Ep. 4

Intervista ai signori Luciano Cattero e Dora Gasparotto

Sono e sarò sempre contento di essere stato un partigiano, sebbene quello che io ho fatto possa sembrare insignificante all’operato di molti eroi.

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Resistenza bambina

Sono oltre 1500 i bambini e le bambine vittime di stragi e rappresaglie durante la Seconda Guerra Mondiale in Italia.

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Era il 1993

All’esame di terza media del 1993 si potevano già portare tesine scritte e stampate col computer. Io avevo un 386 – ero della squadra PC. L’altra squadra era quella degli amighisti – e, oltre a videogiocare a Monkey Island, Prince of Persia e Indiana Jones III, rigorosamente piratati, usavo il computer per scrivere. Avevo una stampante ad aghi e usavo non ricordo bene quale programma di videoscrittura (dubito che anche quello fosse “originale”).

Tra le cose che ho scritto con quel computer, poi stampato e infine consegnato per il mio esame c’era un’intervista a due persone che hanno vissuto un’epoca molto diversa dalla mia e che hanno contribuito in maniera determinante alla mia crescita. Passavo con loro i miei pomeriggi – che ricordo lunghissimi, ma che al tempo stesso sono andati via troppo velocemente – e la loro memoria è conservata in me, in qualche vecchio dischetto di quel 386 non più funzionante e, fortunatamente, in una stampa su carta.

Ho recuperato quell’intervista grazie a un trasloco, ora che la casa che è stata della mia famiglia materna per più di cento anni non è più nostra. L’abbiamo digitalizzata e resa fruibile a tutti, perché è un pezzo di memoria del nostro paese.

Luciano Cattero è nato a Borgone di Susa, in provincia di Torino, il 5 gennaio 1922 (probabilmente qualche giorno prima, ma era stato registrato solamente quel giorno) e ha sempre vissuto lì. Il viaggio più importante della sua vita è stato la campagna di Russia. Aveva giurando che non avrebbe mai più guidato in vita sua, se fosse sopravvissuto, e così ha fatto, dal 1945 in poi. Al suo ritorno in Italia ha fatto la resistenza. Ha lavorato come operaio. Non ha potuto studiare ufficialmente, ma dava ripetizioni di matematica fino a Analisi I e II a ingegneria.
Dora Gasparotto è nata a Sandrigo, in provincia di Vicenza, il 20 dicembre 1923. La sua famiglia era migrata in Piemonte in cerca di miglior fortuna. Anche lei ha sempre vissuto a Borgone di Susa, dopo la migrazione. Ha lavorato al cotonificio di Borgone. Curava l’orto di famiglia. Più cagionevole di salute rispetto al marito Luciano, ne era compagna e complice.

Persone semplici e non ricche, unite da una forte passione politica e da un’insaziabile appetito per la cultura e il sapere – oltre che da un amore che andava ben oltre i semplici voti nuziali e che è sopravvissuto a tutte le avversità di un’epoca certamente non facile –, Dora e Luciano hanno lasciato a chi è venuto dopo un’importante biblioteca di famiglia (i libri erano l’unica cosa per cui i miei nonni tolleravano di fare debiti e pagare a rate).

Ora la loro memoria più rivivere qui, e il loro antifascismo può trovare un nuovo posto per essere tramandato.

Cosa ricordate dei vostri anni di scuola sotto il regime fascista?

Nelle scuole vi era, come nel resto della vita sociale, l’esaltazione del regime fascista.

Le lezioni si svolgevano tra le 9 e le 12, le 14 e le 16. Il libro di testo era uno solo per tutti e (questo lo abbiamo saputo in seguito, poiché allora non c’era informazione, al di fuori di quella del regime) era differenziato dalla campagna alla città. Il libro per le scuole di campagna trattava in particolar modo l’agricoltura, mentre quello per le scuole di città si occupava principalmente dell’industria.

