Ep. 03

I pescatori

Fare i pescatori a Lampedusa non è semplice, tra i migranti che arrivano e i banchi di pesca che si rimpiccioliscono.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
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Greetings from Lampedusa

I cittadini, i migranti, i pescatori: i personaggi e i luoghi di un’isola divenuta suo malgrado un simbolo

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Si dice che quando c’è un naufragio non si vende più il pesce a Lampedusa, perchè in quei giorni si sa cosa mangiano i pesci. Si dice i pescatori che non recuperino più i corpi per non rischiare di avere la barca sequestrata. E poi c’è la lotta costante con i pescherecci tunisini che, dicono, entrano dentro le 12 miglia di competenza italiane e nessuno fa niente. Magari vengono accompagnati più al largo dalla Guardia Costiera ma quelli, dopo che le autorità se ne sono andate, tornano indietro.

Si pesca di tutto a Lampedusa, dall’aragosta al pesce spada, anche se il pesce tipico è lo sgombro. Solo cozze e vongole non ci sono e arrivano con il traghetto da Porto Empedocle. Fare i pescatori a Lampedusa non è semplice, tra i migranti che arrivano e i banchi di pesca che si rimpiccioliscono. Ma una cosa è sicura nessuno di loro lascerebbe mai dei naufraghi in mare, questo lo ripetono tutti. E tutti si ricordano del 3 ottobre 2013: «C’eravamo tutti, pescatori e barche da turismo».

Quella notte terribile furono 155 le persone salvate, 366 i corpi recuperati e si stima una ventina di dispersi. Quella notte anche l’Europa disse ‘mai più’. Ma si sa come vanno a finire i mai più della storia.

«Ci sta ‘a picciotta che fa sta cosa co’ tucchi» . Romina dell’Hotel Belvedere è figlia di pescatori, suo marito era pescatore a strascico e figlio di pescatori anche lui. Da qualche anno hanno deciso di lasciare il mestiere di famiglia per buttarsi sul turismo, come tanti. «Tanto i figli non ci pensano nemmeno a fare i pescatori» si giustifica lei.

Mentre telefona ai suoi cumpari per eventuali interviste mi chiama picciotta con mia grande gioia, mentre i «tucchi» (turchi) sono tutti gli stranieri, senza nazionalità di sorta. Sono i giorni subito dopo il naufragio del 7 ottobre. All’Hotel di Romina passano vari colleghi del marito. Uno di questi è sull’unico peschereccio con il sonar dell’isola, è una settimana che cercano il relitto ma chissà dove è stato trascinato, dice il pescatore, con questo mare mosso può essere arrivato anche a parecchie miglia di distanza. «A mio marito quando andava per mare capitava di trovare delle cose dei migranti – racconta Romina – vestiti, documenti e a volte anche resti di persone, come quella volta che ha trovato un teschio».

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Pescherecci, Porto di Lampedusa. Ottobre 2019.

Il mare di fronte a Lampedusa è questo: restituisce pesci e uomini. Giovanni, il cumpare di Romina con una faccia tonda ed abbronzata, quando non è in mare è sulla barca a sbrogliare le reti per essere pronto a ripartire. Lui pesca con la rete di posta a tramaglio con la quale prende aragoste e altri tipi di pesci, la lascia la sera e la riprende la mattina alle 5.

Giovanni è di poche parole ma ci tiene a mostrarci sul telefonino una foto di poco tempo fa. Una barca strapiena di persone, prevalentemente subsahariane. Indica i bambini. «Erano in quaranta su un barchino di sette metri tutto scoperto con due motori fuori bordo – racconta – Era l’alba, stavo andando a raccogliere le reti, e ho visto una luce un po’ più lontano. Ho pensato ‘andiamo a vedere cosa c’è‘, sono uscito di un miglio e ho visto la barca con le persone. Mi sono preoccupato perché c’erano donne anche in stato interessante e bambini. Tra l’altro non avrei dovuto essere lì perché eravamo a 7 miglia dalla costa e io ho la licenza solo fino alle sei miglia e c’era il rischio che la Guardia Costiera mi facesse la multa. Ma quando ho visto i bambini ho pensato ‘succeda quel che deve succedere’ e ho chiamato la capitaneria». «Alla fine non ho fatto niente», conclude Giovanni.

