Le soluzioni degli altri
Venezia è unica. Ma non è l’unica. E non è sola.
A Firenze un progetto di rigenerazione urbana finanziato con fondi di coesione Ue, metterà a disposizione 18 appartamenti per l’accoglienza temporanea di famiglie in difficoltà. Ma nel capoluogo toscano il problema è ampio e radicato: le persone che fanno fatica a permettersi una casa sono sempre di più
A Firenze nei primi tre mesi del 2023 i prezzi degli affitti hanno toccato picchi mai raggiunti prima e sono stati registrati circa 150 tentativi di sfratto con la forza pubblica al mese. Così la trasformazione in appartamenti di un immobile abbandonato di proprietà comunale desta interesse anche a chi una casa ce l’ha già. «Sa come vengono assegnati?», ci chiede un commerciante che lavora nei pressi della palazzina appena ristrutturata, fino al 2007 parte dell’ex ospedale pediatrico Meyer, nei pressi della stazione Campo di Marte.
I 18 nuovi appartamenti, frutto di un progetto di risanamento conservativo finanziato con 2 milioni e 450mila euro di fondi della politica di coesione europea del Pon Metro 2014-2020, saranno alloggi di transito per famiglie in difficoltà abitativa seguite dai servizi sociali. Per l’assessora al welfare del comune di Firenze, Sara Funaro, «l’idea che sta dietro a questo progetto è quella di recuperare un immobile in disuso di proprietà pubblica e, allo stesso tempo, rispondere ai bisogni sociali di una città con una pressione abitativa importante». Pur essendo un progetto utile, il suo impatto va valutato alla luce del grave disagio abitativo fiorentino.
I 18 appartamenti sono stati ricavati dal convitto delle infermiere dell’ex ospedale Meyer, dal nome del commendatore che nel 1887 elargì la prima donazione per dare il via alla sua costruzione, quando ancora quella zona est della città, tra via Frà Domenico Buonvicini e via Luca Giordano, era considerata periferia. Dopo più di cent’anni di impiego per servizi sanitari, nella notte del 14 dicembre 2007 l’ex Meyer è stato svuotato e tutti i pazienti trasferiti in una nuova struttura a Careggi. Oggi è in parte di proprietà della regione Toscana che lì ha portato alcuni uffici della giunta, lasciando però qualche padiglione in stato di abbandono, e in parte del comune di Firenze che al suo interno ha aperto un asilo. Presto anche gli appartamenti si riempiranno.
I lavori, che in base alla tabella di marcia riportata dal sito OpenCoesione dovevano essere terminati a ottobre 2022, sono quasi finiti. Una data per l’inaugurazione ancora non c’è, ma dall’amministrazione assicurano che manca poco. «Questi appartamenti forniranno una soluzione temporanea alle famiglie sotto sfratto in attesa di misure più stabili», spiega Funaro. «Penso per esempio a chi è in graduatoria per una casa popolare ma deve attendere qualche mese per l’assegnazione, oppure a coloro i quali, se sostenuti da un percorso di inclusione, possono trovare soluzioni autonome sul mercato privato, che necessitano di tempo per essere individuate».
Non è la prima volta che il convitto dell’ex Meyer fornisce una risposta al disagio abitativo cittadino: per otto anni, dal 2009 al 2017, lo stabile è stato abitato in modo informale da una comunità di rifugiati somali fuoriusciti dal circuito di accoglienza che non avevano accesso al mercato privato dell’abitazione, e da migranti transitanti. «Ci vivevano in media circa 80 persone», racconta Serena Leoni, coordinatrice di Medici per i diritti umani (Medu) di Firenze, organizzazione che forniva un servizio di assistenza sanitaria agli abitanti dell’occupazione, molti dei quali, senza residenza o con permesso di soggiorno in un’altra città, erano esclusi dall’accesso alle cure. «Negli ultimi tempi le condizioni di vita all’interno dello stabile erano diventate molto precarie», continua Leoni che conclude: «Una volta sgomberati da lì, rimasti senza alternative, hanno occupato un altro edificio nelle vicinanze dal quale sono stati poi nuovamente sgomberati. Oggi non ci risulta che abitino più in alcuna occupazione informale della città».
