Inverno/primavera
Perché continuiamo a salvare un modello di economia, di produzione e di agricoltura che ci sta distruggendo?
Riguardare con uno sguardo innovativo aumentato, che mette insieme anche la possibilità tecnologica
Un nuovo modello di agricoltura e di economia sostenibile che tiene insieme memoria e futuro, ambiente e uomo, dando valore alle persone, al suolo e al cibo sano.
Salutiamo l’estate e la mietitura.
Il nostro viaggio iniziato in primavera durante la pandemia non si è ancora concluso.
Abbiamo deciso di seguire il ciclo vitale del grano, osservando da vicino le fatiche e le difficoltà di chi prova a immaginarsi e già pratica un altro tipo di agricoltura e di economia. Spesso, infatti, quando si parla di agricoltura sostenibile, di biodinamica o di altre forme di economia, le critiche e i commenti più frequenti sono legate alla questione economica.
Questo modello può offrire sostenibilità a chi la pratica? E può essere accessibile a tutti? La risposta ci arriva dalle parole di Ivan di Palma e di Mimmo de Martino alla fine di una riunione tra i soci della cooperativa.
La risposta certamente non è univoca. Ciò che queste persone stanno provando a fare, a partire dai grani, è immaginarsi un sistema completamente diverso da quello attuale dove il profitto non è l’unico elemento su cui costruire le imprese. Anzi. Monte Frumentario – Terra di Resilienza, prima di essere impresa e cooperativa economica è innanzitutto una comunità. E non è un caso che essa affondi le sue radici proprio nell’antico istituto dei monti frumentari, nati alla fine del XV secolo come enti mutualistici per prestare ai contadini più poveri il grano per la semina con un minimo interesse sulle derrate prestate. I contadini, afflitti costantemente da penurie e carestie, spesso erano costretti a mangiare anche quello che doveva essere riservato alla semina e l’ente costituiva una forma essenziale di sostegno per molte famiglie. Con l’unità d’Italia e la modernizzazione, i Monti Frumentari furono aboliti a favore dei consorzi agrari. A partire dalla memoria del passato, la cooperativa sta provando ad innovare e ad avviare nuove forme di impresa basate sulla solidarietà, la sostenibilità ambientale ed economica.
Il processo non è affatto facile ma, come spiega Ivan Di Palma, è necessario un cambiamento di paradigma. «Il valore e il disvalore di un prodotto dovrebbe essere misurato a 360 gradi. L’agricoltura praticata in montagna o nelle aree più interne non si può misurare solo con il valore economico del prezzo. In questo caso il prezzo è molto limitante perché non considera il ruolo degli agricoltori di montagna nella protezione dei suoli, nella prevenzione di frane, smottamenti e alluvioni. Al contrario, il prezzo di vendita di una pasta commerciale a 0,60 centesimi, fatta con il grano canadese cresciuto con il glifosato non considera tutte le esternalità negative, ovvero l’aumento dei diabetici, le emissioni di CO2 per trasportare il grano dal Canada, l’impatto della monocultura e dei concimi chimici sui suoli. Questi costi chi li paga?».
Ancora una volta, da nord a sud Italia, ci troviamo di fronte alla stessa domanda. Chi li paga i costi ambientali e sociali di questo sistema agro-industriale? Dobbiamo chiudere il ciclo del grano per avere una risposta. Abbiamo iniziato questo viaggio quando il grano era ancora basso, l’abbiamo ascoltato tintinnare e morire d’estate.
Divenire farina sana e preziosa in un mulino a pietra. Adesso è tempo di annusarne il sapore e osservare la sua trasformazione in pezzo sacro dell’umanità: il pane.
Dal Vallo di Diano ci spostiamo di un centinaio di chilometri a nord, a Calvanico, in una casa colonica immersa nel verde. Si chiama Residenza Rurale l’Incartata ed è qui che incontriamo altri due soci della cooperativa: Michele Sica e Vincenzo Bardascino. Da quasi cinque anni, questi due uomini speciali hanno un appuntamento settimanale: il forno di Vincenzo. Molto più di un forno e di un’impresa. Un progetto di panificazione di comunità e di inclusione sociale con lievito madre, farine dei grani della cooperativa per sfornare un pane basato su un nuovo modello socio-economico che mette al centro la persona, la sostenibilità, il sostegno alla biodiversità e all’autosufficienza.
Il forno di Vincenzo è una sperimentazione sociale che rimodula welfare e criteri assistenziali, sottolineando un nuovo modello di protagonismo attivo e autodeterminazione delle persone con disabilità.
