Ep. 02

I PFAS e la Terra di sotto – Atto secondo

“Di chi possiamo fidarci se nemmeno più l’acqua che beviamo è sicura?”

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Dalle nostre serie Serie Giornalistiche
La terra di sotto

I PFAS sono acidi molto forti e particolarmente resistenti. E contaminano grosse porzioni di terra.

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Il comitato delle mamme NoPFAS nasce dall’esigenza di rispondere a una domanda tanto semplice quanto terribile: di chi possiamo fidarci se nemmeno più l’acqua che beviamo è sicura? Anche in questa battaglia per la trasparenza e per la verità sono le donne a mettersi in prima linea: Michela, Luigina, Lara, Cristina, pronte a dare corpo alle proprie domande e forza, nella lotta, ai propri compagni di vita e ai propri figli. È il sangue e non lo sguardo a raccontare il dramma di una comunità.

L’obiettivo delle mamme NoPFAS? Giustizia. Ma soprattutto Verità.

«La nostra vita è cambiata»

La vita dei residenti nella zona rossa cambia velocemente. La vista dei valori di PFAS nel sangue mette in allarme prima di tutti le madri, preoccupate per la salute dei propri figli. Le madri, quelle stesse che diventeranno la prima trincea della battaglia che da queste parti si sta conducendo per affrontare l’emergenza, per far in modo che la situazione delle acque torni alla normalità.

È proprio lungo quella che nel tempo ha preso il nome di «zona contaminata» che ci muoviamo. Siamo a Lonigo, più precisamente in una sua frazione, Almisano, a circa mezz’ora di macchina da Vicenza. Lungo il percorso si attraversano centri abitati intervallati da estese zone industriali, ma una volta arrivati lì davvero poco lascia pensare di trovarsi in una zona contaminata. Le cascine e il verde dei campi pianeggianti rende l’inquinamento da PFAS invisibile agli occhi e per questo ancora più subdolo e penetrante. Solo un cartello appeso a una fontana per abbeverarsi salta all’occhio: “Attenzione, acqua non sottoposta a controlli di potabilità“. Un avviso, spiegano i residenti, comparso dopo l’esplosione del caso.

Almisano (VI) – 10 Aprile 2018
Una fontana di acqua probabilmente contaminata, ormai in disuso. I dintorni di Lonigo sono ricchi d’acqua di facile reperibilità. In futuro si dovrà ricorrere all’acqua proveniente dall’acquedotto (opportunatamente filtrata) in attesa che nuove condutture portino acqua da altre fonti non contaminate.

Qui incontriamo Laura e Massimo. Entrambi 46enni, Laura insegnante, Massimo designer, vivono ad Almisano da quindici anni. Hanno due figli che frequentano le scuole elementari, tanta preoccupazione, ma anche tanta determinazione affinché la loro voce arrivi nei palazzi delle istituzioni: le uniche che in questa situazione possono davvero cambiare le cose. Le stesse istituzioni che, per troppo tempo, sembrano aver girato la testa dall’altra parte a discapito degli stessi veneti: dopo l’emersione del problema nel 2013 in in seguito al monitoraggio dell’istituto Cnr-Irsa [1], ci vorranno ancora tre anni perché il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, si faccia avanti per chiedere al governo un piano di interventi e monitoraggio sanitario, oltre che per l’installazione di filtri in grado di trattenere i contaminanti.

A casa di Laura e Massimo c’è uno dei tanti centri nevralgici del comitato delle Mamme NoPFAS. È questo gruppo di donne, che oggi – scherzano – tra mamme e mammi raccoglie 150 aderenti, di cui almeno una sessantina attivamente impegnati, che ha spinto il tema dentro il dibattito pubblico, prima locale e poi nazionale. Lo ha fatto senza mai perdersi d’animo dalla piccola Monticello di Lonigo, piccola località ai piedi dei colli Berici, a Vicenza fino Bruxelles, passando per la Regione Veneto e Roma. «Se questo tema è arrivato sui tavoli della politica italiana ed europea è principalmente grazie a loro», ha detto nel corso di una serata aperta al pubblico nell’aprile 2018 il commissario straordinario designato dal governo per la gestione dell’emergenza PFAS, Nicola Dall’Acqua, ex direttore di Arpa Veneto.

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Legnago (VR) – 10 Aprile 2018

Paolo «Si parla poco della questione anche tra gli agricoltori per evitare di creare allarmismo. Ma le persone si stanno già chiedendo se facciano bene ad acquistare prodotti che arrivano da queste aree» «Nonostante in molti fossero a conoscenza del caso DuPont negli Stati Uniti molti tra gli amministratori locali all’inizio hanno preso la vicenda e le sue conseguenze sotto gamba. La cosa è venuta di interesse pubblico solo quando si sono mosse le mamme in seguito alle analisi del sangue dei figli. E le mamme, quando si muovono, sono toste» «Questa è la seconda falda acquifera più grande d’Europa. Il problema non coinvolge solo il Veneto o l’Italia, ma l’intera comunità europea»

Almisano (VI) – 9 Aprile 2018

Massimo «Le mamme sono talmente determinate che se non le fanno entrare dalla porta entrano dalla finestra».

