Ep. 03

I PFAS e la Terra di sotto – Atto terzo

Per trovare l’origine dell’inquinamento in West Virginia occorre riavvolgere il nastro al 1951.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Dalle nostre serie Serie Giornalistiche
La terra di sotto

I PFAS sono acidi molto forti e particolarmente resistenti. E contaminano grosse porzioni di terra.

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Anno 1999, West Virginia. Squilla il telefono allo studio legale Taft Stettinius & Hollister. Da una parte del filo c’è un allevatore di Parkersburg, Wilbur Tennant, che da settimane vede i propri bovini morire uno dopo l’altro per cause anomale. Dall’altra l’avvocato Rob Billot, specializzato nella difesa di aziende chimiche implicate in processi per inquinamento e disastri ambientali che da poche settimane è approdato sulla scrivania di uno degli studi più affermati della zona. Tennant è convinto che l’azienda chimica DuPont, che aveva in zona uno stabilimento di 490 ettari, sia responsabile di queste morti.

All’apparenza dunque gli interessi dei due sono divergenti, ma Billot decide comunque di seguire il caso.

Al New York Times il legale, in un lungo reportage dedicato alla vicenda dal titolo “L’avvocato divenuto il peggior incubo di DuPont”, racconta le ragioni della scelta di stare dall’altra parte della barricata: Billot avrebbe probabilmente riattaccato subito il telefono, scrive il Nyt, ma Tennant fece il nome della nonna dell’avvocato che aveva vissuto in un sobborgo a nord di Parkersburg. Proprio lì lo stesso Billot aveva passato parte della sua infanzia e decise così di accettare il caso: dopo aver visto anche un video portato dai Tennant, «Mi sembrava la cosa giusta da fare», dichiarò al Nyt. Nel 2017 in tono quasi scherzoso, davanti alla commissione d’inchiesta regionale del Veneto per l’inquinamento da Pfas, ricorda «ho iniziato patrocinando quelle che erano le aziende e non i contadini, quindi adesso posso dire di avere esperienza da entrambi i fronti». La testimonianza di Billot, arrivata grazie all’impegno dell’avvocato Edoardo Bortolotto, di Diego Meggiolaro e Alberto Peruffo del Gruppo “Cittadini Attivi di Montecchio Maggiore NO PFAS” e di Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia, è particolarmente preziosa.

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Vicenza – 13 Aprile 2018

Edoardo Bortolotto – Avvocato

«Nasco come avvocato del lavoro dalla parte dei lavoratori. Mi sono sempre occupato di infortuni sul lavoro e malattie professionali: un settore dove un avvocato si trova ad affrontare problematiche complesse come quelle sull’amianto, un materiale che ha avuto ripercussioni sia sulle persone sia sull’ambiente. Quella è stata la mia prova del fuoco e il fattore che ha fatto maturare la mia sensibilità professionale e personale. Da lì sono poi venuto in contatto con chi sta vivendo sulla propria pelle questa contaminazione».
«Il processo per la contaminazione della DuPont si è concluso alla fine degli anni 2000 ed è partito all’inizio degli anni ’90. Che qualcuno venga a dire che “non ne sapevamo niente sulla pericolosità delle sostanza”, a mio giudizio non è una difesa sostenibile. Anche perché Miteni ha sempre avuto un canale aperto e di scambio proprio con la DuPont sia come fornitrice sia come conoscenze sanitarie»

