Il turismo è un oggetto complesso
Prima della pandemia, il settore aveva raggiunto il suo picco anche grazie a fondi pubblici e risorse europee, con conseguenze che meritano qualche riflessione. Oltre i luoghi comuni.
L’impatto del turismo come industria, pratica culturale e politica e economica. Oltre i luoghi comuni.
«Gli abitanti di Camini hanno capito che lo sviluppo e il ripopolamento sono legati al progetto di accoglienza» afferma Rosario Zurzolo, presidente di Jungi Mundu. La Cooperativa ha recuperato numerose case vuote nel paese; adesso alcune sono abitate dalle famiglie migranti, altre sono affittate ai turisti. Negli spazi ristrutturati al piano terra hanno aperto una sartoria, un laboratorio di ceramica, una falegnameria, un forno, una scuola di tessitura e molte altre attività artigianali.
Poi ci sono tutte le attività che ruotano intorno all’accoglienza. «Non mi aspettavo questa crescita di Camini. Dal 2014 sono nati più di settanta bambini » racconta il sindaco. Sono per metà delle famiglie accolte e per metà dei giovani rimasti. «Questo ci ha permesso di esigere i nostri servizi essenziali». Nel 2018 l’ufficio postale di Camini avrebbe dovuto chiudere. Non solo è ancora aperto, ma da quest’anno ha anche un bancomat.
«Prima bisognava fare dodici chilometri per arrivare al bancomat e se quello era rotto bisognava andare a Roccella, a trenta chilometri di distanza».
La dignità del territorio dipende dai servizi fondamentali per la comunità, afferma il sindaco. «In tutta la Locride c’è un solo ospedale a un’ora di automobile. Ma è come se non ci fosse. A Camini farei un poliambulatorio, soprattutto per gli anziani. Metterei a disposizione gli spazi, ma chi sta sopra di me deve darmi una mano. Quando Roma fa la distribuzione dei fondi la Calabria prende sempre meno. Invece di dare di più a chi ha di meno, avviene il contrario» lamenta il sindaco.
Prima della pandemia il progetto di accoglienza di Jungi Mundu è cresciuto ancora con l’avvio di un percorso di turismo sostenibile, per ospitare turisti e volontari che vengono per partecipare al progetto di accoglienza e ai laboratori che si tengono nelle botteghe artigiane. Alcune delle case ristrutturate sono state così destinate all’ospitalità, creando un vero e proprio albergo diffuso all’interno del borgo. «L’idea dell’albergo diffuso è nata anche grazie al contatto con un’associazione londinese, Project Abroad, che organizza viaggi di volontari desiderosi di dare supporto nei centri di accoglienza in giro per il mondo» spiega Zurzolo.
La collaborazione con l’associazione inglese è cresciuta ma poi, con la stretta normativa introdotta dal Ministro dell’Interno e leader della Lega Matteo Salvini nel 2018, si è bloccato tutto. «Le richieste dei volontari sono crollate, non hanno più visto l’Italia come un Paese ospitale. Prima venivano da ogni parte del mondo. Ci si incontrava tutti quanti la sera nella piazzetta, era l’ombelico del mondo». Adesso, pian piano, l’accoglienza turistica sta ripartendo.
A Punta Stilo il mare è selvaggio, turchese e subito profondo. La spiaggia termina con un prato fiorito giallo e viola. Qui, nei primi anni del Novecento, l’archeologo Paolo Orsi scoprì i resti dell’antica colonia greca di Kaulon, fondata all’inizio del VII secolo a. C..
Vi è anche un tempio dorico di cui si possono vedere le fondamenta. A pochi metri dal mare, nel settembre 2012 l’archeologo Francesco Cuteri e la sua squadra di volontari hanno rinvenuto un mosaico pavimentale policromo ellenistico, il più grande in Magna Grecia, in quella che era una sala termale. Raffigura un drago, delfini e un ippocampo. Il drago, spiega Cuteri, protegge dal male. La scoperta eccezionale avvenne nell’ultimo giorno di scavi di quell’anno. La campagna di scavo era stata fatta senza finanziamenti pubblici.