Tra la scoperta della contaminazione nel 2013 e la nomina del commissario del governo sono passati cinque anni e l’impatto sulle vite delle famiglie è stato pesantissimo. «Noi da persone che regolarmente bevevano l’acqua “del sindaco”», dice Laura, «anche per evitare di buttare plastica in eccesso, ci siamo ritrovati ad acquistare acqua in bottiglia pure per cucinare un piatto di pasta, un brodo o per fare un tè». Laura parla col tono di chi conosce bene ciò che racconta: «All’inizio in pochi ci accorgemmo della portata del problema quando ci fu comunicata la presenza della sostanza nell’acqua. In molti se ne accorsero solo dopo l’arrivo delle analisi del sangue nel corso dei primi monitoraggi della locale azienda sanitaria».

È quello il momento in cui di fatto nasce il gruppo delle Mamme NoPFAS. Il marito di Laura, Massimo, professione designer e vulcano di idee, è una delle teste dietro le campagne di comunicazione del comitato. La più riuscita, “Facce da PFAS” ha coinvolto anche personaggi noti dello spettacolo come il maestro Beppe Vessicchio, la campionessa olimpica di Mountain Bike Paola Pezzo, e la presentatrice RAI Veronica Maya. «La determinazione di queste donne», racconta Massimo, «è la sola cosa che ha convinto politica e istituzioni a occuparsi seriamente del problema: non puoi respingere sulla porta dell’ufficio una madre che vuole sapere cosa stia succedendo alla salute del proprio figlio. E loro hanno esercitato questo potere: un loro diritto».

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Lonigo (VI) – 14 Aprile 2018

Cristina «A prescindere dal disastro questa vicenda è stata un’occasione per creare un senso di comunità, di protezione e di prendersi cura a vicenda che deve insegnare davvero a tutto il mondo»

Noventa Vicentina (VI) – 9 Aprile 2018

Luigina «Ho una figlia di venti mesi e un’altra che sta per nascere. Non siamo all’interno della cosiddetta “zona rossa”, ma la preoccupazione è tanta. Tante amiche che invece vivono nell’area maggiormente interessata non riescono ad avere figli».

«Le mie analisi sono a posto, ma io non sono originaria di queste parti, sono arrivata solo nel 2010. Finché non fai le analisi speri sempre di essere tra i fortunati»

La notte

Ripartiamo da casa di Laura e Massimo e dopo circa un quarto d’ora siamo da Michela, un’altra delle anime del comitato delle Mamme NoPFAS. Dalla sua casa leggermente in altura si vede tutto il verde della valle del Chiampo. Un verde innocuo, sano, costellato di vigneti e di corsi d’acqua dove l’occhio si perde nella natura. A prima vista non si direbbe che lì sotto la seconda falda acquifera più grande d’Europa sia oggetto di una contaminazione. «Mia figlia», racconta Michela davanti a un caffè, «è stata una delle prime a rientrare nel monitoraggio dell’azienda sanitaria locale. Quando ho aperto i risultati ho avuto un colpo al cuore: i valori di PFAS e PFOA nel sangue erano undici volte il valore considerato nella norma».

In quel momento, davanti all’emergenza che si manifesta in tutta la sua drammaticità nelle analisi del sangue di sua figlia, scatta la scintilla: «Con mio marito ci siamo attaccati al computer per saperne di più e nel giro di poche ore sono poi iniziate le telefonate delle altre mamme che negli stessi momenti ricevevano i risultati delle analisi». Tutte con lo stesso esito: decine di volte oltre il valore soglia. «Era il gennaio del 2017 e ci ritrovammo al bar per un caffè. Quell’incontro è stata di fatto la prima riunione del comitato. Da lì siamo andate poi a bussare a tutte le porte possibili, partendo da quella dal sindaco e arrivando poi fino a Bruxelles».

A crollare nell’animo di Laura, di Massimo, di Michela e di tutti gli altri genitori della zona è stata soprattutto la fiducia: «Ci siamo accorte», racconta ancora Michela, «che non potevamo più fidarci di chi negli anni precedenti ci ha detto che tutto andava bene quando i fatti hanno dimostrato il contrario. Si fa tutto per i propri figli e poi l’avvelenamento arriva dall’acqua: è una cosa che non ci fa dormire la notte».

