La moda del consumismo
Ha senso parlare di moda in una situazione di emergenza? Esiste un nesso tra moda e pandemia?
Perché dovrei comprare vestiti usati quando allo stesso prezzo posso averli nuovi?
La moda è un’industria e come tutte le industrie ha al suo interno tante anime diverse.
«Un giorno entra in negozio una signora e mi chiede: “Cosa vendete?”. “Abiti usati e attrezzature per bambini”. “Abiti usati?!? No no, per carità!”, ed è uscita senza nemmeno salutare». Alessandra, commessa con un’esperienza decennale in un negozio dell’usato per bimbi, mi racconta divertita l’aneddoto. Non importa se sulle relle sono appesi vestiti in ottimo stato o ancora con il cartellino: il fatto che siano capi usati per molti consumatori è un deterrente che supera di gran lunga il rispetto per l’ambiente. La diffidenza rispetto all’abbigliamento di seconda mano non è tanto generazionale, quanto una forma mentis difficile da scardinare. Il consumismo sfrenato e il fast fashion ci hanno abituato ad avere tutto, subito e a poco prezzo. Perché dovrei comprare vestiti usati quando allo stesso prezzo posso averli nuovi? È la domanda che mi pone più spesso mia mamma, boomer doc, mentre guarda disgustata i capi usati che compro per me e i miei bambini.
La buona notizia è che lo scetticismo sta lasciando sempre più spazio a una cultura del riuso a 360 gradi. Secondo una ricerca realizzata da GlobalData, società specializzata nell’analisi del settore retail, e diffusi da Cnbc, le vendite del second hand non sono mai state così alte: solo negli Stati Uniti il mercato dell’abbigliamento usato ha raggiunto un valore di 24 miliardi di dollari nel 2018. Il merito va anche a piattaforme online come Depop o Vestiare Collective, dove si può vendere e acquistare capi usati con molta facilità. Il primo è un marketplace in cui la vendita e l’acquisto sono gestiti direttamente dagli utenti, il secondo è una piattaforma di vendita e acquisto di capi vintage e di lusso. O come Armadioverde, una realtà italiana che basa il suo business sull’economia circolare tramite la vendita di capi e accessori usati. Anche Facebook con il suo Market si è dovuto adeguare alla sempre più crescente richiesta di vendita dell’usato, e non parliamo solo di abbigliamento. Insomma, gli interlocutori di questo mercato sono start-up, piccole e grandi aziende, big media e gli stessi consumatori. Sempre più persone hanno abbassato le difese e limitato i pregiudizi, ma è necessario che questa tendenza coinvolga la maggior parte dei consumatori. Perché la fruizione dell’abbigliamento usato è così importante nel 2020? Come funzionano la vendita e l’acquisto del second hand? È proprio di questo che parleremo.
Il mercato dell’usato offre molte possibilità, in primis quella di spendere poco (esattamente come la fast fashion), di guadagnare e di ridurre i rifiuti tessili. Quest’ultima è l’azione più importante per contenere gli effetti negativi dei nostri acquisti sull’ambiente. Secondo un rapporto della Ellen McArthur Foundation, nel periodo che va dal 2000 al 2015 la popolazione mondiale è aumentata di un quinto e la produzione di abbigliamento è raddoppiata, soprattutto con l’avvento della fast fashion. Globalmente un capo viene indossato in media tre volte in meno rispetto solo a vent’anni fa. Metà degli italiani compra più abiti del necessario, secondo Greenpeace. Ma non c’è bisogno di una statistica a conferma dell’esperienza empirica: ognuno di noi possiede molti più capi di quanto ne abbia realmente bisogno. E nonostante ciò, continua a comprarne di nuovi. Le conseguenze per l’ambiente e l’uomo sono disastrose: le fibre naturali come il cotone, la lana e il lino si decompongono lentamente. Quando sono abbandonate nelle discariche rilasciano metano, un gas serra con un potenziale di riscaldamento 25 volte superiore all’anidride carbonica. D’altro canto le fibre sintetiche, che derivano dalla plastica, non sono biodegradabili e ci mettono centinaia di anni a decomporsi.
È necessario un cambio di paradigma e pensare ai vestiti come la carta o la plastica che differenziamo ogni giorno. Quando pensiamo alla raccolta differenziata, infatti, pensiamo agli oggetti di uso quotidiano ma non pensiamo che gli indumenti hanno un peso enorme per l’ambiente. Prima di buttarli nei cassonetti o gettarli in discarica, chiediamoci se possano avere una seconda vita: più si allunga la vita di un capo, meno si contribuisce all’inquinamento. È anche una questione etica, dare il giusto valore a un capo significa sfruttarlo e usarlo il più possibile. Pensiamo allo spreco di cibo: il senso comune ci spinge a ridurlo il più possibile, perché buttare il cibo “è peccato” dalla notte dei tempi.
La durata di un capo è strettamente correlata al concetto di sostenibilità. Lo spiega bene Kate Fletcher, in Moda, design e sostenibilità: “I materiali e i prodotti resilienti sono potenzialmente in grado di allungare la vita utile dei prodotti. La maggiore durata ci offre a sua volta maggiori opportunità di sfruttare l’utilità di un prodotto. Se si amplia il potenziale di soddisfazione di capi esistenti, non si sentirà la necessità di acquistarne di nuovi. Si prevengono nuovi consumi, si risparmiano risorse, si riducono gli scarti, si soddisfano le necessità”.
