Ep. 3

La mobilità insostenibile

L’Italia è un paese completamente dipendente dalle automobili, che continua a investire su strade e autostrade, lasciando le briciole a interventi che puntano veramente a cambiare il sistema

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
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La mobilità si cambia dalla testa

Un sistema di trasporti sostenibile e giusto è possibile, ed è la base per ricostruire una società libera, accessibile e inclusiva per tuttə, basta volerlo politicamente.

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Si dice che nel 1896, quando Henry Ford finì di costruire il suo primo modello di quadriciclo a motore funzionante si trovava nel garage della sua casa, al numero 58 di Bagley Avenue, a Detroit. Dell’anedotto ci sono tante versioni. In una di queste si racconta che, quando Ford si accorse che il prototipo funzionava, ma anche che era troppo largo per uscire dal portone del piccolo garage, non si mise a smontarlo per adattarlo all’ambiente, ma tirò direttamente giù il muro del garage.

 

Una vicenda molto emblematica, che rappresenta in modo plastico e perfetto il rapporto che, a partire da quel giorno, l’automobile instaurò con il mondo: l’auto non si adatta alla realtà, la piega alle sue necessità, stravolge panorami, territori, centri urbani. Crea distanze che solo lei può colmare. Occupa spazio, tempo, risorse. Di più, come ogni monocultura, distrugge la diversity dello spostarsi e concetra su di se ogni cosa. In una parola, intossica. 

Un paese intossicato

Se ci fosse una classifica che registra i tassi di dipendenza dall’automobile, l’Italia, quanto meno tra i paesi europei, sarebbe certamente al vertice. La nostra dipendenza si misura prima di tutto sul rapporto tra auto circolanti e cittadinə — quasi 700 auto ogni 1000 abitanti, secondi in Europa dopo la Polonia. 

 

Possediamo (dati 2022) circa 39 milioni di auto. Come spazio occupato solo per parcheggiarle possiamo stimare quello di 75mila stadi di calcio, ma forse rende meglio l’idea pensare a circa 3 volte la superificie della città di Milano. Se ci aggungiamo le intrastrutture per muoverle, lo spazio dedicato alle auto aumenta ancora, perché in Italia, cenciste nel 2021, ci sono 840.000 km lineari di strade, che se di media sono larghe 10 metri occupano circa 8mila chilometri quadrati, di cu solo il 10 per cento è seriamente monitorato, secondo ANSFISA, l’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali. 

 

In tutto, le auto, in Italia, richiedono uno spazio esteso quanto l’Umbria, dunque, e sono vecchie, sempre di più. I dati parlano di una età media di 12 anni e mezzo, un valore che, a causa della crisi economica e dei prezzi sempre più alti della auto stesse — siamo arrivati a di 3mila 500 euro all’anno di spesa media in Italia — , sta ulteriormente salendo. Un valore, questo, che ha delle ripercussioni forti a sua volta sull’impatto ambientale, visto che la maggior parte di queste auto sono inferiori o uguali al livello Euro4. 

 

Auto vecchie e strade scarsamente manutenute, naturalmente, portano a una pericolosità molto elevata. E infatti sulle nostre strade muoiono ogni anno più di 3000 persone. 3159 nel 2022, il 19esimo dato peggiore in Europa.

Come si muovono gli italiani?

In un contesto del genere, la risposta a questa domanda è tanto ovvia quanto preoccupante: la maggioranza degli italiani si muove in automobile, 

 

Secondo un rapporto pubblicato dal Ministero dei trasporti nell’ottobre del 2022, «ogni giorno in Italia si spostano 38 milioni di persone; la maggior parte – ben il 70% – su distanze inferiori ai 50 km e per lo più con mezzi privati (60%). Anche per quel che riguarda la mobilità delle merci si registra una prevalenza di trasporto su gomma: secondo una stima, ogni giorno si spostano oltre 580 miliardi di tonnellate per chilometro, di cui l’88% viene trasportata su strada, il 9% via mare e il 3% tramite ferrovia. 

 

I treni non sono margnali solo per le merci, lo sono anche, purtroppo, per le persone. Secondo i dati di Opencoesione, «la quota di persone che hanno utilizzato il trasporto ferroviario almeno una volta nell’anno sul totale della popolazione oltre 14 anni nel 2022, è pari al 30,0%, di poco superiore a quanto registrato nell’anno 2005 (29,3%). Nelle 8 regioni del Mezzogiorno è pari al 21,6% nel 2022».

 

E se guardiamo a tutti i mezzi pubblici in generale le cose non vanno certo meglio. Si legge, sempre su Opencoesione che «la quota di utenti di mezzi pubblici rispetto al totale delle persone che in Italia si spostano con mezzi di trasporto per motivi di lavoro o di studio nel 2022, annualità influenzata dagli effetti della pandemia da Covid-19, è pari al 16,6%, rispetto al 19,7% registrato nel 2000. Nelle 8 regioni del Mezzogiorno è pari al 14,6% nel 2022».

 

Al netto della dipendenza dalle auto, c’è un altro dato che emerge molto chiaro: esiste un divario netto tra Nord e Sud de paese, un divario nell’uso che è poi solo l’esito naturale di un divario infrastrutturale molto forte.

A che servono i fondi europei?

In linea generale, su ognuno dei campi n cui agisce, la politica di coesione dell’Unione Europea è una politica di investimento volta a ridurre le disparità economiche e sociali tra le diverse regioni dell’UE e a promuovere uno sviluppo armonioso dell’intera Unione. E da questo punto di vista, la mobilità e i trasporti sono fondamentali. Per questo una delle aree più importanti di investimento all’interno della politica di coesione riguarda proprio la mobilità, con l’obiettivo di migliorare i sistemi di trasporto e la connettività tra le regioni, sia all’interno dei sistemi nazionali, sia a livello comunitario.

 

Su 256,3 miliardi di euro monitorati da Opencoesione e che riguardano i fondi di coesione (Fesr e FSE+) dal 2007 in poi, circa un terzo, il 33%, è stato investito in infrastrutture e progetti di mobilità. Dal 2007 ad oggi il valore di questi progetti monitorati e sostenuti dalle politiche di coesione nel settore trasporti e mobilità ha superato i 75 miliardi di euro di cui oltre 45 miliardi riguardano progetti finanziati nel periodo di programmazione 2014-2020.

Ma dove vanno tutti questi soldi?

Come abbiamo avuto modo di vedere quando abbiamo parlato dell’esperienza di CAMBIO, una rete immensa di ciclabili che connetteranno tutta la città metropolitana di Milano, o di quella di Olbia, in Sardegna, prima città con limite di 30km/h su tutto il proprio territorio, abbiamo scoperto come, quando si parla di mobilità alernativa alle auto, il problema non siano i soldi, anche perché rispetto alle grandi infrastrutture stradali, autostradali e ferroviare, queste innovazioni costano molto molto meno. 

 

E difatti, scorrendo la lista degli investimenti euroepi e degli attori che ne usufruiscono, questa disparità è palese: i primi 3 soggetti attuatori sono, in ordine di spesa, la RFI, Rete ferroviaria italiana S.p.a., l’ANAS, la società del Gruppo FS Italiane che si occupa di infrastrutture stradali; e il comune di Napoli, che li ha investiti sulla metropoliana.

Foto di copertina di Babak Habibi su Unsplash

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