Inoltre, dopo i Patti Lateranensi del ’29 nelle scuole era diventato obbligatorio l’insegnamento della religione, che
veniva effettuato al di fuori dell’orario scolastico, e cioè dopo le ore 16. All’uscita da scuola venivamo inquadrati ed eravamo obbligati a salutare in questo modo: la maestra diceva “Saluto al Re” e noi rispondevamo “Viva il Re”. Poi diceva “Saluto al Duce” e noi rispondevamo “A Noi”, alzando il braccio secondo il saluto romano.

La scuola fino alla quinta classe poteva essere frequentata da tutti, mentre le scuole di livello superiore erano esclusivo appannaggio dei ricchi. In alcuni paesi vi era anche la sesta classe, una specie di collegamento tra la scuola ed il lavoro.

A 12 anni, finita la scuola, si cominciava a lavorare.

In che modo influiva il fascismo sulla vostra vita di ragazzi?

Fin da piccoli venivamo abituati alla vita militare; i bambini e le bambine (fino ai sette anni) erano “figli e figlie
della lupa” ed indossavano una divisa, costituita da una camicia nera e da una fascia bianca con la M di Mussolini stampata. Dai sette ai quattordici anni i ragazzi erano i “Balilla” e, oltre alla camicia nera, portavano in testa un fez con un fiocco ed avevano pantaloni grigio-verdi; i Balilla avevano già in dotazione un piccolo moschetto (da qui deriva la propaganda fascista che dice “Libro e moschetto fascista perfetto).

Le ragazze erano le “Piccole italiane” ed indossavano una camicia bianca ed una gonna nera, avevano un distintivo con il tricolore ed il fascio e un berretto nero in testa. Dopo i 14 anni i ragazzi venivano inquadrati negli “Avanguardisti” che indossavano una divisa grigio-verde, con i vari gradi e divisi in corti, legioni o milizie, proprio come avveniva nelle antiche organizzazioni militari romane, che Mussolini aveva preso come modello. Avevamo delle armi, che però non ci era permesso portare a casa; ci radunavamo tutti i sabati pomeriggio per corsi pre-militari, fino a diciotto anni.

Le ragazze erano invece “Giovani italiane”, con gonna nera a pieghe, camicia bianca, cravatta nera ed un basco nero in testa. Le donne fasciste avevano una divisa scura con giacca; vi erano poi le “Massaie Rurali”, che portavano al collo un fazzoletto con spighe e papaveri disegnati e vestivano da contadine.

Gli uomini venivano inquadrati in Milizie Volontarie (in cui appunto non era obbligatorio inserirsi), prima e dopo il servizio di leva.

In generale, com'era la vita sociale sotto il regime fascista?

La vita era piuttosto tranquilla, perchè ci era proibito parlare di politica e, pur avendo idee antifasciste, ci eravamo abituati al regime, che era diventato ormai una cosa “scontata”, che era stata imposta alle nostre famiglie con la forza.

Come si sono avvertite le sanzioni economiche applicate all'Italia nel 1936?

Dopo l’attacco e la conquista dell’Abissinia (Etiopia) esaltati dai giornali fascisti come un supremo atto di forza, la
Società delle Nazioni applicò all’Italia una serie di sanzioni economiche, ovverosia un embargo, che fu subito violato da Germania e Giappone. Dunque, le sanzioni non si ripercossero sull’Italia e la vita continuò come prima, nonostante i giornali fascisti si scagliassero con insulti contro la Società delle Nazioni ed esaltassero l’autarchia, cioè la capacità dell’Italia di produrre da sola (in quel periodo dunque si accentuarono le ricerche in campo industriale e il primo prodotto autarchico fu il rayon).

Dopo la conquista dell’Impero (in una guerra impari), si diffusero quasi ovunque canzoni inventate dal regime fascista per decantarne la potenza.

