Le soluzioni degli altri
Venezia è unica. Ma non è l’unica. E non è sola.
Nel comune ligure, la coesione Ue sostiene interventi per rendere il turismo subacqueo sostenibile. Ma sulla terraferma, il sindaco va nella direzione opposta, con l’istituzione di zone rosse dove non è possibile nemmeno fermarsi. Un reportage tra le contraddizioni di un modello di turismo che mostra tutti i suoi limiti
Nell’area del molo di Portofino destinata allo sbarco dei battelli turistici un cartello informa che sono vietati assembramenti di persone in zona rossa. Dietro sono ormeggiati alcuni yacht: “Farfallina”, uno yacht di 27 metri, e “Book Ends”, uno yacht di 47 metri del valore di 500 milioni di dollari. Il secondo è di proprietà di Robert Book, un imprenditore che ha iniziato la propria carriera realizzando studentati a New York. Insieme alla moglie, Book ama trascorrere il tempo libero tra l’Isola d’Elba e Forte dei Marmi. «Ci piacciono i posti – ha dichiarato Book in un’intervista del 2019 – dove si può camminare, dove si può parlare con le persone». Il rischio è che Portofino presto non sia più uno di questi luoghi.
L’overtourism, il troppo turismo, è arrivato anche nelle località italiane più esclusive, quelle del turismo di lusso. A inizio aprile il comune di Portofino è corso ai ripari e ha istituito due zone rosse dove è vietato lo stazionamento di persone. Nelle aree tra la piazzetta principale di Portofino, Piazza Martiri Olivetta, e il Molo Umberto I, e in una seconda area adiacente, dal 1 aprile al 15 ottobre, dalla mattina fino alle 18.00 i turisti possono transitare, ma non fermarsi. L’avvio della stagione turistica e l’incremento di flussi turistici, si legge nell’ordinanza del sindaco Matteo Viacava, stanno creando problemi di congestione che rappresentano un potenziale pericolo «derivante dall’eccessiva densità di persone in rapporto alla superficie disponibile e in considerazione del fatto che la banchina è priva di barriere di sicurezza lato mare».
Il problema dell’eccessiva densità di turisti sta affliggendo diverse località del nostro paese. Nel 2019 l’attività turistica in Italia aveva realizzato un record assoluto con valori mai raggiunti, certifica l’Istat: 131,4 milioni di arrivi e 436,7 milioni di presenze (pernottamenti) negli esercizi ricettivi presenti sul territorio nazionale. Secondo i dati ancora provvisori relativi ai primi due mesi del 2023, quest’anno il record sarà superato. L’anno scorso l’Italia è stato quarto paese in Europe per numero di presenze turistiche; è al secondo posto, dopo la Spagna, per presenze straniere. In effetti, nota l’Istat, in Italia l’aumento di presenze rispetto al 2019 è inferiore alla media europea per la mancata ripresa della “componente domestica”, quella di italiani che soggiornano in Italia: se in Europa questa componente è cresciuta dello 0,6 per cento, da noi è calata del 4,4 per cento.
In Liguria, secondo la Regione, nei primi tre mesi del 2023 le presenze turistiche erano il 20 per cento in più rispetto all’anno scorso: quasi due milioni. Considerando anche quelle non registrate, la cifra aumenta di molto: a fronte di 60 milioni di presenze ufficiali l’anno, ce ne sarebbero 15 milioni non censite perché i turisti alloggiano in appartamenti non registrati.
Portofino ha una lunga storia come mèta turistica esclusiva: già alla fine dell’Ottocento il borgo attraeva facoltosi viaggiatori nordeuropei. Oggi «Portofino sta morendo di troppa ricchezza», afferma Francesco Gastaldi, professore associato di Urbanistica all’Università Iuav di Venezia. Secondo l’Istat, a gennaio 2023 Portofino contava 355 abitanti. «Effettivi che abitano tutto l’anno, anche in inverno, saranno 200» afferma Gastaldi. «I giovani scappano, la vita normale è impossibile qui, soprattutto per famiglie con bambini piccoli, anche per via dell’eccesso del potere d’acquisto dei turisti e della carenza di servizi». Molti dei lavoratori di Portofino sono pendolari, abitano a Rapallo e nei comuni circostanti.