Dopo lo sgombero, avvenuto nel luglio del 2017, lo stabile è rimasto vuoto fino a gennaio del 2021 quando sono iniziati i lavori, con sei mesi di ritardo sulla tabella di marcia a causa della pandemia. La realizzazione degli alloggi, due dei quali accessibili alle persone con disabilità, rientra nell’asse 4 del programma operativo per le città metropolitane Pon Metro che, insieme all’asse 3, finanzia servizi e infrastrutture per l’inclusione attiva, comprese azioni di accompagnamento alla casa e di contrasto alla povertà abitativa. Anche se non c’è un canale dedicato alla rigenerazione urbana e quindi è impossibile fornire cifre precise, una parte dei finanziamenti per l’inclusione sociale stanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e dal Fondo sociale europeo (Fse) finiscono per sostenere il recupero di patrimonio pubblico inutilizzato o che necessita di manutenzione. In totale, riporta OpenCoesione, tra il 2014 e il 2020 all’Italia sono stati trasferiti circa 4 miliardi e 200 milioni di euro (dati aggiornati al 31 ottobre 2022) per interventi legati alla realizzazione di infrastrutture nel campo dell’inclusione sociale e della salute. Tra gli obiettivi elencati anche «infrastrutture per le politiche abitative (edilizia residenziale pubblica e alloggi sociali)».
Una questione che in Italia presenta ormai da tempo un disagio cronico, con oltre 800mila sentenze di sfratto emesse negli ultimi vent’anni e circa 320mila famiglie in attesa di una casa popolare, secondo dati (incompleti) raccolti nel 2014 dal ministero delle infrastrutture. Alla fine di dicembre a Firenze le famiglie in graduatoria erano 2.796. A fronte di questo numero, secondo dati forniti dall’assessorato alla casa del Comune, gli appartamenti assegnati ogni anno variano tra i 150 e i 180, pari a una percentuale compresa tra il cinque e il sei del totale delle famiglie in lista. L’emergenza però è più estesa e riguarda anche chi, pur sforando il tetto del reddito per l’assegnazione di una casa popolare, non ha accesso al mercato. «Oggi la situazione è disastrosa», spiega Laura Grandi, segretaria del sindacato Sunia di Firenze. «In questo momento per le famiglie con redditi medio-bassi trovare casa è impossibile. Con l’aumento dei tassi di interesse e dell’inflazione anche chi prima riusciva a contrarre un mutuo oggi non ce la fa più». Questa fascia si è così andata ad aggiungere ai precari o alle famiglie con redditi medio bassi ai quali da anni non resta che ricorrere all’affitto, ormai cannibalizzato dalle locazioni turistiche brevi, con canoni inaccessibili e una disponibilità risicata: «I valori sono cresciuti anche nell’area metropolitana dove in molti hanno deciso di trasferirsi perché espulsi dal mercato di Firenze», continua Grandi. Secondo Immobiliare.it Insights, l’osservatorio del sito di annunci immobiliari che analizza i dati del settore, Firenze è la città dove i prezzi degli affitti sono cresciuti di più nell’ultimo anno: più 20,2 per cento, quasi il doppio di Milano che sfiora l’11 per cento e quattro volte Roma e Napoli che si attestano attorno al cinque. In queste quattro città i canoni sono più alti anche rispetto al 2019, prima della pandemia: a Firenze e Milano il tasso di crescita maggiore, circa il 16 per cento. Sono aumentati anche i prezzi degli immobili in vendita: Firenze e Milano oltre i tre punti percentuali nell’ultimo anno mentre rispetto al 2019 la prima si attesta intorno al cinque mentre la seconda è al 33.
Sul disagio abitativo di Firenze incidono diversi fattori. Alcuni sono comuni al resto d’Italia e sono legati alle scelte in tema di politiche abitative prese a livello nazionale a partire dagli anni novanta, come il definanziamento e la vendita dell’edilizia pubblica o la liberalizzazione del mercato dell’affitto. Altri alla peculiarità di una città che da anni punta sulla promozione del proprio brand a livello internazionale. Una «operazione di marketing territoriale», per usare le parole dell’amministrazione, pensata per attrarre grandi investitori, soprattutto internazionali, nella quale la riconversione di immobili e aree in disuso ha giocato un ruolo centrale: da anni palazzi, anche storici e di pregio, ex ospedali pubblici, ex aree industriali sono state acquistate da grandi gruppi immobiliari e finanziari internazionali che li hanno trasformati in alberghi di lusso (anche se dal 2015 l’amministrazione vieta cambi di destinazione a uso turistico e ricettivo all’interno dell’area Unesco, divieto che dal 2021 riguarda una zona più estesa), studentati anche con funzioni ricettive e case, soprattutto per ricchi, anche se non manca qualche progetto di housing sociale.
