Una serra per cambiare
Sulle Madonie, in Sicilia, l’istituto superiore di Gangi prova a essere un agente di cambiamento per il territorio. Puntando sull’agricoltura 4.0 finanziata dai fondi di coesione UE.
L’area interna siciliana delle Madonie ha una nuova strategia, nuovi obiettivi e nuove modalità di gestire i fondi, tra cui quelli di coesione Ue. La capacità di collaborare tra enti locali, invece, è sempre la stessa, da decenni.
Sui monti delle Madonie, nell’entroterra di Palermo, la Strategia nazionale aree interne ha portato tanti fondi di coesione Ue. Riusciranno a cambiare un territorio fragile e disincantato? Ilaria Sesana è andata a scoprirlo
«Avevamo capito che lavorando da soli non saremmo andati da nessuna parte».
Giuseppe Ferrarello è il sindaco di Gangi, uno dei comuni delle Madonie che già a partire dagli anni Novanta ha iniziato a lavorare in rete per promuovere lo sviluppo di questo territorio montano nell’entroterra di Palermo.
«La nostra idea era quella di costruire una ‘città-rete’ che comprendeva, oltre ai comuni delle Madonie, anche le città costiere di Cefalù e di Termini Imerese: un’unica grande entità formata da più di 30 municipalità. Mettere tutti insieme all’inizio non è stato facile, ma ce l’abbiamo fatta», dice oggi.
In tutti questi anni la capacità degli amministratori delle Madonie di lavorare in rete non è mai venuta meno, anzi. Lo dimostra il lungo lavoro preparatorio che ha portato alla stesura e all’approvazione della Strategia d’area per le aree interne denominata «Madonie 2030», approvata a giugno 2023. Il percorso ha coinvolto 26 comuni (per un totale di circa 73mila residenti) e circa 380 realtà del territorio.
Sono stati creati cinque gruppi di lavoro dedicati ad approfondire viabilità e mobilità, sanità, sviluppo locale e servizi ecosistemici, cui hanno partecipato un centinaio di persone tra sindaci e assessori dei comuni delle Madonie, ma anche tecnici ed esponenti della società civile.
Durante gli incontri, una ventina in tutto, i gruppi di lavoro hanno discusso varie proposte: sviluppare le comunità energetiche, ottimizzare la gestione del servizio idrico integrato, rafforzare ed estendere la rete sentieristica per lo sviluppo del turismo sostenibile e definire gli interventi necessari in ambito sanitario.
Un processo non facile, a maggior ragione in un Paese come l’Italia segnato da un profondo campanilismo, che non è nato per caso. Ma che rappresenta il punto d’arrivo di un percorso all’insegna della collaborazione e della partecipazione iniziato quasi trent’anni fa, grazie a una serie di iniziative europee e nazionali.
«Le Madonie sono state una delle prime realtà territoriali italiane a sviluppare i Piani territoriali per l’occupazione finanziati dall’Unione europea (negli anni Novanta, ndr), poi sono arrivati i Patti territoriali italiani e altre politiche per la coesione territoriale», ricorda Filippo Tantillo ricercatore presso l’Istituto nazionale analisi politiche pubbliche (Inapp) e autore di libri sulle aree interne.
Una delle decisioni più innovative prese con l’avvio dei primi Patti territoriali e che ha lasciato un segno importante su tutta la gestione successiva è stata quella di creare un ufficio unico per gli appalti: «Tutti i comuni aderenti alla ‘città-rete’ – ricorda Ferrarello – si sono tassati. In questo modo abbiamo potuto pagare un gruppo di tecnici e funzionari affinché si dedicassero alla progettazione. Questo ci ha permesso di spendere tutte le risorse che ci venivano assegnate e anche di scorrere le graduatorie dei finanziamenti regionali», aggiunge.
Oltre all’aspetto puramente tecnico, uno dei punti di forza è stata la capacità dei sindaci di lavorare e di progettare in rete, con una visione complessiva dei bisogni del territorio che superasse i localismi: «Per esempio, se l’utenza è poca, non ha senso costruire una piscina a Gangi se già c’è quella di Petralia Sottana», esemplifica Ferrarello.