Come si è avvertita in Valle [Val di Susa, nda] l'entrata in guerra prima della Germania e poi dell'Italia? Come avete saputo che l'Italia si apprestava a combattere a fianco dei Tedeschi e quali sono state le vostre reazioni?

Quando l’Italia ha dichiarato guerra all’Inghilterra ed alla Francia, le popolazioni di tutti i paesi furono radunate in
piazza per ascoltare attraverso la radio il discorso del duce, che annunciava l’entrata in guerra. Per noi giovani la guerra era come una novità, qualcosa di diverso da vivere e dunque non ci rattristammo, ma i vecchi scoppiarono in lacrime: essi avevano già la terribile esperienza della prima guerra mondiale.

[D.G.] Ricordo un episodio, che mi ha dato molto da pensare: quando terminò il discorso del duce, un colonnello di una truppa militare diretta al fronte, invitò i suoi uomini a cantare “Giovinezza” (l’inno del fascismo), ma nessuno di essi ubbidì. Tutti erano consapevoli di dover andare a uccidere e a morire, per ideali che quasi certamente non avevano mai condiviso. Allora, le maestre fecero cantare i Figli della lupa, mentre i militari rimanevano silenziosi. Tutti i nostri soldati erano convinti di vincere, poichè secondo Mussolini il Forte di Chaberton sarebbe stato in grado di sparare fino a Lione e rappresentava una postazione invincibile dell’esercito italiano. Invece dopo poche cannonate francesi, il forte fu annientato e solo grazie al fatto che la Francia era già stata messa in ginocchio dai Tedeschi abbiamo evitati che i Francesi ci invadessero arrivando fino a Torino.

Di tutto questo, noi non sapevamo quasi niente, poichè i giornal continuavano a parlare di abili mosse militari e di ritirate strategiche. Solo quando i soldati ritornavano dal fronte demoralizzati apprendevamo veramente come stavano le cose.

[a L.C.] Come hai vissuto la Campagna di Russia? Cosa ricordi di quel periodo?

La Campagna di Russia è stata una vera e propria tragedia per l’esercito italiano. Avendola vissuta personalmente, posso dire che le nostre armi non valevano quelle di nessun altro esercito: le bombe a mano “non uccidevano nemmeno una gallina” e i nostri carri armati erano pericolosi, perchè i colpi di fucile li perforavano da parte a parte.

Io, pur essendomi recato in Russia, non ho mai vissuto la vita del fronte, perchè ero caporalmaggiore dell’Autocentro e quindi mi occupavo della riparazione degli automezzi dell’esercito. I nostri rapporti con i “nemici” erano piuttosto buoni, spesso eravamo a contatto con la popolazione russa e dividevamo con loro il nostro cibo. Lo stesso non si può dire del rapporto tra Russi e Tedeschi o fascisti, che volevano la morte del comunismo. La ritirata durante l’inverno è stata un’esperienza terribile: la temperatura scendeva al di sotto dei -40°C; io guidavo un autocarro, che, come tutti, era carico di soldati italiani e, volte anche tedeschi; ricordo che i Tedeschi rifiutavano di salire a quei soldati italiani che a centinaia erano stati lasciati a terra e arrivavano al punto di calpestare le loro mani che si aggrappavano all’autocarro, facendoli cadere a terra e lasciando che le ruote dell’autocarro successivo li schiacciassero.

Io non ho mai più voluto rinnovare la patente, proprio perchè avevo giurato che non avrei mai più guidato se fossi ritornato in Italia.

Poi, ritornato in Italia, sono rimasto in quarantena per un mese, perchè si doveva controllare che non avessi contratto malattie infettive.

[a D.G.] Intanto, come vivevate in Italia? Che cosa dei soldati sul fronte russo?

Noi non sapevamo che i soldati italiani ed i tedeschi venivano sconfitti ripetutamente, perchè ci parlavano di ritirate strategiche, in attesa della vittoria finale. Vivevamo già con gravi difficoltà, poichè il prezzo del cibo era
aumentato enormemente rispetto al nostro stipendio, che era piuttosto misero. Mangiavamo minestra a mezzogiorno e pane e latte la sera; la carne compariva sulle nostre tavole solo la domenica, quando eravamo fortunati.