Sono arrivate la Guardia Costiera e la Guardia di Finanza, hanno recuperato le persone e affondato la barca. Ci sono circa 50 pescherecci di vario tipo a Lampedusa riuniti sotto il Consorzio dei Pescatori di Lampedusa il cui presidente è il sindaco, Totò Martello. Secondo Martello l’economia della pesca pesa per il 30% nella vita di Lampedusa: «Si parla di 300 famiglie» precisa. Pesca che è messa a dura prova tra le altre cose dall’aggressività di pescherecci stranieri.

«C’è una diminuzione delle catture perché il nostro mare è ormai invaso da imbarcazioni che vengono da paesi rivieraschi, mi riferisco alla Tunisia, che ha la marineria più grossa del Mediterraneo. Ci sono barche che vengono da Cipro, dall’Egitto dalla Libia, dal Marocco. Vengono a pescare nei nostri banchi di pesca a volte anche all’interno delle nostre 12 miglia. Nessuno fa niente per fermarli, mentre se un nostro pescatore si avvicina alla Tunisia gli sequestrano la nave».

La ‘guerra del pesce’ torna alle cronache ogni volta che succede un episodio eclatante, in realtà. Come il sequestro nel 2017 del peschereccio Anna Madre di Mazara del Vallo che suscitò l’indignazione generale e fece dire al presidente del Distretto della Pesca di Mazara del Vallo Giovanni Tumbiolo che negli ultimi 50 anni la guerra del pesce tra Italia e paesi del Nord Africa era costata al nostro paese 90 milioni di euro di danni, 300 tra fermi e sequestri di pescherecci e addirittura 27 feriti e 3 morti.

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Secondo gli oppositori, però, nelle ultime elezioni il sindaco-pescatore ha vinto anche perché ha promesso indennità ai pescatori proprio per l’arrivo dei migranti. «E’ dal 1993 che le motovedette della Capitaneria dei porto e della Guardia di Finanza affondano le barche con cui vengono i migranti, vicino ai nostri banchi di pesca – spiega a Slow News il sindaco – tutti i pescatori di Lampedusa hanno le reti tagliate perché si impigliano a volte su un’elica o sul motore di un relitto. Stiamo parlando di centinaia di barche affondate a partire dal 1993. Io questa la chiamo una calamità, ma ne’ il governo ne’ l’Unione europea ce la riconoscono. Perché a loro quello che succede in mare non interessa».

«La settimana scorsa sono andato in mare e mi si è impigliata la rete. L’ho dovuta buttare, sono 3-4 mila euro di danni». Salvatore Maggiore, che ha una barca per la pesca a strascico, conferma le istanze del sindaco. Pare che siano centinaia i relitti attorno a Lampedusa e a Lampione e non tutti segnalati sulle mappe. E poi ci sono gli avvistamenti dei barchini «Quando è bel tempo – racconta a Slow News Salvatore – capita che arrivino anche 2 o 3 volte a settimana. Se li troviamo in mare dobbiamo chiamare la Capitaneria di porto e aspettare le autorità». Certo c’è quell’oretta che si perde mentre aspetti «ma noi sappiamo bene cosa vuol dire trovasi in mare, non li lasceremmo mai così. Poi quando ci sono donne e bambini è brutto».

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Porto nuovo di Lampedusa. Ottobre 2019.

E i pescatori che ne pensano di questi arrivi? «È dal ‘93 che arrivano – risponde Salvatore – siamo abituati. Ma soprattutto sappiamo benissimo che sono di passaggio, non è che restano a Lampedusa vogliono andare in Europa». E che ne pensa delle voci sui pescatori che non recuperano più i corpi per paura del sequestro del mezzo? Salvatore Maggiore nega decisamente «Scherzi? E’ peccato a Dio non recuperare un morto! Certo che li tiriamo su. Ma ti assicuro che aprire la rete e trovarci un essere umano invece che i pesci è terribile».

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