La fortuna di Portofino si deve soprattutto alla tutela del paesaggio dall’inizio del Novecento, quando si costruirono residenze dalla spiccata qualità architettonica accanto al borgo antico. Nel 1935 venne istituito l’Ente autonomo del Monte di Portofino, finalizzato a preservare il paesaggio in un’accezione estetica. Il Parco di Portofino, di cui la superficie dell’abitato fa parte, è stato istituito nel 1986 e nel ventennio successivo si è dotato di strumenti urbanistici pianificatori che hanno regolato le modifiche del paesaggio anche dal punto di vista ecologico. «Anche sulla scorta delle brucianti esperienze del ‘boom edilizio’ dei decenni precedenti, il Piano del Parco blocca categoricamente ed esplicitamente ogni nuova edificazione residenziale privata» ha scritto Gastaldi. Il potenziamento dell’attività ricettiva è consentito, ma Portofino si è salvato dalla “rapallizzazione”, il fenomeno di urbanizzazione selvaggia che prende il nome dal vicino comune di Rapallo e che, soprattutto negli anni Sessanta, ha modificato il territorio ligure pochi chilometri più in là e in molte altre parti d’Italia. Certo anche Portofino aveva corso quel rischio, come denunciò il giornalista e ambientalista Antonio Cederna a più riprese, anche in un articolo del 1970 intitolato “Portofino come una trincea”.
«La presenza di radici storiche, anche importanti, ancora leggibili in una struttura urbana non alterata, danno al luogo una propria identità, differenziandola notevolmente da altre realtà turistiche che hanno assistito, negli anni Sessanta, ad una crescita edilizia invasiva e ad uno snaturamento dei propri elementi di specificità locale» ha scritto Gastaldi. Questo, però, ha contribuito alla trasformazione di Portofino in un “simbolo” del turismo di élite. Lo spopolamento del borgo ha ragioni storiche più profonde rispetto agli effetti del turismo moderno, che riguardano anche la carenza di servizi e strade carrabili, ma la vendita e la conversione di case in alloggi turistici da parte degli stessi abitanti ha accelerato il processo. Oggi Portofino vive una sorta di schizofrenia. Da un lato, potrebbe essere definito un “borgo fantasma”, per via del numero davvero esiguo di persone che vi abitano stabilmente tutto l’anno. Dall’altro, soffre degli stessi problemi legati all’eccesso di turismo del vicino Parco delle Cinque Terre, dove il settore si è sviluppato solo di recente, nel segno del turismo di massa.
Oggi le Cinque Terre hanno già superato il livello turistico pre-pandemico. Nei cinque piccoli borghi che compongono il Parco Nazionale delle Cinque Terre istituito nel 1999 (Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola e Riomaggiore), qualche anno fa si contavano 625 turisti all’anno per ognuno dei 4mila residenti, un dato elevatissimo e con pochi eguali. In questa parte delle costa il turismo ha rappresentato un’alternativa alle attività di pesca e dell’agricoltura, praticata con fatica coltivando le viti nei terrazzamenti delimitati da muretti a secco, che hanno contribuito alla stabilità idrogeologica dei versanti. Qui il territorio è aspro, tra i monti e il mare manca la pianura. Nel secondo dopoguerra nei borghi arroccati sulla pietra, sopra strette e ripide valli, la vita era dura e la povertà spingeva molti a emigrare.
Con l’arrivo del turismo l’agricoltura è stata abbandonata e con essa anche la cura dei terrazzamenti, che nel frattempo sono stati inseriti dall’Unesco tra i siti ritenuti Patrimonio Mondiale dell’Umanità. A risentirne, però, sono state la salvaguardia del territorio e la tenuta del suolo, con le frane sono diventate sempre più frequenti. Nel 2011 tredici persone hanno perso la vita quando una violenta alluvione ha colpito soprattutto Vernazza. E il turismo, dopo aver cancellato le altre attività economiche, è diventato insostenibile. Le strette banchine delle stazioni della linea ferroviaria che tocca le Cinque Terre sono talmente sovraffollate che c’è il rischio che i turisti cadano sui binari. Così dal 15 maggio Trenitalia ha istituito un servizio dedicato alla gestione degli affollamenti, con personale dedicato «alla verifica della libertà delle vie d’esodo e dei punti di maggiore passaggio dei viaggiatori».