La strada statale separa l’area archeologica dal Museo archeologico dell’Antica Kaulon, inaugurato ad aprile 2015.
Qui sono conservati gli splendidi manufatti e i reperti trovati nell’area archeologica, ma dopo appena sei anni il museo ha dovuto chiudere per lavori di manutenzione.
Il parco archeologico di Kaulon è uno dei numerosi progetti di valorizzazione culturale e turistica sostenuto con fondi europei. Il potenziamento dell’attrattività turistica dei luoghi è uno degli assi della politica di coesione economica,sociale e territoriale europea che mira a ridurre il divario fra le diverse regioni e a promuovere uno sviluppo territoriale equilibrato e sostenibile. I progetti ricevono finanziamenti attraverso diversi canali: il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), il Fondo sociale europeo (FSE, oggi FSE+) e il Fondo di coesione (che però non riguarda l’Italia). Secondo i dati OpenCoesione aggiornati al 31 dicembre 2021, nei due cicli di programmazione 2007-2013 e 2024-2020 in Italia risultano finanziati 30.807 interventi per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e naturale e per il sostegno all’attrattività turistica, per un costo pubblico di 16,1 miliardi di euro e pagamenti pari a 8,9 miliardi di euro.
Il ciclo di programmazione 2014-2020 sostiene anche la Strategia Nazionale dedicata alle aree interne (Snai), cioè «quei territori – in larga parte collinari e montani – che soffrono un calo demografico a causa di una dotazione carente di servizi essenziali e a una ridotta capacità di sviluppo territoriale».
La Snai, finanziata con fondi nazionali oltre che con fondi europei 2014-2020, ha individuato 72 aree di progetto e approvato le relative strategie; al 31 ottobre 2020 gli interventi programmati per aumentare l’attrattività turistica del patrimonio culturale e naturale di queste aree erano in tutto 196 pari al 18 per cento delle risorse che finanziano la strategia.
A volte, però, i fondi non bastano. «Dovremmo rientrare in un circuito, in un itinerario, per favorire un afflusso consistente di visitatori. La Cattolica di Stilo attira molti più turisti del museo archeologico e non riusciamo ancora a intercettarli» sostiene De Leo. La Cattolica è una piccola chiesa bizantina della fine del X secolo arroccata su un dirupo sopra il borgo di Stilo. Da qui si vede il mare. «È la chiesa simbolo della Calabria, la più antica che si sia conservata integralmente.
Era parte di un monastero di monaci ortodossi, ancora oggi presenti a Stilo e a Bivongi» racconta Cuteri. Fino a dieci anni fa la Cattolica attirava 80mila visitatori l’anno, ma il numero è poi calato, sostiene Cuteri. «È simbolicamente un luogo di contatti e di incontri: ci sono marmi dall’Oriente, dalla Grecia, da Carrara; e c’è il granito locale delle Serre». La chiesetta ha resistito nei secoli nonostante sorga su un dirupo, in un’area sismica, e sia stata a lungo abbandonata. È aperta ai visitatori dal lunedì al giovedì solo la mattina; «venerdì, sabato e festivi anche il pomeriggio. Siamo solo in tre e non riusciamo a coprire tutti i turni» dice il custode che ci accoglie all’ingresso.
Da qualche mese Cuteri è diventato il direttore di un piccolo museo di arte contemporanea a Bivongi, ai piedi del monte Consolino, dove inizia l’area della Serra San Bruno. Nell’ingresso del museo sono esposti alcuni dipinti che ritraggono il profilo del monte insieme ad alcuni simboli della cultura aborigena australiana. Sono opera di un artista aborigeno che è stato ospite del museo nel Duemila, racconta Elio Furina, il presidente del museo. Il museo è stato fondato nel 1988 da Angelina Melia, nata a Bivongi ma cresciuta in Australia.