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Lonigo – 13 Aprile 2018

Michela «Dal monitoraggio è risultato che mia figlia ha undici volte il valore a norma di Pfas nel sangue. E’ stata una delle prime a sottoporsi al monitoraggio e avere il risultato. Nel giro di poche ore ricevo le telefonate di altre mamme e amiche. Mi dicono loro stesse di avere valori altissimi. Ci siamo ritrovate davanti a un caffè e quando iniziamo a documentarci la rabbia sale perché i precedenti del caso DuPont avrebbero dovuto insegnare qualcosa, ma nessuno ha imparato niente»

Legnago – 10 Aprile 2018

Michela «Mi sono detta che occorreva fare qualcosa, impegnarsi in prima persona, perché se aspettiamo che lo facciano gli altri non succederà niente. Più siamo più la politica e le istituzioni saranno portati ad occuparsi di noi»

Il suicidio del territorio, l’ambiente e la medicina

«Quello a cui abbiamo assistito non si può definire in altro modo se non un “suicidio del territorio” per mano di quella che io chiamo “economia di morte”. Perché se ti privano dell’acqua ti privano di tutto. La reazione a tutto ciò è stato il più grande movimento sulla difesa del diritto all’ambiente guidato dalle donne». Alberto Peruffo è uno storico attivista veneto: classe 1967, nella sua piccola libreria di Montecchio, aperta solo su appuntamento, declina il significato di “suicidio del territorio”. Un suicidio avvenuto «per mano dei veneti stessi e di chi per anni ha nascosto il problema facendo finta di niente». Lo dice a tratti con gli occhi lucidi di chi ama un territorio e lo vede morire lentamente per la stessa mano dell’uomo.

Chiunque voglia documentare ciò che è accaduto nella provincia di Vicenza e più in generale in Veneto deve fare tappa qui: un punto di riferimento per le attività culturali della zona e non solo. Da qui sono passati artisti, attivisti, grandi penne della letteratura italiana e fotografi che nel tempo hanno voluto approfondire i fatti veneti. Sugli scaffali dietro di noi la letteratura ospitata non è mai banale e ricostruisce inoltre anni di attività politiche e culturali sul territorio in cui Alberto è sempre stato impegnato. Da poco ha fatto comparsa in libreria anche il suo “Non torneranno i prati. Storie e cronache esplosive di Pfas e spannoveneti”: in questo libro – si legge nella quarta di copertina – si raccolgono gli scritti operativi, il nuovo lessico, le provocazioni dense di analisi culturale, scientifica e di conoscenza del territorio con cui l’autore, attivista culturale, prima linea No PFAS, ha “incendiato l’immaginario” della più importante rivolta popolare del Veneto recente contro le negligenze e le collusioni di una classe politica seduta sulle proprie poltrone e mai per strada. Dimentica di qualsiasi elementare geografia, con il risultato di trasformare il Veneto in una terra devastata. Una regione in mano a una nuova “razza” che ragiona e fa affari a spanne, creando danni irreversibili. Gli Spannoveneti.

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Valdagno (VI) – 14 Aprile 2018
Vincenzo Cordiano – Medico Ematologo
«A settembre 2013 quaranta medici hanno chiesto alla Regione che si prendessero le stesse misure prese negli Stati Uniti quando emerse il caso DuPont. Chiedemmo di iniziare lo screening della popolazione e di sospendere immediatamente l’erogazione dell’acqua potabile contaminata. Azioni avviate solo a cavallo tra il 2016 e il 2017».
«Per il momento la risposta dei cittadini allo screening è al di sotto del 70%. I dati parlano di un 49% che si è effettivamente sottoposto alle analisi. Una percentuale bassa che potrebbe inficiare i risultati: se uno su due non partecipa i risultati potrebbero essere meno significativi e non contribuire a dare una risposta certa e definitiva alla richiesta della comunità scientifica»

Lonigo (VI) – 15 Aprile 2018
Lara
Lara vive nella zona rossa, e si è sempre servita dell’acqua del suo pozzo per irrigare l’orto. Gli esami di suoi figlio sono fuori norma nonostante abbiano sempre avuto l’abitudine di bere acqua in bottiglia, per questo motivo si è posta l’interrogativo riguardo i prodotti coltivati nel suo orto. I figli dei vicini di casa, dice, hanno valori della metà essendo abituati a consumare cibi confezionati e prodotti agricoli da supermercato.
Da quando ha scoperto i valori di suoi figlio ha smesso di comprare prodotti a Km0 perchè teme la contaminazione attraverso la catena alimentare.

Non ha fatto finta di niente una parte della classe medica veneta. «A settembre 2013, dopo la pubblicazione dello studio Cnr-Irsa», racconta l’ematologo Vincenzo Cordiano, «quaranta medici hanno chiesto alla Regione che si prendessero le stesse misure prese negli Stati Uniti quando emerse il caso analogo della DuPont. Chiedemmo di iniziare lo screening della popolazione e di sospendere immediatamente l’erogazione dell’acqua potabile contaminata. Azioni avviate solo a cavallo tra il 2016 e il 2017».

«Rimasi perplesso», ricorda Cordiano, «quando nel 2013 sia la Regione, sia l’Istituto Superiore di Sanità avevano l’atteggiamento di chi vuole tranquillizzare più che informare. Tuttavia, consultando i dati a disposizione mi accorsi che proprio nelle zone che risultavano contaminate ricorrevano malattie legate alla tipica presenza dei PFAS».

[1] Il monitoraggio lo trovi linkato al capitolo 1 di questa inchiesta oppure qui.

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