Chi aveva un po’ di terra e degli animali era più fortunato, poichè disponeva di latte, burro, uova e verdure proprie. La mia famiglia non rientrava in questa categoria, poichè noi vivevamo esclusivamente del nostro lavoro di operai.

[L.C.] Invece nella mia famiglia si viveva un po’ meglio proprio perchè avevamo una mucca, delle galline e terra da
coltivare. Quando sono tornato dalla Russia, però, la situazione era già peggiorata notevolmente e tutti cominciavano a patire la fame.

Come avete vissuto: il 25 luglio 1943, l'8 settembre e il 25 aprile 1945?

Il giorno della destituzione e dell’arresto di Mussolini, a Borgone e in molti paesi della valle ci furono grandi
manifestazioni di gioia, e ovunque si cominciò a distruggere tutto quanto era stato fatto costruire dal regime fascista. Tra coloro che animavano tali distruzioni vi era proprio chi per anni aveva mangiato e bevuto rifugiandosi dietro il regime.

L’8 settembre, giorno dell’armistizio, tutti i soldati gettarono armi ed equipaggiamenti e molti entrarono nelle case per chiedere abiti civili e rifugio. Molti soldati si sono fermati in valle ed hanno raccolto le armi gettate dai loro ex compagni, per poi formare le bande di pertigiani. Infatti, a partire da ottobre, i Tedeschi occuparono la Valle e chiusero tutte le vie principali di comunicazione, per vendicarsi del tradimento italiano; “rastrellavano” tutti i militari italiani che “disertavano” e li deportavano nei campi di concentramento tedeschi.

Il 25 aprile è stata la più grande festa sia per la Valle sia per l’Italia intera, una festa inaspettata, poichè nessuno ormai sperava nella fine del terrore.

Come avete vissuto i bombardamenti da parte degli Alleati? Che cosa provavate quando sentivate il rumore degli aerei e delle bombe che cadevano?

11 27 luglio del 1944 sono cadute su Borgone le prime bombe degli Alleati, che causarono quattro morti tra gli sfollati di Torino, che era già stata bombardata.

[D.G.] Quando sento il rumore di un aereo, ancora oggi devo andare a vedere, poichè non riesco a cancellare il ricordo di quei giorni: era terribile. La valle rimbombava al rumore degli aerei, che si avvicinavano in formazione di 7 a imbuto; una volta sono venuti per tre volte nello stesso giorno. Un secondo bombardamento è avvenuto il 1 agosto ’44, uno per cercare di colpire il ponte della statale di Borgone e l’altro per il “Ponte Rosso” della ferrovia, in zona S. Valeriano. Altre quattro persone, tutte di Borgone, morirono. Il 19 agosto l’ondata di aerei è arrivata alle 18 ed ha colpito l’ufficio postale, la piazza (causando la morte di 4 persone, tra impiegati e clienti) e la casa dove
abitavo. Io ero sulla montagna nella strada che porta a Chiampano e raccoglievo more per sfamarmi; ho visto due bombe colpire la mia casa. È stato un momento terribile, poichè ho creduto di aver perso tutta la mia famiglia; fortunatamente si erano salvati tutti, ma non ci restava più niente.

Il 23 agosto Borgone ha subito un bombardamento a tappeto; gli aerei sono venuti per tre volte nello stesso giorno La popolazione borgonese ha patito gravi sofferenze, tanto che gli artigiani decisero di far saltare il ponte sulla Dora per evitare altri bombardamenti da parte degli Alleati, senza però riuscire a farlo saltare.