«Siamo circondati di storia, ma di moderno qui non c’è niente. Così abbiamo pensato: creiamo qualcosa di moderno, anche per i giovani. Perché fare le cose importanti solo a Milano, a New York? Perché non a Bivongi?» racconta Furina. Il museo, che è dentro il sistema museale del Mibact, possiede numerose opere di artisti contemporanei. Cuteri le sta catalogando. «Adesso bisogna stabilire un legame più forte con la comunità locale» sostiene.
«I fattori di mutamento sociale in Calabria hanno sempre a che fare con un altrove, con l’andare da un’altra parte oppure con l’arrivo di qualcuno che viene da un’altra parte» scrive Giuliano Santoro nel libro Su Due Piedi, il racconto di un viaggio a piedi attraverso la Calabria. Così il turismo è spesso visto come un fenomeno che arrivando da fuori, perché qualcuno ce lo porta, può modificare le sorti della regione, dei borghi spopolati e dei paesi lontani da tutto. Il turismo è visto come un deus ex machina che può risolvere tutti i mali. Secondo Francesco Cuteri questa visione è sbagliata: senza gli abitanti non ci può essere turismo, sostiene.
«Non basta investire soldi per il turismo in questi luoghi. Bisogna che ci sia una comunità locale, e che questa abbia consapevolezza del valore del luogo. Solo dopo può subentrare un investimento economico» sostiene l’archeologo. «Non ci vuole un impianto turistico per chi arriva da fuori: le stesse cose che faccio per me, posso farle per chi arriva da fuori. Non bisogna trasformarsi per accogliere l’altro». Questo processo, quello di accogliere con consapevolezza, non è scontato. «È necessario che ci siano dei presidi culturali sul territorio, come il parco archeologico e il museo; se questi non funzionano, perché mancano le persone, non si va da nessuna parte. Allo stesso modo, il borgo diventa attrattivo se è abitato». In molti borghi le case sono state comprate e ristrutturate da stranieri. «Questo è importante per il patrimonio edilizio ma le case sono abitate un mese l’anno: il borgo non viene ripopolato. Bisogna cambiare le strategie per riabitare i paesi». L’albergo diffuso, da solo, non basta.
Nell’autunno del 1986 il vecchio bibliotecario di Badolato scrisse un articolo per il Tempo dal titolo provocatorio: “Badolato paese in vendita”. L’articolo fu tradotto dalla stampa tedesca e nei due anni successivi ci fu un via vai di curiosi nel paese in vendita. «Il bibliotecario fu tra i primi a intuire e denunciare il fenomeno dello spopolamento e di graduale abbandono dei piccoli paesi dell’entroterra» racconta Guerino Nisticò. Nisticò è membro dell’associazione di operatori turistici Riviera e Borghi degli Angeli, una rete di aziende locali del Basso Ionio calabrese.
Un altro evento ha segnato la storia del paese: lo sbarco nel 1997 di oltre ottocento curdi arrivati con la nave Ararat. Il sindaco di Badolato decise di accoglierli. «Vedendo tante case vuote, i curdi chiesero al sindaco di concedergliele per abitarle, così lui fece un appello ai cittadini, che gli consegnarono ottanta case. Badolato è stato il primo paese a sviluppare il modello di accoglienza diffusa» spiega Nisticò. Oggi sono trenta i migranti ospitati con un progetto di seconda accoglienza. «Qui c’è una piccola comunità multiculturale: ci sono cittadini autoctoni, stranieri del nord Europa e migranti accolti – soprattutto curdi, pachistani e afghani. Poi ci sono tanti stranieri che trascorrono le vacanze qua in bassa stagione. Ma è la gente del posto il fulcro di tutto». Gli sbarchi nella Locride continuano anche oggi; dall’inizio dell’anno ci sono stati otto sbarchi di profughi a Roccella Ionica.