Cassetti chiusi

Per trovare l’origine dell’inquinamento in West Virginia occorre riavvolgere il nastro al 1951, anno in cui la DuPont decise di acquistare PFOA dalla multinazionale 3M, che lo aveva inventato quattro anni prima, con l’obiettivo di fabbricare Teflon. Il PFOA allora noto come C8, non era classificato come sostanza pericolosa, ma 3M tra le raccomandazioni inviate a DuPont specificava già agli inizi degli anni ’50 come la stessa sostanza non potesse essere scaricata nelle acque superficiali o nelle fogne. Indicazioni ricevute e mai seguite: «Da quando ho fatto causa alla Dupont» racconta Billot nella sua audizione davanti alla commissione della Regione Veneto, «ho potuto ottenere tutta quella che era la documentazione che possedeva l’azienda, dalla quale emergevano tutti i dati di emissioni di queste sostanze chimiche nell’ambiente dove c’era una maggiore concentrazione e produzione di teflon». Da questi documenti, conclude Billot «emergevano delle nozioni di queste sostanze chimiche che nessuno fuori dalla Dupont conosceva. Hanno constatato che erano state messe nell’ambiente, in particolare nei campi circostanti alla Dupont, delle emissioni pari a 70 mila tonnellate che contenevano queste sostanze chimiche di PFOA e PFAS».

Eppure nonostante DuPont avesse ignorato le raccomandazioni di 3M (gli scarti della lavorazione sono sistematicamente finiti sotto terra) per quarant’anni la società ha condotto studi rimasti chiusi nei cassetti della società, emersi a decenni di distanza proprio grazie al lavoro di Billot. «Già dal 1972» racconta il legale, «dai documenti che ci sono stati consegnati dalla DuPont, risultavano dei test che erano stati fatti agli animali su queste sostanze chimiche, che causavano dei cancri al fegato, al pancreas e ai testicoli. Già nel 1976 hanno constatato che queste sostanze, se ingerite dall’uomo, rimanevano nel sangue per diversi anni e più venivano assunte più venivano accumulate dall’organismo». Dalla documentazione è emerso anche come nel 1970 alte concentrazioni di PFOA nel sangue furono riscontrate nelle analisi di un operaio, ma la società mai informò l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente statunitense, l’EPA, nonostante gli obblighi previsti pr legge.

Ma la scoperta che accomuna ancora di più il caso veneto a quello americano è lo smaltimento delle sostanze tossiche: a partire dal 1990, emerge dalla documentazione in possesso di Billot, la DuPont scaricò tonnellate di liquame di PFOA nel vicino fiume Dry Run Creek, che riforniva di acqua proprio la fattoria dei Tennant. DuPont verificò la presenza della sostanza, ma mai informò la famiglia di allevatori.

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Arzignano (VI) – 26 Marzo 2018 Rappresentanti di Medicina Democratica, Mamme No-Pfas e ambientalisti durante un’assemblea. I gruppi coinvolti, molto eterogenei tra loro, si confrontano spesso durante assemblee convocate a macchia di leopardo nei territori coinvolti.

È in quella fase che il legale decide di rendere pubblico il caso rivolgendosi all’EPA, fino a quel momento, mai informata prima delle circostanze. Nel 2003 la DuPont per tamponare le conseguenze dell’uscita pubblica di Billot con le informazioni all’EPA si affida alla consulenza di Weinberg Group, società specializzata sulla regolamentazione alimentare e farmaceutica. La strategia, emersa in un documento rinvenuto grazie al lavoro di Billot, è sia comunicativa sia scientifica: da una parte la redazione di studi che affermino la sicurezza del composto, dall’altra far emergere i «reali benefici» del loro utilizzo, anche in termini di salute. Non a caso Una nota stampa della compagnia del 31 marzo 2003 arrivò a mettere nero su bianco che «i PFOA sono stati erroneamente presentati come dannosi per la salute, mentre, di fatto, sono stati utilizzati in sicurezza per più di 50 anni senza effetti avversi per la salute umana».