Tra gli esempi c’è l’ex Teatro comunale di Corso Italia, che sta per essere trasformato in appartamenti di lusso da un colosso dell’immobiliare come Hines, insieme alla catena che gestisce alberghi di lusso Starhotels e alla società di investimento immobiliare Blue Noble. Oppure l’area ex Fiat di viale Belfiore o gli ex uffici Fs di viale Lavagnini, acquistati da The Student Hotel, oggi The social hub, per farci studentati e residenze brevi. O, ancora, l’ex area industriale della Manifattura Tabacchi che verrà trasformata in spazi commerciali, culturali e case (in parte in housing sociale) da Cassa depositi e prestiti insieme al fondo di gestione degli investimenti Gruppo Aermont.
“Invest in Florence. The city of opportunities”, recita una brochure realizzata dall’amministrazione, aggiornata per l’ultima volta nel 2021, che illustra l’inquadramento urbanistico e le possibilità di trasformazione di una serie di immobili pubblici e privati in vendita. «Le radici del disagio abitativo secondo me non possono essere attribuite del tutto all’amministrazione, ma non si può negare che c’è un legame con la cessione di parti di città che sono state rigenerate andando nella direzione opposta ai bisogni di quella fascia di popolazione che adesso è in emergenza abitativa», commenta Grandi del Sunia «Nel processo di brandizzazione di Firenze, il problema abitativo è stato sottovalutato», sostiene la sindacalista. La diffusione degli affitti turistici a breve termine si è innestata in questo contesto. «Sono almeno dieci anni che sosteniamo che questo nodo vada affrontato. Non è stato fatto nulla e ora i buoi sono scappati dalla stalla. È troppo tardi», conclude Grandi.
Firenze è una delle città che in Italia è stata trasformata di più dalla diffusione degli affitti turistici a breve termine. E la pandemia, che ha completamente svuotato il suo centro, ne ha mostrato tutti i limiti. «Alcuni indicatori di pressione del fenomeno e dei suoi impatti sono superiori a quelli di Venezia», spiega Filippo Celata, ricercatore in geografia economica dell’università La Sapienza di Roma e autore di un recente studio sul tema, presentato a Firenze insieme al report del ricercatore dell’università di Siena Antonello Romano. «Stiamo parlando di un problema che insiste su un centro storico non molto esteso, che ha generato un processo di espulsione e che ha avuto ripercussioni anche sui quartieri più periferici con un generale aumento dei valori immobiliari», spiega. Alcuni dati fotografano la situazione: «La concentrazione di affitti brevi nell’area del centro storico è la più alta delle città turistiche italiane, pari al 77 per cento di quelli presenti su tutto il territorio comunale». Firenze ha registrato «il minor calo dell’offerta a causa della pandemia, indice del fatto che si tratta di un effetto ormai irreversibile e che i proprietari hanno preferito attendere il ritorno dei turisti piuttosto che affittare a lungo termine», continua Celata.
Nel centro storico, inoltre, «il 30 per cento dell’intero stock residenziale è in affitto su Airbnb e il numero di appartamenti interi sulla piattaforma è superiore del 150 per cento rispetto a quello delle famiglie in affitto (sempre secondo il censimento del 2011, ndr)». Questo significa che nell’area del centro ogni 100 famiglie che vivono in affitto ci sono 150 appartamenti interi su Airbnb, e questo riduce le case a disposizione per essere locate ai residenti. Firenze è infine «la città con uno dei tassi maggiori di incidenza di gestori che sono operatori e intermediari professionali, le cui società spesso hanno sede all’estero». Per Celata «questi dati ci dicono che il fenomeno ha completamente saturato l’offerta di affitti a lungo termine in una città dalle dimensioni ridotte il cui modello di sviluppo ha portato a una dipendenza totale dal settore turistico».
Intanto gli sfratti sono all’ordine del giorno. Secondo i dati diffusi dal sindacato Sunia, nei primi tre mesi del 2023 sono stati registrati 150 accessi dell’ufficiale giudiziario accompagnato dalle forze dell’ordine al mese, la maggior parte dei quali per morosità dovuta alla perdita o alla riduzione dell’orario di lavoro. Nel 2021, anno in cui le esecuzioni sono ripartite solo a giugno dopo lo stop per la pandemia, ne sono stati portati a termine con la forza pubblica 948, una media di più di cinque al giorno. Per Silvia Gabrielli, sindacalista di Asia Usb di Firenze, «i numeri sono destinati a salire ulteriormente perché a gennaio il governo Meloni ha azzerato i finanziamenti del contributo all’affitto, così anche quelle poche famiglie che avevano trovato la soluzione del sussidio si ritroveranno in mezzo a una strada». Per Gabrielli, «le cifre messe in campo da Comune e Regione sono del tutto insufficienti». Il riferimento è al sostegno stanziato in autonomia dal comune di Firenze che, secondo il report Abitare in Toscana, nel 2021 ha ricevuto un milione di euro di fondi di coesione europea Por su un totale di 13 ottenuti per questo scopo dalla dalla regione Toscana.