Proprio in virtù di questa esperienza le Madonie sono state individuate come progetto pilota per la Strategia nazionale per le aree interne (Snai) per il ciclo di programmazione 2014-2020. L’obiettivo era contrastare lo spopolamento del territorio e rilanciare i servizi essenziali alla cittadinanza. Contestualmente, nel 2015, si è costituita l’Unione dei comuni delle Madonie all’interno della quale tutti i 21 municipi membri hanno la medesima rappresentanza, indipendentemente dal numero dei residenti. Tra questi, però, non figurano Termini Imerese e Cefalù che, a differenza delle altre municipalità, avevano registrato nel tempo un incremento della popolazione residente e non avevano quindi i requisiti per fare parte dell’area interna.
L’Unione dei comuni oggi gestisce molti servizi e attività del territorio: dalla gestione delle mense scolastiche alla programmazione e coordinamento delle politiche giovanili, del turismo e dei beni culturali. Si occupa anche dell’Ufficio unico per la programmazione e la progettazione degli interventi relativi ai cinque ambiti di intervento previsti dalla Snai (energie rinnovabili; risorse naturali, culturali e turismo; saper fare e artigianato; sistema agroalimentare; tutela del territorio). Infine, gestisce anche l’Accordo di programma quadro, ovvero il documento con cui i ministeri competenti, Regione ed enti locali assumono gli impegni vincolanti per la realizzazione degli obiettivi definiti dalla Strategia d’area.
Proprio con la nuova Strategia territoriale dell’area interna madonita 2021-2027, i sindaci e gli amministratori locali andranno ad affrontare nuovi cambiamenti. Il primo è l’allargamento dell’Unione, che arriverà a 26 comuni, grazie a cinque nuovi ingressi: Alia, Resuttano, Valledolmo, Vallelunga Pratameno e Villalba.
Ma la vera, grande novità, è di tipo amministrativo. «La programmazione 2014-2020 non è andata male, ma non sono mancati i problemi: pur essendo dei piccoli comuni, infatti, eravamo molto più veloci nello sbrigare i nostri atti rispetto alla Regione e alla Città Metropolitana di Palermo nell’approvazione dei decreti e nella successiva assegnazione dei lavori», spiega Ferrarello. «Per questo motivo abbiamo lottato per fare in modo che l’Unione dei comuni venisse riconosciuta come organo intermedio: ci siamo presi la responsabilità di gestire direttamente le risorse della strategia e stiamo organizzando gli uffici in questo senso», prosegue.
Come già quella precedente, la strategia 2021-2027 punta in maniera significativa sui fondi di coesione: anche se non sono disponibili i dettagli di ciascun azione, le risorse del Fondo sociale per lo sviluppo regionale (Fesr) della Regione Sicilia dovrebbero finanziare interventi per rafforzare la crescita delle piccole e medie imprese, per il miglioramento del servizio idrico integrato (in sinergia con fondi messi a disposizione dal Piano nazionale di ripresa e resilienza), per la costituzione di comunità energetiche e per migliorare la funzionalità della rete stradale. Anche i fondi europei, dunque, una volta assegnati, saranno gestiti direttamente dall’Unione dei comuni, ma come esattamente?
Questo soggetto amministrativo avrà nuovi compiti, come indicato nel documento della nuova strategia d’area: «Riceverà tutti i poteri amministrativi e gestionali inerenti l’intero processo attuativo dell’Accordo quadro e quindi sarà in grado di compiere tutti gli atti, adottare i provvedimenti, espletare le procedure di gara, stipulare i contratti, esercitare tutte le funzioni delegate». In pratica, sarà l’Unione ad approvare i decreti autorizzativi dei progetti finanziati nell’ambito della Snai e a svolgere le gare per assegnare i lavori, velocizzando e rendendo più snelli i percorsi che, nella precedente programmazione, venivano svolti dalla Regione e Città Metropolitana di Palermo.
