ForestaMI è una bellissima idea che si sta arenando
Vista dall’estero è un modello, un caso di studio e un vanto per la città di Milano, solo che vista da Milano praticamente non esiste
«Dietro a un pannello fotovoltaico vedo una grande opportunità di crescita energetica, economica e anche culturale per il mio territorio, per la Sardegna. Quando osservo un pannello fotovoltaico io non vedo solo la produzione di energia in modo pulito e sostenibile, ma la possibilità di costruire una “rete intelligente”: una rete di persone che producono energia e che, grazie alle nuove normative, potranno condividerla con gli altri, scambiarla e accumularla».
Rosolino Sini, 62 anni, è il direttore del servizio elettrico del Comune di Benetutti, un piccolo paese della Sardegna centrale, a quaranta chilometri da Nuoro, circondato da campi, filari di vite e aziende agricole con pecore e capre. Su un totale di 1.780 residenti sono attivi 110 impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica: numeri che fanno di Benetutti uno dei primi Comuni in Italia per potenza installata pro-capite. Dalla terrazza di fronte alla piccola chiesa di Santa Croce si vedono i tetti punteggiati di pannelli solari, Sini li indica uno ad uno: la scuola media in lontananza, la casa di riposo, il ristorante. Passeggiando per le strade, basta alzare lo sguardo per continuare a contare, casa dopo casa.
Ma le peculiarità di questo piccolo comune sardo non finiscono qui. Tutti i cittadini di Benetutti, infatti, sono serviti dall’azienda elettrica comunale diretta da Sini, che ne racconta con orgoglio la nascita avvenuta all’inizio del novecento, quando un mugnaio iniziò a produrre energia elettrica collegando un generatore al proprio mulino ad acqua: «Con grande lungimiranza, gli amministratori locali dell’epoca capirono che era in atto una rivoluzione e acquistarono da quel piccolo artigiano il diritto a produrre energia. Con il tempo e con lo sviluppo tecnologico la rete elettrica si è allargata ed è sempre rimasta di proprietà del Comune. Oggi come allora c’è una rivoluzione in atto», afferma.
Se un secolo fa la sfida era quella di portare l’energia elettrica in tutte le case del piccolo comune sardo, oggi l’energia la si vuole produrre solo ed esclusivamente in maniera pulita, grazie a sole e vento.
Forte di queste peculiarità – azienda elettrica di proprietà comunale ed elevata capacità produttiva da fonti rinnovabili – Benetutti guarda con attenzione al 2023, anno che segnerà la fine del mercato tutelato, un momento in cui tutti i cittadini italiani dovranno scegliere il proprio fornitore di gas ed energia elettrica sul libero mercato. «Oggi, praticamente, acquistiamo l’energia da acquirente unico, ovvero dallo Stato. Con il mercato libero, in qualità di distributore, la nostra azienda elettrica potrà scegliere da chi acquistare l’energia elettrica. E noi useremo quella prodotta dai nostri cittadini», spiega il direttore della piccola azienda locale.
Una rivoluzione, quella immaginata e progettata da Sini, che si concretizzerà con l’aumento della produzione e la differenziazione delle fonti di energia rinnovabili, investendo su idroelettrico e biomasse. E soprattutto con l’attivazione della prima smart grid italiana. Grazie a questa tecnologia, Benetutti diventerà uno dei primi esempi europei di municipalità alimentata da energie rinnovabili e gestita da una “rete intelligente”. «La smart grid – prosegue Sini – farà dialogare in tempo reale i flussi di energia ottimizzando produzione, autoconsumo, accumulo e condivisione grazie a strumentazioni installate nelle cabine elettriche, lungo le linee, negli impianti di accumulo e nelle abitazioni». Una sorta di semaforo che permetterà, ad esempio, al piccolo artigiano di usare l’energia elettrica prodotta sul tetto del vicino di casa, che in quel momento non la sta consumando.