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Anonimo, Borgata Molè (Chianocco). In posa, con armi, bandiera e mascotte, i partigiani del Distaccamento Aldo Rossero della 42ª Brigata Garibaldi., 1945. Foto dell'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”

Le prime bande di partigiani si erano formate tra l’ottobre ed il novembre del 1943; il 30 ottobre si verificò la prima battaglia tra i pertigiani e le “squadracce fasciste repubblichine”, che avevano seguito Mussolini nel suo ultimo
tentativo di rimanere al potere.

Le “squadre fasciste” erano spesso aiutate da spie all’interno di ogni paese. Anche a Borgone vi erano spie fasciste, che, come molte altre, vennero uccise dai partigiani per vendetta. In tutti i paesi della Valle regnava la paura, soprattutto là dove si erano formate le bande partigiane, che contrastavano i Tedeschi ed i fascisti. Ogni volta che uno di loro veniva ucciso, si temeva in un rastrellamento.

In seguito ad una segnalazione, a S.Antonino sono stati fucilati ben 17 giovani che si erano rifugiati sulle montagne per paura dei tedeschi.

Come vedevate: gli alleati.

Non abbiamo mai potuto considerare gli Alleati come dei liberatori, poichè qui bombardavano e seminavano la
morte.

I tedeschi.

Li vedevamo con terrore, perchè temevamo di venire uccisi per rappresaglia. Nelle bacheche di ogni comune vi era
addirittura un elenco di sette persone (che cambiavano ogni settimana) che sarebbero state fucilate nel caso che qualche tedesco o qualche fascista venisse ucciso dai partigiani.

Un giorno, un fascista era stato ucciso sul confine tra S.Valeriano e Condove; per mezzo metro, si ritenne che l’omicidio era stato compiuto sul territorio di Condove e quindi sette dei suoi abitanti furono uccisi.

Quel giorno, nella lista di Borgone, c’era il mio nome: L.C.

[D.G] E quello di mio padre.

Mussolini.

Era visto con disprezzo, poichè ci aveva portati allo sfacelo.

I partigiani.

Molti consideravano i partigiani come dei liberatori, ma tra i negozianti ed i contadini la figura del partigiano era vista come quella di un ladro; i partigiani infatti sequestravano merci e rifornimenti per poter continuare la vita in clandestinità.

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Colle Fous: partigiani della Brigata Valle Stura Carlo Rosselli della 1ª Divisione Gl durante un tentativo di rientro in Italia dalla val Vésubie con la missione Soe comandata da Paul Barton (Paolo Buffa). Foto dell'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti”

[A Luciano Cattero, ex-partigiano e socio ANPI] Che cosa mi puoi dire della resistenza in Valle di Susa e della tua attività di partigiano?

La Valle di Susa assunse al tempo dell’occupazione nazista una particolare importanza militare, poichè i Tedeschi
sfruttarono questa via di comunicazione ed occuparono la vallata con imponenti forze; perciò la resistenza assunse proporzioni molto ampie. Vi furono numerosi atti di sabotaggio sia alle linee elettriche sia alla ferrovia; per quello che riguarda S.Valeriano, l’unico episodio degno di nota fu la distruzione del ponte della ferrovia sulla Dora Riparia (“Ponte Rosso”) con la dinamite. Le montagne della Valle furono teatro di molti scontri tra partigiani e fascisti, con centinaia di morti. Al Colle del Lis, sopra Rubiana, c’è un monumento che ricorda il sacrificio dei partigiani.

Io stesso ho preso parte alla lotta partigiana, e con me quasi tutti i giovani di S. Valeriano. Essendo militare e appena ritornato dal fronte russo, del quale ricordo la disastrosa ritirata durante la quale persero la vita decine di migliaia di miei commilitoni, mandati allo sbaraglio in quella landa dalla dittatura fascista con armi antiquate, scarse vettovaglie e privi degli indumenti necessari per ripararsi dal freddo, decisi di aderire alla resistenza. I Tedeschi avevano creato un regime di terrore fra la popolazione locale, minacciando di passare per le armi chiunque avesse aiutato un partigiano. Malgrado ciò i rapporti con la popolazione erano buoni.