Da Nicotera si vedono il mare e la pineta in cui sono immersi alcuni villaggi turistici chiusi da tempo. «Quelli Valtur sono falliti, e in ogni caso quel modello di turismo è ormai superato» dice Francesco Biacca. Biacca ha vissuto a Roma e Bologna, poi è tornato in Calabria. Ha fondato insieme a Danilo Messineo e ad altri Evermind, un’azienda che si occupa di sviluppo software, strategie digitali, percorsi di brand identity e smart working. Biacca ha lavorato a lungo nel mondo del marketing turistico e ha deciso di mettere le sue competenze al servizio di Nicotera. Qui sono nati due nuovi progetti: il Festival dell’Ospitalità, un raduno di operatori turistici con una visione nuova e sostenibile del turismo che si tiene ogni anno a settembre, e Destinazione Nicotera, per la promozione turistica del luogo.
Biacca non parla di turismo, ma di ospitalità. Il turismo è in evoluzione: è sempre più difficile distinguerlo dalla permanenza temporanea in un territorio per motivi come il lavoro da remoto, un tema su cui Biacca si sta interrogando. La sua associazione lavora per costruire un’esperienza basata sulle relazioni, che coinvolga la comunità locale e che la valorizzi a partire dalle sue storie. A Nicotera ha promosso la realizzazione di pannelli con le storie locali, disseminati nei vicoli del borgo.
Il borgo di Gerace ha un passato di splendore e un ricco patrimonio culturale. Era sede vescovile fino al trasferimento del vescovo a Locri, nel 1954. Oggi l’80 per cento delle case è disabitato. Il borgo è stato scelto per un finanziamento di venti milioni di euro stanziati con il cosiddetto bando Borghi per la «rigenerazione culturale, sociale ed economica dei Borghi a rischio abbandono e abbandonati». Il bando è finanziato con un miliardo di euro nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza – Pnrr. La linea A del bando finanzia 21 progetti pilota, un borgo per regione, con 420 milioni di euro. La linea B ha una dotazione finanziaria di 380 milioni di euro ed è finalizzata alla realizzazione di progetti in almeno 229 borghi storici. A differenza di altre regioni, in Calabria non c’è stata una manifestazione di interesse per la selezione dei progetti da presentare per la prima linea del bando: ha deciso la Regione.
Il progetto, redatto in venti giorni, prevede tra le altre cose la creazione di un albergo diffuso con la ristrutturazione di case private, finanziato con 7,7 milioni di euro. «Il progetto è vecchio, si basa su una vecchia manifestazione di interesse per case da destinare a un albergo diffuso, a cui risposero quindici persone» racconta il consigliere comunale di minoranza Luigi Scaramuzzino. «L’entità del finanziamento è molto discordante. E il comune non ha neanche le case».
Quando si saranno trovate, le abitazioni saranno ristrutturate con fondi pubblici ma poi date in gestione a un operatore privato con un comodato d’uso della durata di 20 anni. «Il target turistico è molto alto, si punta a un turismo di lusso, che spenderebbe circa 150 euro a notte a persona» sostiene Scaramuzzino. Tre milioni di euro finanzieranno un parcheggio multipiano e un sistema di trasporto verticale con ascensori per migliorare l’accessibilità del centro storico, raggiungibile in automobile. «Si prevede che i costi di manutenzione degli ascensori saranno coperti dagli introiti generati dall’aumento previsto di flussi turistici che pagheranno il biglietto per visitare il Duomo. L’aumento previsto è di 50mila presenze l’anno» spiega il consigliere.
Ma arrivare a Gerace non è né semplice né veloce, si tratta di far crescere il turismo puntando tutto su un’offerta di lusso, completamente da costruire e poco o per nulla connessa con il territorio circostante. Inoltre, nota il consigliere, il Piano di recupero del borgo – lo strumento urbanistico che definisce i criteri per il restauro del patrimonio – è datato. Nuovi criteri e regole non ci sono ancora. «Come si fa, senza un piano aggiornato, ad approvare otto milioni di euro di restauri?» domanda Scaramuzzino. Nell’area dove dovrebbe essere costruito il sistema di ascensori ci sono tre padiglioni di un ospedale, costato nove miliardi di lire, perfettamente funzionante, mai aperto.