Quello della smart grid è un investimento importante, reso possibile grazie a 1,5 milioni di euro stanziati dalla Regione Sardegna nell’ambito del Por Fesr 2014-2020 che al 30 aprile 2021 (dati OpenCoesione) ha visto avviare interventi per un costo complessivo di circa un miliardo di euro, di cui 981 milioni di euro di “risorse coesione”. «Sostenere la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio» è uno degli obiettivi fissati dalla politica di coesione europea. In Italia, questa politica è stata finanziata dalle risorse del Fondo europeo per lo sviluppo regionale – Fesr e del Fondo sociale europeo – Fse con 3,667 miliardi di euro all’interno del ciclo di programmazione 2014-2020. Al 31 dicembre 2018 risultavano avviati 3.524 progetti, per un impegno totale di 2,528 miliardi di euro.
Il Comune di Benetutti non è il solo ad aver intrapreso questa strada verso un mondo più “libero” dai combustibili fossili grazie al ruolo attivo dei suoi cittadini. Le comunità locali avranno un ruolo fondamentale nella riduzione delle emissioni di CO2. «Gli obiettivi di decarbonizzazione che si è data l’Europa sono talmente sfidanti che non possono essere raggiunti affidando il percorso di transizione solo ai grandi attori industriali», spiega Matteo Zulianello di Rse-Ricerca sul sistema energetico, società di ricerca pubblica del Gestore dei servizi elettrici (Gse). «Quindi – aggiunge – si è deciso di ampliare la platea dei soggetti che producono energia da fonti rinnovabili dando un ruolo attivo anche ai cittadini e alle piccole e medie imprese».
Nel solco degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 dell’Unione europea, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima 2030 (Pniec) approvato dall’Italia nel 2019 ha stabilito di portare la quota nazionale di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili dall’attuale 35 per cento al 55 per cento. «Ma questi obiettivi sono stati fissati prima che l’Unione europea approvasse il Green deal, che fissa una riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990», spiega Matteo Leonardi, direttore del think tank indipendente su clima e ambiente Ecco. «Sulla base di queste nuove indicazioni, il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani hanno annunciato i nuovi obiettivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili: dall’attuale 35 per cento al 72 per cento entro il 2030».
In concreto, significa installare in poco meno di dieci anni nuovi impianti fotovoltaici ed eolici capaci di produrre 70 Gigawatt di energia. In pratica, tra i 7 e gli 8 Gigawatt all’anno. «In Italia oggi siamo in grado di sviluppare più o meno 1 Gigawatt aggiuntivo all’anno», sottolinea Leonardi. «Questo significa che siamo cinque volte sotto l’obiettivo non aggiornato e sette-otto volte sotto quello che dovremmo veramente sviluppare. La buona notizia è che l’Italia ha sia le capacità industriali sia di installazione per ottenere questi risultati», aggiunge.
Per raggiungere questi obiettivi, l’Italia non può fare a meno di realtà come quella di Benetutti e delle esperienze di produzione diffusa di energia da fonti rinnovabili che nel nostro paese hanno un’antica tradizione. La prima cooperativa per la produzione e la fornitura di energia elettrica tra i soci, infatti, è nata nel 1894 a Chiavenna (Sondrio) e negli anni successivi esperienze simili si sono diffuse lungo tutto l’arco alpino grazie alla ricchezza di fiumi e torrenti. Attorno al 2010 hanno preso vita nuove cooperative per la produzione di energia elettrica come Retenergie ed ènostra. Oggi, ènostra fornisce energia elettrica rinnovabile proveniente da impianti fotovoltaici, eolici e idroelettrici con garanzia d’origine a oltre novemila soci-utenti.
