«Il nostro obiettivo è creare opportunità di lavoro per le persone, in particolare quelle fragili o tagliate fuori dal mercato», dice il direttore di Vesti Solidale, Matteo Lovatti, aggiungendo che la cooperativa ha 145 dipendenti, di cui quasi il 75 per cento è considerato fragile. La cooperativa, lo scorso marzo, ha inaugurato un hub tessile a Rho, alle porte di Milano. È più piccolo e meno tecnologico di quello che aprirà a Prato ed è stato finanziato da fondi privati e della cooperativa stessa, ma è già operativo.
«L’impianto di selezione oggi riesce a lavorare due tonnellate al giorno di rifiuti tessili, che sono tante ma non in senso assoluto: in un anno fanno circa 400 tonnellate lavorate, ma le previsioni per il 2024 sono di circa 7.000 tonnellate di indumenti raccolti solo dai cassonetti gialli della nostra rete che copre la provincia di Milano e i territori di Brescia e Bergamo», spiega Lovatti.
Sono cifre eloquenti, che fanno capire quanti rifiuti tessili si producano, quanto ci sia bisogno di infrastrutture come gli hub tessili e quanto il mercato del riuso abbia grandi potenzialità, ancora inespresse.
«Nel 2023 abbiamo fatturato oltre 7 milioni di euro e con l’investimento dell’hub ci proiettiamo a crescere ancora e ad aumentare ulteriormente il numero dei nostri lavoratori», conclude il direttore di Vesti Solidale. Il suo ottimismo, però, non è condiviso da tutto il settore del riuso. Come dicevamo, in questo ambito e in questa fase, convivono fermento e incertezza. A volte, anche preoccupazione.
Negli ultimi mesi, infatti, sia a livello europeo sia a livello italiano, le imprese del settore hanno più volte lanciato l’allarme sulla sostenibilità economica delle loro attività e chiesto aiuti pubblici. Le ragioni sono tante, ma hanno a che fare soprattutto con le nuove norme in discussione a livello europeo e un settore del riciclo che ancora stenta.