«C’è un’enfasi acritica sul turismo come risorsa, come chiave per risollevare territori fragili» afferma Domenico Cersosimo, ordinario di economia regionale all’Università della Calabria. Insieme all’editore Carmine Donzelli, Cersosimo ha curato il “Manifesto per riabitare l’Italia”, frutto del lavoro di un gruppo composito di ricercatori, esperti e policy makers accomunati dall’idea di guardare e studiare l’Italia a partire dai margini, dai luoghi e dai ceti sociali marginalizzati da politiche urbanocentriche. Lo incontriamo nel suo ufficio nel campus universitario di Rende in un edificio in stile brutalistacon ariosi interni e una vista sul verde. «L’Italia, la Bella Italia, è considerata il Paese per eccellenza del turismo grazie ai suoi ‘giacimenti’ culturali. È una visione patrimonialistica, da cartolina, statica, del Paese. Nelle aree più marginali, più deboli in termini di risorse economiche e imprenditoriali, più fragili in generale, si punta sul turismo perché, in genere, è un settore a bassa barriera d’ingresso che non richiede particolari competenze tecnologiche e grandi capitali iniziali: basta un piccolo investimento per avviare un’attività turistica, cosa che non vale in altri settori economici. Ma il turismo in sé non è un settore trainante».
Il turismo in senso stretto è una componente piccola del sistema economico anche nelle aree a forte vocazione turistica, spiega Cersosimo. «Quello che determina l’impatto del turismo è la crescita dei settori annessi, a monte e a valle: sono i legami di filiera che determinano il valore turistico. È la densità territoriale di questi legami a determinare il successo turistico. Spesso invece il turismo attiva economie molto distanti, soprattutto nelle aree, come buona parte del Mezzogiorno, con matrici inter-industriali rarefatte e con molti vuoti produttivi.
Il vino, la carne, il pomodoro, il caffè, l’acqua minerale, per non parlare dei souvenir che i turisti consumano e acquistano in Calabria non sono prodotti in Calabria. «Bisognerebbe ragionare in una logica di filiera per attivare diversi settori e costruire una rete più compatta. Invece si ragiona per singoli investimenti puntiformi che non producono un tessuto, e dunque non producono impatti economici rilevanti» continua Cersosimo. Il turismo è un disegno di sviluppo, non un settore di sviluppo, spiega. «Si può fare il miglior pacchetto turistico possibile a Gerace, ma se non c’è un aeroporto, un sistema di trasporto per arrivarci, se non c’è una ferrovia dignitosa, come ci si arriva?».
Scegliere un comune e dargli venti milioni di euro non produce sviluppo: sono i servizi essenziali che innescano circuiti virtuosi, che sviluppano sistemi economici locali, spiega Cersosimo. «Ci vogliono politiche ordinarie nazionali, verticali, unite a politiche locali orizzontali. Lo sviluppo è una costruzione dal basso: sta nei fabbisogni, nella fantasia, nei desiderata delle persone che abitano il luogo. Solo a partire da questi si innescano meccanismi duraturi di sviluppo. Altrimenti siamo in una logica estrattiva, di cattura delle risorse a vantaggio di un gruppo, di un ceto, di alcuni, ma non della collettività. È uno sguardo miope quello che antepone i soldi al resto. Ma i soldi vengono dopo».
La Calabria soffre di un problema di incapacità di spesa dei fondi pubblici. Così da opportunità i fondi diventano un fattore depressivo. «C’è molta enfasi sui fondi strutturali, ma il mancato impatto sul territorio genera delusione» spiega Cersosimo. Il Programma Operativo Regionale (POR) 2014-2020 della Calabria, finanziato con fondi della politica di coesione Ue, ha una dotazione di circa quattro miliardi di euro. «Due miliardi circa sono stati riconsegnati per incapacità di spesa, e dei due miliardi restanti la Regione ne ha speso un terzo. Ma di questo terzo la metà sono ‘progetti sponda’». I fondi stanziati con la programmazione 2014-2020 andavano infatti impegnati entro il 2020, con la possibilità di certificare la spesa entro i tre anni successivi.