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Minerbe (VR) – 13 Aprile 2018

Pasquale
«Una sera a Montagnana ho partecipato per la prima volta quasi per caso a un incontro delle mamme NoPfas. Ho sentito parlare Michela che aveva già avuto i riscontri del monitoraggio di sua figlia che indicavano valori dei Pfas undici volte più alti della norma. Lì mi sono svegliato dal torpore e ho iniziato a essere attivo anche io»

Trissino (VI) – 14 Aprile 2018

Claudio
«Credo che un medico che oggi non considera la medicina e la salute come materie strettamente connesse all’ambiente forse potrebbe anche cambiare lavoro. Questo insieme è oggi indispensabile per poter agire oggi nei confronti sia di una diagnosi, sia di una terapia»

La class action

Se l’affetto per la nonna aveva convinto Billot a seguire la causa dei Tennant, la scoperta dei documenti tenuti sotto chiave lo porta a prendere ancora più a cuore la situazione dei 70 mila residenti della zona. Parte così una class action che Billot riassume così nella sua giornata in Veneto: «La battaglia contro la Dupont in realtà è durata anni e, per arrivare dove siamo arrivati, ho letto 5-6 milioni di documenti per cercare di studiare questi elementi chimici e capire le conseguenze che avevano sulla salute delle persone. Nel 2005 finalmente è stato raggiunto un accordo con la DuPont che si impegnò a purificare le acque e ad installare un sistema di filtri per purificare le acque in tutte le zone contaminate, quindi anche quelle che avevano la più piccola quantità di PFAS nell’acqua, pagati totalmente dalla DuPont».

Successivamente vennero assunti tre epidemiologi, scelti dalle parti (cioè il team di avvocati di Billot e la stessa DuPont), che iniziarono lo studio sulla popolazione. La dotazione finanziaria, 70 milioni di dollari completamente a carico dell’azienda, è stata utilizzata per prelevare i campioni di sangue di quasi 70 mila persone. I risultati arrivano e il quadro sanitario è quello che abbiamo raccontato nelle due puntate precedenti [Qui la prima e qui la seconda]. «Lo scopo principale del mio team» racconta Billot «era quello di rendere pubbliche queste informazioni e quindi già dal 2012 questi studi sono stati messi online, resi accessibili a tutta la popolazione, a chiunque. Dopo che vennero pubblicati i risultati di questi studi gli scienziati stessi iniziarono periodicamente a pubblicare dei report, delle ricerche scientifiche. Chi aveva ricevuto diagnosi di una di queste malattie dovuta all’assunzione di questi PFAS poteva fare causa alla DuPont per avere il risarcimento del danno. A 3.500 persone furono diagnosticate una di queste sei malattie. Ci furono tre processi per queste 3.500 persone, questi tre processi contro la Dupont furono vinti dai querelanti e la Dupont fu condannata perché era a conoscenza dei fatti e non ha fatto nulla per evitarli».

«A febbraio 2017» conclude Billot «c’è stato il quarto processo che si è concluso con un risarcimento di 600 milioni di dollari». Non videro mai un dollaro i coniugi Tennant: la moglie morì nel 2007, mentre Wilbur, malato di cancro lasciò la sua fattoria nel 2009 a causa di un attacco cardiaco a 67 anni. Oggi, si legge in un recente report di EWG, organizzazione no-profit americana sui temi della salute e dell’ambiente, potrebbero essere circa 110 milioni gli americani che potrebbero bere acqua contaminata dai PFAS.

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Lonigo (VI) – 10 Aprile 2018 Un’assemblea del gruppo “Mamme No-Pfas” in una sala parrocchiale di Lonigo. Il gruppo, di ispirazione cattolica, si ritrova regolarmente per discutere delle azioni da intraprendere e per aggiornarsi sulle ultime notizie utili per contribuire ad informare la cittadinanza. Oltre agli strumenti assembleari, il gruppo si coordina tramite l’uso di Whatsapp e Telegram per la diffusione di appelli, informazioni e aggiornamenti.

Dopo tutto questo, spiega l’avvocato Edoardo Bortolotto, «con una causa partita tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 2000 che qualcuno in Italia venga a dire che “non ne sapevamo niente sulla pericolosità delle sostanza”, a mio giudizio non è una difesa sostenibile. La stessa Miteni» conclude Bortolotto «ha sempre avuto un canale aperto e di scambio proprio con la DuPont sia come fornitrice sia a livello di conoscenze sanitarie acquisite».

Ancora lontani da sentenze ed eventuali risarcimenti i cittadini delle zone contaminate chiedono giustizia anche in Italia.

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