In Italia la vera svolta verso una transizione energetica “dal basso”, in cui la produzione è diffusa su tutto il territorio nazionale e il consumatore è chiamato anche a svolgere un ruolo attivo, è appena iniziata. Con il decreto legislativo “Milleproroghe” del 2019 (decreto 162/2019) il governo ha recepito parzialmente e in modo anticipato la Direttiva rinnovabili dell’Unione europea che, nel 2018, ha introdotto le Comunità energetiche rinnovabili (Cer). Le Cer sono un nuovo soggetto giuridico autonomo, i cui soci o membri possono essere persone fisiche, enti locali (compresi i Comuni), piccole e medie imprese, ma non grandi aziende. La comunità avvia la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e, a differenza di quanto avveniva in passato, l’impianto fotovoltaico o eolico può condividere l’energia prodotta con tutti i membri della comunità. L’obiettivo non è fare profitti, quanto piuttosto fornire benefici ambientali, economici o sociali alla comunità e a coloro che ne fanno parte.
Secondo uno studio pubblicato a dicembre 2020 dalla società di consulenza Elemens e da Legambiente, le Comunità energetiche potranno contribuire alla transizione energetica con circa 17 Gigawatt di nuova potenza da fonti rinnovabili entro il 2030, pari a circa il 30 per cento dell’obiettivo climatico fissato dal Pniec. «Attenzione però – avverte Matteo Leonardi – i 70 GigaWatt che dovremo installare entro il 2030 sono solo l’inizio, in futuro dovremo fare molto di più per garantire, ad esempio, anche la mobilità elettrica. Ben vengano le comunità energetiche e la decentralizzazione della produzione di energia che permette una migliore integrazione delle tecnologie “smart”, in particolare degli accumuli. La transizione energetica, però, non sarà possibile senza lo sviluppo di grandi impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili connessi alla rete centrale. Questi due aspetti devono procedere in parallelo».
Magliano Alpi, un paese di duemila abitanti in provincia di Cuneo, è stato il primo comune italiano ad avviare una comunità energetica in base a quanto previsto dalla nuova normativa. «Ai primi di febbraio 2020 sono stato contattato dal professor Sergio Olivero del Politecnico di Torino, che mi ha fatto conoscere il Manifesto delle comunità energetiche redatto dell’Energy Center e mi ha parlato delle possibilità introdotte dal Milleproroghe», spiega Marco Bailo, classe 1979, sindaco di Magliano Alpi.
Dopo la presentazione del progetto ai cittadini, l’idea di dare vita a una comunità energetica ha attecchito tra gli abitanti in poco tempo e a marzo 2021 è stata inaugurata la prima comunità energetica di Magliano Alpi. L’impianto fotovoltaico da 19,5 kilowatt installato sul tetto del municipio a marzo 2020 oltre ad alimentare i consumi elettrici dell’edificio condivide l’energia prodotta e non auto-consumata con le altre utenze collegate alla Cer: la biblioteca, la palestra, le scuole oltre a quelle dei quattro residenti che per primi hanno aderito all’iniziativa. E si punta ad aggiungere nuovi soci entro il 2022.
Sebbene le risorse messe a disposizione dal Fondo europeo di sviluppo regionale nell’ambito dell’energia non siano specificatamente dedicate all’attivazione di comunità energetiche, le tipologie di interventi finanziati (dall’efficientamento energetico all’installazione di pannelli fotovoltaici) possono attivare questi processi quando sono coinvolte amministrazioni pubbliche particolarmente sensibili a questi temi, generando molteplici benefici.
