Ep. 2

Arrabbiati al Giambellino

Ieri e oggi, in un quartiere periferico di Milano, le storie dei giovani che affrontano la povertà, materiale ed educativa. E di chi offre loro un sostegno

Il quartiere del Giambellino, a Milano

Ne sono passati di anni da quando Giacomo pensava che la scuola fosse «una perdita di tempo». Erano gli anni ottanta, le lezioni le seguiva «quasi per finta» mentre preferiva passare le giornate con gli amici bighellonando intorno ai binari del tram 14. «Non mi è mai piaciuto studiare, non la ritenevo una cosa utile», racconta, ammettendo che se potesse tornare indietro si comporterebbe diversamente.

Eppure, nonostante qualche rimpianto, quella di Giacomo è una storia positiva. Perché, oggi, superati i cinquanta, ha una famiglia, ha una professionalità e, dopo anni di lavoro dipendente, ha un’officina meccanica tutta sua.

La storia di Giacomo

La sua storia dice molto del Giambellino di ieri e di oggi, il quartiere alla periferia ovest di Milano nel quale Giacomo è cresciuto e che è tagliato in due proprio dalla linea del tram numero 14.

Gli amici con cui ci bighellonava intorno erano, proprio come lui, quasi tutti figli di persone che dalla fine degli anni cinquanta erano emigrate a Milano dal Meridione e non solo, alla ricerca di fortuna. Calabresi, pugliesi, siciliani che erano stati attirati al Nord dalle opportunità del boom economico, ma che, una volta arrivati nel capoluogo lombardo, avevano spesso dovuto fare i conti con la povertà nelle sue varie dimensioni.

Nel caso di Giacomo, il padre operaio non faceva mai mancare il pane in tavola. Le difficoltà erano piuttosto legate alla scuola, alla formazione, al pensare un lavoro e un futuro che gli consentissero di migliorare le condizioni di vita, pur dignitose, nelle quali viveva con la sua famiglia.

“Passavo le giornate in comitiva, avevamo quindici o sedici anni, frequentavamo le superiori e della scuola semplicemente non ce ne importava”, ricorda Giacomo oggi.

La povertà educativa

Vista con le lenti di oggi, l’esperienza di Giacomo rimanda alle idee di dispersione scolastica e povertà educativa, due concetti complessi e collegati.

Il primo, secondo la Treccani, è un «complesso di fenomeni consistenti nella mancata o incompleta o irregolare fruizione dei servizi dell’istruzione da parte di ragazzi e giovani in età scolare» e si manifesta con bocciature, scarsi risultati, abbandoni veri e propri dei percorsi scolastici. Il secondo, comparso nella letteratura scientifica nel corso degli anni novanta, è stato definito da Save the childrencome «la privazione da parte dei bambini, delle bambine e degli/delle adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni».

La dispersione scolastica può essere una conseguenza della povertà educativa, così come possono esserlo la disoccupazione o una debole partecipazione al mercato del lavoro.

In pratica, trascurare la scuola per bighellonare con gli amici può segnare il percorso lavorativo e personale di un giovane, soprattutto se proviene da una famiglia con poche risorse economiche. Come aveva già spiegato la ricercatrice di Secondo Welfare Chiara Agostini, infatti, «la povertà educativa è un circolo vizioso». Che ha bisogno di essere spezzato.

Un posto dove conoscere delle ragazze

«Un giorno qualcuno ci disse che c’era un posto dove avremmo potuto conoscere delle ragazze», dice Giacomo, divertito. È così che lui e i suoi amici scoprirono la Comunità del Giambellino.

«Col fare che si ha a quell’età, iniziammo a frequentare quel posto e ci accorgemmo che lì i ragazzi studiavano. Inizialmente eravamo tutti un po’ diffidenti, ci sentivamo superiori, poi però piano piano ci siamo accorti che quei ragazzi, che avevano la nostra stessa età, ci mettevano dell’impegno», aggiunge.