L’assessora alla casa Benedetta Albanese ha fatto sapere che il comune ha lanciato un appello al governo per rifinanziare il contributo all’affitto, «azzerato nonostante le richieste da parte dei cittadini siano aumentate, durante e dopo la pandemia, del 40 per cento». Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, «ha anche aperto un tavolo sull’abitare per affrontare i problemi in maniera strutturale» e fa parte degli undici sindaci che con Anci hanno avanzato un piano di cinque punti per una politica nazionale sulla casa. Il primo cittadino del capoluogo toscano il 1 giugno scorso ha inoltre annunciato il divieto, non retroattivo, di destinare immobili residenziali per affitti turistici brevi in tutta l’area Unesco del centro storico. L‘intervento, però, arriva in una situazione già gravemente compromessa. L’assenza di risorse riguarda anche la ristrutturazione delle case popolari. A Firenze gli alloggi cosiddetti di risulta, ovvero quelli vuoti perché in attesa di essere assegnati ma anche perché inabitabili in quanto bisognosi di manutenzione, è intorno ai 750, circa il nove per cento degli 8.100 totali gestiti dal comune. Il numero, secondo i sindacati, è in crescita rispetto agli anni passati proprio per l’assenza di fondi. «Il comune di Firenze ha più volte lanciato un appello al governo e ha stanziato in maniera sostitutiva 2,5 milioni di euro», dice una comunicazione dell’assessorato.
Il grado di efficacia di un progetto come quello dell’ex Meyer dipende quindi anche da fattori esterni: «È chiaro che se ho più fondi per ristrutturare più case popolari anche gli appartamenti di transizione funzionano meglio», commenta Funaro. Per l’assessora, misurare l’impatto delle politiche sociali «è sempre complicato perché ogni caso presenta delle variabili incontrollabili». La funzionalità «non dipende solo dal progetto in sé ma anche dagli sbocchi successivi. Un conto è inserire un nucleo che è al terzo posto per l’assegnazione di una casa popolare, un altro farlo con una famiglia che non è in graduatoria».
Funaro parla della necessità di «mettere in campo risposte differenziate» che vanno «dall’edilizia pubblica all’housing sociale a canone calmierato. Alcuni progetti di rigenerazione sono andati anche in questo senso». L’ex Meyer si inserisce nell’ambito dell’accoglienza d’emergenza. E non è l’unico. «Abbiamo guardato ai fondi di coesione per incrementare la nostra offerta», spiega Funaro.
Nell’elenco figura il Sistema integrato di accoglienze temporanee (S.A.T.) che si compone di due progetti. Il primo: l’erogazione di un contributo economico per il sostegno all’abitare, che a differenza dei sussidi statali prevede la presa in carico multidimensionale del nucleo familiare, finanziato dal 2014 al 2018 con 1,8 milioni di euro del Pon Metro, che secondo OpenCoesione si è concluso coinvolgendo circa duemila persone. Il secondo: servizi abitativi temporanei affiancati da percorsi di accompagnamento indirizzati all’autonomia, finanziati con 3,3 milioni del Pon Metro. In corso c’è anche il progetto Smart liveability, che verrà sostenuto con 1,7 milioni di euro di fondi europei, al quale si aggiungono oltre tre milioni di euro di altri fondi pubblici, e che prevede di trasformare una porzione della grande area industriale dell’ex Meccanotessile in appartamenti temporanei. Il progetto è appena partito.
Tutte operazioni che sono andate a rafforzare il sistema di accoglienza in città, ma che non fermano un disagio abitativo sempre più acuto. In questo quadro, commenta Grandi, «i 18 alloggi di transizione dell’ex Meyer sono un esempio di come si dovrebbero spendere i soldi pubblici: hanno riqualificato un immobile comunale per rispondere a un bisogno sociale. Tra l’altro sono belli e dignitosi, a differenza di esperienze di alloggi di transizione del passato che erano al limite della decenza. È anche un progetto utile perché eviterà alle famiglie sfrattate di finire in strutture di accoglienza dove donne e minori vengono divisi dagli uomini». Per Grandi però, se non si affronta il disagio abitativo alla radice e a vari livelli istituzionali, i 18 appartamenti rimarranno «una goccia nell’oceano del disagio abitativo cittadino». «Anzi – ci ripensa la sindacalista – un quarto di goccia».
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