Può sembrare un cambiamento molto tecnico e secondario, ma per il ricercatore Tantillo è una novità che va nella giusta direzione, e potrebbe dare esiti importanti. «Una delle maggiori difficoltà che si incontrano nello spendere bene e in maniera efficace le risorse, penso a quelle della politica di coesione europea ma non solo, è legata alla suddivisione amministrativa italiana incentrata sui comuni. Una suddivisione che è stata disegnata in un mondo in cui le persone nascevano, crescevano e morivano nello stesso territorio», riflette.
«Intervenire su un singolo comune non produce risultati, ma solo difficoltà. L’abolizione delle province a favore delle regioni, da questo punto di vista, è stata un errore. Per ottenere buoni risultati – conclude Tantillo – la gestione deve essere sovra-territoriale». Proprio come nelle Madonie.
«Questo processo che ha portato noi amministratori locali a lavorare assieme non è stato sempre facile, ma è molto forte: riusciamo a sviluppare iniziative comuni in maniera non episodica. Il ciclo di programmazione Snai 2021-2027 ha stanziato per il nostro territorio circa 50 milioni di euro (da fondi nazionali ed europei, ndr): il fatto di poter gestire e monitorare direttamente questi fondi rappresenta un salto di qualità significativo», aggiunge Gandolfo Librizzi, sindaco di Polizzi Generosa.
Ma c’è un altro ambito in cui gli amministratori del territorio hanno dimostrato di saper lavorare in rete. «Negli anni Ottanta, Giovanni Falcone definiva le Madonie la ‘Svizzera di cosa nostra’: sebbene non siano mancati fatti di sangue, anche gravi, nel complesso vigeva una ‘pax mafiosa’ che permetteva alle cosche di utilizzare questo territorio per nascondere i latitanti», continua Librizzi, che dall’ottobre 2021 è anche presidente dell’assemblea dei sindaci del Consorzio madonita per la legalità e sviluppo, l’ente che gestisce i beni confiscati alla criminalità organizzata sul territorio.
«La nascita del Consorzio rappresenta uno dei primi casi in Italia in cui i sindaci si sono dati una forma organizzata e si sono assunti direttamente la responsabilità della gestione di un bene confiscato alle mafie. E questo non è successo per caso, ma si inserisce nell’alveo della tradizione culturale e politica delle Madonie, dove si è creato un percorso virtuoso in cui l’unione fa la forza», continua Librizzi.
Il sindaco fa riferimento al feudo Verbumcaudo, un luogo che rappresenta una delle tracce più significative della presenza della mafia nelle Madonie ma, al tempo stesso, anche un simbolo del riscatto di questo territorio: 150 ettari di terreno, con annessa masseria, che nel 1965 venne acquistato dai boss mafiosi Michele e Salvatore Greco per appena 650 milioni di vecchie lire a fronte di un valore effettivo stimato in circa due miliardi e mezzo, secondo il centro studi Pio La Torre.
Le indagini del magistrato Falcone portarono all’arresto dei boss e alla confisca definitiva del feudo nel 1987. Dopo anni di abbandono, nel 2007 l’agenzia del Demanio lo ha affidato al Comune di Polizzi Generosa. Come spesso è accaduto per altri beni confiscati alle mafie, anche quell’enorme terreno rimase abbandonato e incolto per anni. A complicare ulteriormente la situazione c’era anche il fatto che il feudo era gravato da una pesante ipoteca (stipulata dai fratelli Greco) che il Comune non era in grado di saldare.