I ‘progetti sponda’, definiti ufficialmente ‘progetti retrospettivi’, sono progetti già realizzati che la Regione rendiconta al posto dei progetti non realizzati per non perdere i fondi. L’utilizzo di progetti retrospettivi in fase di rendicontazione è stato approvato dalla Commissione europea. «Il Rapporto finale di esecuzione del POR Calabria riporta un’incidenza dei progetti retrospettivi per complessivi 871,6 milioni pari al 44 per cento della dotazione finanziaria complessiva» per oltre 2mila progetti, si legge a proposito della programmazione 2007-2013 in un rapporto della Corte dei Conti.
L’uso di progetti retrospettivi libera i fondi impegnati ma non spesi a valere su altre fonti di finanziamento. Ma secondo un recente documento della Corte dei Conti «il vincolo di utilizzo a fini di sviluppo è difficilmente tracciabile. Senza contare che, anche nei casi in cui tale vincolo sia rispettato, anche i progetti retrospettivi finiscono per posticipare nel tempo l’impatto macroeconomico atteso dai Fondi per la coesione». L’impatto economico, insomma, è nullo.
Il ricorso ai progetti retrospettivi inoltre solleva dubbi sull’effettivo rispetto del principio di addizionalità: i fondi europei dovrebbero infatti essere aggiuntivi, non sostitutivi di quelli ordinari. «Invece si finisce per finanziare interventi ordinari come strade, marciapiedi, ma anche corsi di formazione, e via dicendo, con i fondi europei, senza una connessione tra spesa ordinaria e spesa aggiuntiva», spiega Cersosimo. Il professore fa un esempio: «magari si finanzia un progetto turistico con fondi europei ma poi mancano i servizi essenziali, da finanziare con fondi ordinari. Bisognerebbe distinguere bene tra programmi ordinari e aggiuntivi e poi coordinare gli interventi».
Nello scenario attuale, quindi, i fondi per la politica di coesione producono un effetto depressivo: «si crea una grande aspettativa che poi non viene mantenuta. I ragazzi non capiscono perché si annunciano i fondi e poi nulla cambia. Diventa una depressione collettiva, sociale» conclude Cersosimo. La Corte dei Conti esprime un giudizio pesantissimo sulla politica di coesione in Italia a causa della grande differenza di spesa tra le regioni: «La (paradossale) conseguenza di ciò è che decenni di politiche di coesione non sembrano avere sortito, in Italia, gli effetti per i quali esse sono state ideate, cioè ridurre il divario tra le aree più sviluppate e quelle meno sviluppate. Se ciò è senz’altro avvenuto in alcune aree e in alcuni ambiti, nella maggior parte dei casi tale divario si è addirittura ampliato».
Le politiche nazionali non sono differenziate in base alle esigenze di territori molti diversi tra loro. I bandi sono pensati per le città metropolitane ma i piccoli comuni, soprattutto quelli nelle aree interne del Paese, non hanno il personale e le competenze necessarie per progettare e spendere bene le risorse. Una delle soluzioni è fare rete. Ma non sempre questo è possibile: il bando borghi, per esempio, ammetteva proposte presentate da massimo tre comuni congiuntamente.
Secondo Cersosimo, bisogna ripartire dalla dotazione di servizi essenziali. «I servizi, oltre a garantire cittadinanza, producono reddito. Su meno di due milioni di abitanti in Calabria, 750 mila sono pensionati; intorno ai loro bisogni, a partire da una domanda locale, può nascere un’economia». Si sarebbe potuto, per esempio, rimettere a nuovo l’ospedale di Gerace che, se aperto, potrebbe mettere in moto un’economia locale importante. Che però, ancora, non esiste. Il Pubblico, infatti, ha rinunciato a fare investimenti nel lungo periodo in settori come la sanità che nel breve periodo non producono un utile. Al contrario, continua a puntare sul turismo.
L’impatto del turismo come industria, pratica culturale e politica e economica. Oltre i luoghi comuni.
Prima della pandemia, il settore aveva raggiunto il suo picco anche grazie a fondi pubblici e risorse europee, con conseguenze che meritano qualche riflessione. Oltre i luoghi comuni.
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