Vincenzo, infatti, è un ragazzo di 29 anni affetto da sindrome di X Fragile, una malattia genetica rara che causa disturbi simili all’autismo. Fin da piccolo, Vincenzo inizia ad appassionarsi al forno a legna, al pane e alle pizze, grazie a nonno Vincenzo, a nonna Carmelina e al sostegno di una famiglia straordinaria. Dopo un po’ di tempo, Angelo Avagliano, altro cumpare di Monte Frumentario-Terra di Resilienza gli regala 80 kg di semi di Carosella che inizia a coltivare insieme al nonno. Nasce così il progetto “la farina di Vincenzo” che, nel 2016, insieme a Michele Sica diventa “il forno di Vincenzo”. E che presto aprirà i battenti come primo forno sociale di comunità a Eboli.
Il “Forno di Vincenzo”, tuttavia, non è solo un luogo ma un’opportunità per Vincenzo e per la comunità che gli sta intorno perché è la sperimentazione di un nuovo sistema di welfare che supera l’approccio assistenzialista e crea un’occasione di autonomia sociale ed economica. Vincenzo non è l’unico socio svantaggiato della cooperativa Monte Frumentario. Negli anni, quest’organizzazione economica e sociale, aperta e indipendente, con cui i contadini si scambiano le sementi per assicurarsi una produzione di grano sano e locale, ha coinvolto decine di persone svantaggiate o affetti da dipendenze, producendo degli impatti enormi sulla società.
E a proposito di sostenibilità economica e ambientale, che impatti hanno quelle forme di economia che sono inclusive, solidali e sostenibili? Ce lo spiega Michele Sica impegnato insieme a Vincenzo Bardascino in questo magico processo che trasforma la farina in pane.
Questi imprenditori sociali stanno già gestendo le risorse naturali* in modo intelligente perché portano avanti delle imprese che coniugano sostenibilità, profitto e biodiversità umana e naturale, incarnando un’alternativa, uno dei possibili modelli di “impresa del futuro”.
E a proposito di risorse naturali, questo tipo di agricoltura è sostenibile anche nell’uso delle risorse come l’acqua. I miscugli, infatti, composti da semi diversi si adattano alle condizioni del terreno e dell’ambiente e alla presenza di acqua.
Sulla questione:
http://www.fao.org/3/bt149e/bt149e.pdf
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2589004220310129
Ancora una volta sono le parole di Antonio Pellegrino a restituirci la visione di questo percorso che si sta compiendo nel meridione d’Italia. «Questo pezzo di Appennino è la spina dorsale, l’osso d’Italia, che non ha avuto pressioni demografiche o industriali, in cui esistono e resistono ancora legami comunitari e suoli vergini, una biodiversità umana e vegetale straordinaria. Questi contesti rurali possono svolgere un grande ruolo politico, offrendo un modello di rinascimento ecologico della società. Noi non stiamo buttando la modernità, né auspicando che il passato ritorni. Noi siamo convinti che le memorie di questi territori debbano essere abilitate e innovate in un’era dove abbiamo la necessità di sviluppare un’ecologia dentro e di farla nascere proprio come un momento dell’umanità».
C’è bisogno di visione e di coraggio per immaginare e costruire altri percorsi che possano tracciare la strada del futuro. I protagonisti di questa storia non sono gli unici a farlo. In tutta Italia ci sono imprese e cooperative sane e visionarie ma il percorso intrapreso da queste persone nel meridione segna indubbiamente una rottura con il passato. Non più nostalgia, vittimismo e senso di inferiorità ma un nuovo percorso di protagonismo meridionale. Come? Con il mutualismo, con l’affidamento dei semi ai compari che fanno parte della rete, con l’auto-organizzazione di azioni politiche collettive. Con l’ecologia che diventa fondamento di nuovi modelli di economia. E il ritorno delle persone.
Lo spiega Alex Giordano professore presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Federico II di Napoli, uno dei principali esperti di innovazione sociale e trasformazione digitale e co-fondatore di Rural Hack, un progetto che studia, elabora e sperimenta un modello mediterraneo, attraverso l’innovazione sociale, l’agricoltura di qualità e le comunità rurali.
RuralHack realizza progetti che tengono insieme l’innovazione sociale con l’agricoltura di qualità per la riattivazioni delle comunità rurali in armonia con gli strumenti dell’innovazione digitale
Un nuovo modello di agricoltura e di economia sostenibile che tiene insieme memoria e futuro, ambiente e uomo, dando valore alle persone, al suolo e al cibo sano.
Perché continuiamo a salvare un modello di economia, di produzione e di agricoltura che ci sta distruggendo?
Dalle Mesopotamia al Cilento, biodiversità naturale e umana
Riguardare con uno sguardo innovativo aumentato, che mette insieme anche la possibilità tecnologica
Vista dall’estero è un modello, un caso di studio e un vanto per la città di Milano, solo che vista da Milano praticamente non esiste
Quasi soltanto a parole, o in qualche report finanziato da progetti europei. Nella realtà le cose sono ancora molto indietro
È un progetto italiano finanziato dall’Europa, mette insieme AI, analisi dei dati e progettazione urbana ed è già a disposizione del Comune di Milano