e Usa.
«Abbiamo scelto di essere elastici, mettendo in vendita case anche a prezzi più alti, ma senza l’obbligo di residenza», spiega il sindaco, che aggiunge: «ovviamente abbiamo rifiutato proposte di società immobiliari e di persone che volevano comprare direttamente dieci case, perché il nostro è un progetto anche di rigenerazione comunitaria».