Oltre a godere dei vantaggi derivati dall’autoconsumo dell’energia prodotta, infatti, le comunità energetiche usufruiscono anche di un incentivo erogato dal Gestore dei Servizi Energetici di 110 euro per ogni MegaWatt/ora che viene prodotto e consumato nello stesso arco orario. «Per questo è importante che ci sia un buon bilanciamento tra la capacità produttiva e il consumo da parte dei membri della comunità energetica», spiega Bailo mentre mostra la composizione della seconda comunità energetica (Cer 2) di Magliano Alpi. L’energia, in questo caso, è prodotta dai pannelli solari installati sugli spogliatoi del campo sportivo e i “consumatori” sono un ristorante, un solarium, alcune abitazioni, un laboratorio di falegnameria e un mulino. Una terza Cer è in fase di realizzazione tra un gruppo di privati cittadini. «Ci sono tanti segnali, sia economici sia ambientali, che spingono un amministratore locale a guardare con crescente attenzione a queste iniziative», spiega Bailo. «Per me una delle cose più positive di questa esperienza è il fatto che ci ha spronato a fare comunità, nel vero senso della parola, dopo un lungo periodo di chiusura causato dal Covid-19».
Anche i benefici economici che derivano dall’attivazione di una Cer non sono da sottovalutare. «Oltre all’incentivo erogato dal Gse, la comunità energetica viene remunerata a prezzi di mercato per l’energia prodotta», spiega Matteo Zulianello. «Dal momento che le comunità energetiche sono soggetti senza finalità di lucro, non possono distribuire utili e nascono per rispondere ai bisogni che vengono identificati dai soci stessi. Quindi ciascuna può decidere cosa fare con queste risorse. Un’amministrazione pubblica, ad esempio, può scegliere di usarle per finanziare servizi in favore della cittadinanza».
«Non diventeremo ricchi, ma grazie all’energia prodotta dai pannelli fotovoltaici e agli interventi di efficienza energetica, i costi di gestione della palestra comunale per noi sono molto bassi», esemplifica Marco Bailo. «Per questo abbiamo deciso che da settembre 2021 a fine giugno 2022 la daremo gratuitamente alle società sportive giovanili, di Magliano e non solo, che ne fanno uso».
Grazie al supporto della cooperativa energetica ènostra, i comuni sardi di Villanovaforru (680 abitanti) e Ussaramanna (510 abitanti) hanno già depositato gli statuti delle nuove Cer e sono in attesa dell’attivazione degli impianti. Su ispirazione di Magliano Alpi, diversi comuni della provincia di Cuneo, da Carrù a Valdieri, hanno partecipato a un bando della Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo e ottenuto finanziamenti per avviare la propria Cer. Altre comunità stanno nascendo in Val di Susa (Torino), a Biccari (Foggia), a Tito (Potenza), a Tirano (Sondrio) e nel quartiere Pilastro a Bologna.
Ai nastri di partenza è anche la Comunità energetica e solidale di Napoli Est, nel quartiere di San Giovanni a Teduccio. Promossa da Legambiente e dalla comunità locale, è stata sostenuta dalla Fondazione con il Sud con circa 100mila euro. L’impianto fotovoltaico da 53 kW installato sulla copertura della Fondazione Famiglia di Maria è in grado di produrre circa 65mila kWh di energia elettrica: in parte consumata dalla struttura stessa, in parte condivisa con 40 famiglie. La Cer permetterà di generare un risparmio reale, in termini di minor energia consumata, pari a circa 300mila euro in 25 anni, alleggerendo così il costo della bolletta per quei nuclei che faticano a coprire tutte le spese o che non hanno un lavoro.
Oltre che per il loro impatto positivo sulla transizione ecologica, le comunità energetiche possono svolgere un ruolo importante nel contrasto alla povertà energetica, un fenomeno che, secondo le stime contenute nel Secondo rapporto dell’Osservatorio italiano sulla povertà energetica in Italia nel 2019, interessa circa 2,2 milioni di famiglie (l’8,5 per cento del totale). Nuclei che hanno difficoltà ad acquistare un paniere minimo di beni e servizi energetici o, in alternativa, un accesso ai servizi energetici che implica una distrazione di risorse, in termini di spesa o di reddito, superiore a un “valore normale”. «Questa situazione, unita alle conseguenze della crisi economica causata dall’epidemia da Covid-19 e dall’aumento dei prezzi dell’energia, come quello che si è registrato nell’ultimo trimestre del 2021, porterà un numero crescente di famiglie nella condizione di dover tagliare ulteriormente i propri consumi o di doversi indebitare per pagare le bollette», spiega Lorenzo Bandera, responsabile comunicazioni e relazioni esterne del Laboratorio di ricerca Percorsi di secondo welfare.