Anche a seguito della mobilitazione della comunità madonita è intervenuta la Regione, che nel 2011 ha acquistato il bene per poi trasferirlo al Consorzio per la legalità e lo sviluppo. Questo, a sua volta, nel 2017 ha pubblicato un bando pubblico (sotto la supervisione della Prefettura di Palermo) per la selezione di undici professionisti. I giovani scelti hanno costituito la cooperativa sociale Verbumcaudo, a cui è stata affidata la gestione del feudo. I suoi terreni, coltivati con metodo biologico, oggi producono pomodoro siccagno, verdure, legumi e grano duro, che viene trasformato in pasta secca trafilata al bronzo. L’oliveto, totalmente abbandonato, è stato recuperato e oggi non solo produce ottimo olio extravergine di oliva, ma accoglie visitatori e scolaresche da tutta Italia. Da qualche anno è stata avviato anche un vigneto, che è stato dedicato al sindacalista ucciso dalla mafia Placido Rizzotto e che produce un bianco tipico della zona, il vino catarratto.
L’avvio non è stato facile, ricorda Luca Li Vecchi, presidente della cooperativa: «All’inizio non tutto il territorio si è fidato di noi. Ma è stata proprio la comunità madonita il primo finanziatore del nostro progetto: quando ancora eravamo in fase di start-up gli agricoltori del territorio ci hanno aiutato mettendo a disposizione il proprio lavoro, anticipando le sementi e così via». Oggi, il progetto Verbumcaudo si sostiene grazie alle vendite dei propri prodotti e al contributo delle fondazioni Con il Sud e Peppino Vismara.
Lo scorso aprile sono iniziati i lavori di ristrutturazione ed efficientamento energetico della struttura: un intervento che avrebbe dovuto essere finanziato grazie alle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) con 5,3 milioni di euro. «Il governo ha deciso di stralciare questo capitolo di spesa, ma fortunatamente è intervenuta la Regione, stimolata da Verbumcaudo e Confcooperative», spiega Li Vecchi.
Raccontare l’esperienza di Verbumcaudo porta a interrogarsi sulla presenza odierna della criminalità organizzata sul territorio. L’ultima grande operazione antimafia risale al 2016 e si è conclusa nell’agosto 2022 con la condanna in Cassazione di dieci persone. Secondo quanto ricostruiscono i giornali locali, l’attività principale del gruppo criminale smantellato dai Carabinieri era l’estorsione ai danni delle imprese attive sul territorio, in particolare quelle che si erano aggiudicate la gestione di appalti pubblici.
«Quell’operazione ha azzerato il tentativo di riorganizzazione delle mafie nelle Madonie», spiega Librizzi.
Tra le aziende prese di mira prese in quell’occasione c’era anche la società che si stava occupando della ristrutturazione dell’ex cinema Trinacria di Polizzi Generosa, finanziata anche con fondi della politica di coesione nell’ambito del ciclo di programmazione 2007-2013. «Venne incendiato un mezzo della ditta appaltatrice. Fu un episodio tragico, ma per fortuna successivamente non ci sono più stati problemi», ricorda Librizzi, che ai tempi non era sindaco. Oggi, l’ex cinema ha cambiato nome e destinazione d’uso, è un centro polifunzionale di aggregazione sociale con una biblioteca, ed è intitolato al generale Carlo Alberto dalla Chiesa.
«La mafia in questo territorio c’è sempre stata. Ci sono anche quelli che possiamo definire “ignari collaboratori” delle cosche, chi detiene una posizione decisionale e non la esercita, la esercita male o addirittura contrasta chi prova a realizzare sviluppo nella legalità. Penso però che nelle Madonie ci siano anche robusti anticorpi» riflette il presidente di Verbumcaudo Li Vecchi. «Siamo gente che tiene alla propria terra e ne siamo gelosi, penso che questa voglia di prendersi cura del territorio passi anche dalla difesa della legalità. L’esperienza di Verbumcaudo ne è un esempio: ogni mattina, quando andiamo al lavoro, siamo consapevoli che ci stiamo occupando di un pezzettino di Stato», dice.
I pezzettini di Stato, come li chiama Li Vecchi, in Sicilia sono tanti. Secondo un rapporto di Libera, la regione è la prima in Italia con 7.692 beni confiscati alla criminalità organizzata. I fondi di coesione Ue possono essere uno strumento importante per ridare loro vita e, infatti, da due cicli di programmazione, la Regione Sicilia prevede l’utilizzo della sua quota di Fondo europeo di sviluppo regionale per «il riuso e la rifunzionalizzazione» di questi immobili. Verbumcaudo non ne ha mai beneficiato, ma potrebbe in futuro e, nel frattempo, sta lavorando a due progetti finanziati dalla Politica agricola comune Ue.