Sebbene alcuni addetti ai lavori sostengano che il mercato dell’abbigliamento usato sia oberato e non possa ampliarsi all’infinito, di fatto rimane uno dei modi più sostenibili per vestirsi. È anche la conclusione di Elizabeth Cline, che sulla moda sostenibile ha scritto due libri: “Indossare ciò che si ha già nell’armadio è il modo più sostenibile di vestirsi”.
Per chi non avesse mai provato a ad acquistare un capo usato ci sono delle regole da cui non si può prescindere. La prima è che ogni tipo di capo deve essere in ottimo stato, pulito e privo di difetti evidenti. Questo aumenterà le possibilità di essere venduto e su molte piattaforme permette di acquisire credibilità come venditori. Come fare per allungare la vita dei propri capi? Con pochi accorgimenti.
Oramai esiste un negozio dell’usato in ogni città. Ci sono luoghi dove è più sviluppato il mercato del second-hand, e altri in cui è una realtà commerciale alla stregua dei negozi d’abbigliamento tradizionali. Esistono franchising (che vendono anche online), vere e proprie boutique del vintage, mercatini con intere sezioni dedicate agli accessori e alle scarpe, bancarelle al mercato che vendono abiti usati a 3 euro. Le possibilità sono molteplici e tutte accessibili. Chi non può andare fisicamente in un negozio può acquistare online.
Quando si compra è necessario imparare a sviluppare un occhio esperto: verificare le cuciture, le zip, la silhouette dell’abito, i materiali, eventuali difetti. In generale, la prima cosa da verificare è l’usura, come mi spiega Maddalena, titolare de L’Antina, un negozio di abbigliamento usato di Vigevano: «Il livello di usura incide sia per l’acquirente che per il venditore, anche se il prezzo del capo è basso (e per me l’abbigliamento usato dovrebbe sempre esserlo). Mi capita di esporre in negozio anche articoli con dei piccoli difetti: la micro macchia in una posizione che non dà nessun fastidio, la micro scucitura che però una mano abile può sistemare. In questo caso faccio in modo che il prezzo ne tenga conto, con l’idea che un capo con queste caratteristiche e questi difetti non è detto che abbia già esaurito le proprie possibilità, può essere semplicemente che abbia bisogno di essere adottato da chi è in grado di metterlo a posto».
Perché dare agli abiti una seconda possibilità significa proprio questo, adottare un capo che è stato abbandonato, farlo proprio, amarlo. Per gli amanti dei film d’animazione non può sfuggire il parallelismo con la saga di Toy Story, dove i giocattoli assolvono allo stesso compito dei vestiti: si occupano di consolare, divertire, scaldare i cuori dei bambini a cui appartengono, per poi essere abbandonati nella migliore delle ipotesi in soffitta o in uno scatolone. Spesso però succede che i giocattoli vengano donati, trovati o regalati ad altri bambini, che felici li rendono protagonisti dei loro giochi. E i giocattoli riacquistano vita. Così, in un ciclo infinito e circolare. Esattamente come dovrebbe essere per i vestiti.
Dicevamo dell’usura, che è sicuramente il primo difetto per la valutazione di un capo. Come si può valutare la qualità di un articolo quando si compra online? Di base, i marketplace offrono sempre standard qualitativi elevati, ma se ci si accorge di un difetto sostanziale solo all’arrivo della merce si può restituire il capo entro 14 giorni dalla consegna. Non sempre i resi sono gratuiti, va detto.
Altre peculiarità di un buon indumento di seconda mano sono «la composizione del tessuto [un capo 100% lana vale più di uno in acrilico, ndr] e la presenza di difetti evidenti oppure difetti che possono essere sistemati. Poi faccio un ragionamento da negoziante, e quindi mi chiedo se nell’assortimento che già ho possa inserirsi in modo coerente”, mi dice Maddalena. Una valutazione che dovrebbe essere adottata da tutti i consumatori: capire se il capo che si sta acquistando si abbina ai capi che già possediamo o se rispecchia il nostro stile. Quando si parla di acquisti intelligenti, si intende proprio questo. Frenare l’impulso agli acquisti irrazionali o dettati dalla moda del momento.
Quanto conta, invece, il marchio famoso nel second hand? Dipende dal negoziante. In generale, il capo griffato è sempre il più richiesto, anche se il capo in sé non è in ottime condizioni. Anzi, spesso accade che per una borsa Louis Vuitton usata e malconcia si trovi subito un acquirente, per il solo fatto che si tratta di una borsa marchiata Louis Vuitton. «Personalmente non faccio questa distinzione, non guardo le marche: per me l’usato è tutto uguale. Di solito chi viene in negozio per vendere un capo firmato me lo fa notare, immaginando che questo possa essere un valore aggiunto, ma per me non lo è. Quindi da me la marca famosa non ha successo. Però ci sono negozi con sezioni di usato firmato con prezzi più alti. Se uno è abituato a fruire capi di un certo tipo, non è detto che abbia fortuna in tutti i mercati dell’usato». Come mi conferma Maddalena, esistono vari segmenti del mercato second hand. Non tutti i negozi e i mercatini dell’usato sono uguali, serve conoscere il mercato per capire come vendere e comprare meglio. In una parola, serve ottimizzare. Per evitare di buttare sempre più capi nelle discariche, per far girare sempre più abiti, per ridurre gli sprechi.
La moda è un’industria e come tutte le industrie ha al suo interno tante anime diverse.
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Ogni secondo, un camion colmo di vestiti si svuota in un’enorme discarica a cielo aperto.
Una delle prime cose che ho imparato da mia figlia è che salute e abbigliamento sono strettamente correlati.
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