Un esperimento interessante di contrasto alla povertà energetica è quello che si sta sviluppando alla periferia di Messina. «Il progetto della Comunità energetica di Fondo Saccà si inserisce in un più ampio programma di riqualificazione sociale, urbana ed economica della periferia cittadina», spiega Gaetano Giunta, presidente della Fondazione di Comunità di Messina che, negli ultimi anni, ha speso molte energie per «liberare 200 famiglie dal degrado abitativo». Si tratta di circa 650 persone che fino a luglio 2021 vivevano ancora all’interno delle baraccopoli sorte dopo il terremoto del 1908. Abbattute le abitazioni abusive, all’interno di una di queste aree è sorto un “condominio orizzontale” formato da sette palazzine, ciascuna dotata di impianto fotovoltaico, che andranno a formare una comunità energetica il cui obiettivo dichiarato è quello di contrastare la povertà energetica. «Innanzitutto, c’è la componente di autoconsumo dell’energia prodotta», spiega Giunta «E se in un determinato momento stai producendo più di quanto consumi, cosa che succede ad esempio durante il giorno a una famiglia che lavora fuori casa, puoi accumulare l’energia e condividerla all’interno della comunità». Ma c’è di più: la comunità di Fondo Saccà, infatti, è dotata di un sofisticato sistema di gestione che permette «di mutualizzare l’energia secondo algoritmi sociali». In altre parole, il costo della bolletta elettrica verrà ripartito tra i condomini in modo proporzionale alla loro capacità di spesa: a prezzo pieno o con un risparmio minimo per chi ha risorse sufficienti, con sconti più o meno importanti in base al reddito, fino ad arrivare alla gratuità per le persone e le famiglie più fragili.
Per sostenere le famiglie che si trovano in povertà energetica o che rischiano di cadervi – aggiunge Lorenzo Bandera – sono necessari interventi a diversi livelli. Nel breve periodo servono sostegni economici a chi non può affrontare le spese per le bollette, ma nel lungo periodo occorre investire sull’efficienza energetica per rendere le abitazioni più performanti ed efficienti da un punto di vista energetico e ridurre così gli sprechi.
Dietro ai pannelli fotovoltaici delle Comunità energetiche che stanno nascendo in diverse parti d’Italia, quindi, non ci sono solo quelle grandi opportunità «di crescita energetica, economica e anche culturale» citate con orgoglio da Rosolino Sini, in Sardegna.
Dietro a questi pannelli montati sui municipi, le palestre e le abitazioni di tanti Comuni, grandi e piccoli, a volte amministrati da sindaci lungimiranti, a volte serviti da tecnici visionari e, altre volte ancora, sostenuti dai fondi dell’Ue c’è una rivoluzione. Una rivoluzione che potrebbe partire dal basso per contribuire in maniera decisiva alla transizione energetica del nostro paese. Per farlo però bisogna coinvolgere le amministrazioni e la cittadinanza. Come successo a Benetutti.
Vista dall’estero è un modello, un caso di studio e un vanto per la città di Milano, solo che vista da Milano praticamente non esiste
Quasi soltanto a parole, o in qualche report finanziato da progetti europei. Nella realtà le cose sono ancora molto indietro
È un progetto italiano finanziato dall’Europa, mette insieme AI, analisi dei dati e progettazione urbana ed è già a disposizione del Comune di Milano
A Prato, sono secoli che la lana viene riciclata. Ma la città toscana è un’eccezione. I vestiti della fast fashion sono di scarso valore e di complessa lavorazione. Così l’Ue punta su nuove norme per far crescere un settore cruciale