«Io credo che le risorse europee possano contribuire a colmare dei vuoti», ragiona Li Vecchi.
Lo dice pensando al futuro della sua cooperativa, ma anche a quello della sua famiglia, che presto si allargherà. «Tra poco, io e la mia compagna diventeremo genitori, con tante perplessità e tante incognite», confida.
«Mio figlio crescerà a Polizzi Generosa e avrà 18 compagnetti, un numero record», continua, riferendosi ai bambini sotto i tre anni presenti oggi in paese e al basso numero di nati che l’ha caratterizzato per anni, soprattutto a causa della forte emigrazione giovanile. Ora le cose sembrano cambiare, ma non è facile. «Il lavoro rappresenta un elemento fondamentale per il diritto a restare a vivere in un territorio: Verbumcaudo ha creato una decina di posti di lavoro e puntiamo ad aggiungerne sessanta nei prossimi anni. Ma questo non è sufficiente», ragiona.
Li Vecchi sostiene che sul territorio continuino a mancare «i servizi essenziali»: sono quelli i vuoti che, a suo parere, vanno colmati anche coi fondi europei. A cominciare da quello che presto, per lui, sarà il più urgente: «qui in paese, non ci sono gli asili nido», conclude.
In copertina: Vista di Gangi – Foto di Francesco Bellina
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Sulle Madonie, in Sicilia, l’istituto superiore di Gangi prova a essere un agente di cambiamento per il territorio. Puntando sull’agricoltura 4.0 finanziata dai fondi di coesione UE.
La mancanza di opportunità lavorative adeguate rimane uno dei principali motivi per cui i giovani lasciano le Madonie. Eppure sul territorio, spesso grazie ai fondi di coesione Ue, qualcosa si muove.
L’ospedale di Petralia Sottana, in Sicilia, è il simbolo di quanto sia difficile garantire il diritto alla salute nelle zone più interne e anziane dell’Italia. Tra medici che vanno in pensione e fondi Ue che arrivano sul territorio, un viaggio tra le tortuose strade madonite alla scoperta della sanità locale.
L’area interna siciliana delle Madonie ha una nuova strategia, nuovi obiettivi e nuove modalità di gestire i fondi, tra cui quelli di coesione Ue. La capacità di collaborare tra enti locali, invece, è sempre la stessa, da decenni.
Se l’Unione vuole avere successo in questa nuova fase, deve rivolgersi verso il Sud. Per Amedeo Lepore, la politica di coesione può consentire di ancorare l’Europa alle profonde trasformazioni della globalizzazione, a condizione che sia in grado di sviluppare un metodo euro-mediterraneo.
Mentre il mercato del lavoro è alle prese con l’aumento delle dimissioni da un lato e il fenomeno del quiet quitting dall’altro, il benessere dei lavoratori diventa sempre più un tema centrale per le aziende.
Nel solco dei “neo-idealisti”, l’ex presidente estone riflette in questa intervista sulla necessità di continuare lo sforzo di coesione attorno al sostegno militare all’Ucraina. Secondo lei, le trasformazioni nate in mezzo alla prova della guerra dovrebbero permettere all’Unione di approfondire la sua integrazione interna e di rafforzare le relazioni con il suo vicinato a Sud.
Ridurre i divari e le disuguaglianze tra le regioni è un obiettivo fondamentale dell’integrazione europea. Destinata a favorire la convergenza e la crescita, la politica di coesione si sviluppa su un lungo periodo, ma è stata messa a dura prova dagli shock improvvisi della pandemia e della guerra in Ucraina. In 10 punti e attraverso 26 grafici e mappe, tracciamo un bilancio dello stato attuale della politica di coesione e del suo futuro, mentre gli Stati membri si preparano a un allargamento che potrebbe sconvolgerne le coordinate.