La comunità era nata nel 1979 per iniziativa di don Renato Rebuzzini, allora parroco del quartiere, e di alcuni volontari. Ai ragazzi come Giacomo offriva un luogo dove teoricamente ci si incontrava per fare i compiti, ma che nei fatti diventava un luogo di aggregazione, interazione e crescita.

«Lì ho conosciuto un educatore che provava sempre a farmi studiare. Mi provocava, in qualche modo, mi diceva che non ero stupido come volevo sembrare e io spesso sono stato anche maleducato con lui», ricorda.

Alla Comunità del Giambellino, Giacomo non trova solo qualcuno che lo fa riflettere, ma anche l’occasione professionale che gli cambia la vita. Un’offerta, informale e probabilmente estemporanea, di lavoro come apprendista meccanico: «quello stesso stesso educatore un giorno mi ha detto che un meccanico lì vicino cercava un garzone per fargli fare un po’ di bottega. Io non volevo, ma poi pensando che così avrei potuto essere indipendente dai miei genitori, ci provai». E le cose andarono bene.

Così, partendo da quel meccanico al Giambellino, Giacomo è riuscito piano piano a costruirsi una carriera che lo ha portato a cambiare diversi altri posti di lavoro e, infine, a realizzare il suo sogno: essere titolare lui stesso di un’officina. Tutto grazie alle parole di un educatore.

I binari del tram 14 al quartiere Giambellino - Foto: Wikipedia
I binari del tram 14 al quartiere Giambellino - Foto: Wikipedia

Il Giambellino oggi

Anche oggi il Giambellino è un quartiere complesso. Il Bosco Verticale, piazza Gae Aulenti o i grattacieli di vetro di City Life contrastano in maniera evidente con la povertà che si può incontrare salendo a bordo del tram 14, minando la luccicante immagine che Milano vuole dare di sé.

La città è ricca, ma disuguale.
E, così, il lavoro degli educatori della Comunità del Giambellino prosegue,  necessario e prezioso.

Nel 1993, la comunità è diventata una cooperativa sociale e si è trasformata in un centro di aggregazione di diversi servizi, oltre a quelli educativi: animazione territoriale, assistenza delle persone malate di AIDS, recupero di persone che hanno avuto problemi di tossicodipendenza e reinserimento abitativo di persone in condizioni di disagio sociale.

In tutto, le persone seguite dalla comunità possono arrivare a essere anche 500 in un mese. Come ai tempi di Giacomo, la maggior parte di loro è ancora composta da giovani: studenti e studentesse delle scuole medie e dei primi anni delle superiori. A cambiare però sono nomi e provenienze.

I figli degli emigrati dal sud Italia sono stati affiancati e sostituiti da minori che arrivano da tutto il mondo. Così, adesso, ogni pomeriggio, nei grandi cortili o nelle aule della comunità, i bambini che arrivano per farsi aiutare coi compiti dai volontari si chiamano sempre più spesso Bahram, Achmed o Shahin. E la povertà è un problema anche per loro.

La povertà assoluta

Secondo i dati Istat relativi al 2021, gli ultimi disponibili, quando si parla di povertà i cittadini stranieri in Italia sono sovrarappresentati. «Le famiglie in povertà assoluta – si legge in una nota dell’istituto – sono nel 68,7% dei casi famiglie di soli italiani (quasi 1 milione e 350mila) e per il restante 31,3% famiglie con stranieri (oltre 614mila), pur rappresentando queste ultime solo il 9% del totale».

«Le famiglie con almeno uno straniero in cui sono presenti minori – prosegue la nota – mostrano un’incidenza di povertà pari al 30,7%, ma il sottoinsieme delle famiglie di soli stranieri con minori presenta una crescita maggiore dei segnali di disagio (36,2% contro il 28,6% del 2020), che è oltre quattro volte superiore a quello delle famiglie di soli italiani con minori».