I partigiani erano in prevalenza giovani che salivano sulle montagne sia sia per seguire i loro ideali patriottici sia per sfuggire ai Tedeschi, alcuni anche per spirito di avventura; molti erano soldati sbandati dopo l’armistizio dell’8 settembre e che non volevano più combattere per i nazi-fascisti.

Eravamo organizzati in brigate, distaccamenti e divisioni e mantenevamo spesso i gradi che avevamo avuto durante la guerra sotto i fascisti. Ciascuno di noi aveva un suo nome di battaglia, per evitare che, venuti a conoscenza del vero nome dei partigiani, i Tadeschi potessero fare azioni di rappresaglia ai danni dei loro parenti.

Il mio nome di battaglia era Croc.

Il giorno vivevamo in montagna e di notte spesso scendevamo a valle, per procurarci rifornimenti o per effettuare le nostre azioni di disturbo a danni dei nazi-fascisti.

Ogni brigata era dislocata in un punto preciso della Valle; tutte le divisioni erano collegate tra di loro da alcuni portaordini, che venivano soprannominati “staffette” e spesso erano donne. Le sentinelle di brigata avevano il compito di dare l’allarme caso di attacco dei Tedeschi: tre colpi di arma da fuoco, che breve sarebbero stati ripetuti da ogni sentinella per poter allertare in pochissimo tempo tutte le divisioni.

I momenti più terribili erano proprio quelli in cui attendevamo una mossa da parte dei Tedeschi, terrorizzati dall’idea di essere deportati nei loro lager. Sapevamo che se fossimo stati catturati le armi in mano saremmo stati fucilati, o portati nelle terribili “case di tortura” naziste, dove avrebbero cercato di sapere i piani delle nostre bande. I momenti più esaltanti erano invece quelli in cui mettevamo a segno dei colpi che ci eravamo prefissati, ad esempio quando siamo riusciti a rubare un intero rimorchio di mitragliatrici all’Aeronautica di Torino.

Famosa è inoltre la battaglia ai piedi del Rocciamelone, quando riuscimmo ad imprigionare oltre 100 Tedeschi.

Tutti noi avevamo l’ideale di libertà e di giustizia sociale, cioè lottavamo per un’Italia libera e democratica.

È merito della Resistenza se il popolo italiano ha potuto alzare la testa, avere un nuovo tipo di governo e stabilire
le nuove norme di legge dello Stato Italiano contenute nella Costituzione. Il 25 aprile di ogni anno in tutta Italia viene commemorato sacrificio dei partigiani con discorsi, inni e fiori, ma per ricordarli degnamente dobbiamo mantenere nel nostro paese libertà, la democrazia e la pace, ideali per i quali hanno combattuto e per i quali molti sono morti. Voglio ancora ricordarti i nomi dei partigiani caduti di Borgone:

  • Giovanni Tarroboiro, 22 anni, ucciso in casa davanti nell’aprile del ’44;
  • Bruno Mosconi, 20 anni, sorpreso per strada;
  • Maria Agazzi, fucilata nel dicembre del ’44, 26 anni;
  • Benvenuto Flavio, 23 anni e Felice Falco, 22 anni, morti entrambi in combattimento nel ’45;
  • Cesare Maffiodo, morì a Bolzano nella difesa della fabbrica;
  • Cattero Italo (mio fratello) e Mario Furbatto morirono in campo di concentramento perché dopo l’armistizio si rifiutarono di combattere per i nazi-fascisti;
  • Vair, operaio del cotonificio ucciso mentre si recava al lavoro durante un rastrellamento effettuato dai nazi fascisti.

Ricordandoli, posso dirti che sono e sarò sempre contento di essere stato un partigiano, sebbene quello che io ho fatto possa sembrare insignificante all’operato di molti eroi.

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