Come molti abitanti delle Madonie, anche Angelo ama il posto in cui è nato e la bellezza di un territorio che può ammirare ogni giorno dalle finestre del suo laboratorio. Si dice soddisfatto della qualità della vita a Gangi, però, per i suoi due figli, sogna qualcosa di diverso: «Il progetto della Macina l’ho realizzato anche per loro, perché mi sarebbe piaciuto che continuassero l’attività di famiglia. Ma se penso al loro futuro posso solo dirgli di studiare e poi di andarsene. Con la speranza che in futuro le cose possano cambiare», riflette amaro.
Anche lui, come molte altre persone che abbiamo incontrato, sottolinea la fatica di vivere e lavorare in un territorio dove mancano o scarseggiano i servizi fondamentali, dove spostarsi da un Comune all’altro richiede lunghi viaggi in auto. E dove le opportunità di lavoro, soprattutto per quello più qualificato, scarseggiano.
Il calo demografico che interessa le Madonie è strettamente legato all’emigrazione dei più giovani, che lasciano il territorio per andare altrove alla ricerca di opportunità lavorative migliori o più adatte al proprio percorso di studi. Un fenomeno che aveva avuto inizio già negli anni Settanta, come evidenzia anche il documento Strategia d’area Madonie resilienti: laboratorio di futuro.
In quella fase storica, a trainare l’emigrazione interna era stata l’apertura dello stabilimento Fiat a Termini Imerese, che ha calamitato verso la costa «parte delle giovani generazioni provenienti da famiglie di contadini e di pastori, mentre un’altra parte di giovani emigrava verso il nord del Paese».