È un problema enorme. Nell’immediato, per le condizioni di vita di questi minori.
Per il futuro, se pensiamo agli effetti di lungo termine, sociali ed economici, della povertà educativa.

«I dati – spiega Openpolis – mostrano come povertà economica e povertà educativa si alimentino a vicenda, perché la carenza di mezzi culturali e di reti sociali riduce anche le opportunità occupazionali. Allo stesso tempo, le ristrettezze economiche limitano l’accesso alle risorse culturali e educative, costituendo un ostacolo oggettivo per i bambini e i ragazzi che provengono da famiglie svantaggiate».

Questa condizione, prosegue Openpolis, «nel lungo periodo, riduce la stessa probabilità che da adulto riesca a sottrarsi da una condizione di disagio economico. Per questa ragione investire sulle politiche per l’infanzia e adolescenza e nella lotta alla povertà educativa è un investimento di lungo periodo». Che, in Italia, viene fatto anche con fondi europei.

Uno scatto delle attività della Comunità del Giambellino oggi - Foto: Comunità del Giambellino
Uno scatto delle attività della Comunità del Giambellino oggi - Foto: Comunità del Giambellino

La Garanzia Infanzia

Lo scorso settembre, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato la versione definitiva del Piano di Azione Nazionale della Garanzia Infanzia . «Il documento – redatto in ottemperanza a quanto previsto dalla Raccomandazione europea sulla Child Guarantee – mira a estendere, rafforzare e garantire i diritti di bambine, bambini e adolescenti nell’ottica di contrastare le diseguaglianze e dare attuazione ai livelli essenziali», spiega Secondo welfare.

Il documento presenta delle prospettive di lungo periodo, con azioni da realizzare entro il 2030 e da finanziare attraverso i contributi del programma Next Generation EU e, soprattutto, della politica di coesione europea, con il Fondo Sociale Europeo+ (FSE+) e il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR).

Anche alla Comunità del Giambellino conoscono queste sigle. I fondi della politica di coesione Ue rappresentano circa il 15 per cento delle entrate dell’organizzazione, ma, per il direttore della comunità Riccardo Farina hanno grossi limiti.

«Se per coprire le spese dei singoli progetti possono dirsi sufficienti, il più delle volte non bastano per tutte le spese di progettazione, amministrazione, direzione incontri e di equipe«, spiega. «Riusciamo a pagare l’intervento diretto sulla persona, ma nient’altro, come se dietro non ci fosse nulla», aggiunge Farina. La questione non riguarda solo il Giambellino e i fondi Europei, ma anche le modalità con cui le organizzazioni filantropiche private finanziano il terzo settore. Si rischiano di sostenere i singoli progetti senza però rafforzare le organizzazioni che questi progetti li realizzano.

L’auspicio è che il Piano di Azione Nazionale della Garanzia Infanzia, possa migliorare la situazione e che i nuovi bandi nazionali e regionali che andranno a concretizzare la nuova programmazione europea possano risolvere alcune di queste criticità.

Uno sforzo titanico

Intanto, così come lo è stata per Giacomo, la Comunità del Giambellino continua ad essere un punto di riferimento per molti giovani, un possibile appiglio per spezzare il circolo vizioso della povertà. Che a volte si alimenta anche della rabbia.

A pensarlo è Dario Anzani, storico coordinatore dei volontari della comunità, che in decenni di servizio ha conosciuto tanti Giacomo, ieri, e tanti Bahram, Achmed o Shahin, oggi: «Questi ragazzi sono arrabbiati con i propri genitori per averli fatti nascere e crescere nella povertà», sostiene. «Per non esserlo più, devono fare uno sforzo titanico. È una sensazione che non gli invidio perché – conclude – poi con questa sorta di senso di colpa finisci per viverci e quasi ti impedisce di ottenere quel riscatto che magari meriteresti anche».

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