Il turismo sta diventando un problema di ordine pubblico. Ma anziché intervenire a monte si interviene a valle, sugli effetti e non sulle cause del problema. Qualsiasi destination manager, figure professionali che si occupano di gestione del turismo, sa che il primo modo di regolare (ridurre, o promuovere) il turismo è intervenire sulla capacità ricettiva, come sta provando a fare l’Alto Adige. Oppure sugli arrivi. Sono 25 le navi da crociera che hanno scaricato centinaia di passeggeri nella piccola Portofino ad aprile e maggio. Alla spesa turistica, però, non si vuole rinunciare. Così con una mano si promuove il turismo, e con l’altra prova a contrastarne gli effetti normando in senso securitario lo spazio pubblico.
L’istituzione delle prime zone rosse in Italia risale al 2019 quando l’allora ministro dell’interno Matteo Salvini dichiarò «guerra totale al degrado urbano». Alle misure già previste già dal Decreto sicurezza approvato a novembre 2018 (tra cui l’estensione del Daspo urbano, l’ordine di allontanamento, introdotto dal decreto Minniti sulla sicurezza nel 2017, e l’uso del teaser) si aggiunsero nuovi strumenti: l’individuazione di zone rosse attraverso la convocazione dei Comitati per l’ordine pubblico, per contrastare il degrado nelle aree urbane «caratterizzate da una elevata densità abitativa e sensibili flussi turistici» dove allontanare le persone ree di una serie di comportamenti inoffensivi, tipicamente associati a elevati livelli di povertà. Con la direttiva di Salvini i prefetti furono autorizzati a scavalcare i sindaci per garantire «adeguati livelli di vivibilità e decoro». La gestione dello spazio pubblico e della qualità urbana diventava una questione securitaria.
La circolare di Salvini era stata preceduta da un’altra ordinanza prefettizia, firmata dall’allora prefetto di Bologna Matteo Piantedosi (oggi Ministro dell’Interno), che istituiva il divieto di stazionamento nell’area della Montagnola per limitare «comportamenti incompatibili con vocazione e la destinazione di tale area». Il provvedimento fu poi esteso ad altre aree. Ad aprile 2019 il prefetto di Firenze faceva copia-incolla del provvedimento applicandolo a diciassette aree di Firenze «anche in ragione dei consistenti flussi turistici». Ecco spiegata la “vocazione” delle zone rosse. Il Tar Toscana annullò il provvedimento fiorentino perché privo dei requisiti di «urgenza e grave necessità» necessari per la sua adozione: i flussi turistici nella stagione primaverile non possono essere considerati un evento imprevedibile. Ma, con i regolamenti di polizia urbana, molte città hanno introdotto divieti di stazionamento in spazi pubblici punibili con il Daspo urbano. A Roma per esempio chi si siede sulla scalinata di Trinità dei Monti può essere multato o ricevere un Daspo, un ordine di allontanamento.
Se i regolamenti di polizia urbana vietano alcuni comportamenti inoffensivi, come sedersi su una gradinata, per non meglio precisati motivi di decoro urbano, il cartello appeso al molo di Portofino vieta non un comportamento ma il semplice fermarsi, sostare, nello spazio pubblico. È evidente che si tratta di una misura estrema motivata solo dal picco di afflussi che si registra in poche giornate l’anno. In altri periodi se quel cartello non ci fosse nulla farebbe pensare a problemi di ordine pubblico a Portofino. Il punto, però, è che il divieto è evidentemente rivolto ad alcuni turisti, quelli giornalieri, scaricati dai battelli delle navi da crociera o dai battelli turistici che fanno tappa nel Golfo del Tigullio. Prende di mira non chi affitta a caro prezzo le case ma chi si ferma a visitare il paese per qualche ora e riparte con l’ultimo battello delle 18.00, orario in cui il divieto di stazionamento cessa. Perché, allora, non regolare gli arrivi? Forse perché anche i turisti giornalieri, nonostante il poco tempo di permanenza, fanno acquisti nei negozi, nei bar e nei ristoranti. I divieti di stazionamento, insomma, non incidono sul vero problema, quello dei troppi arrivi, perché non è questa l’intenzione.
La riduzione dei flussi turistici in alcune aree è di fatto necessaria. Ma l’istituzione di zone rosse per i pedoni come soluzione all’overtourism a Portofino è un precedente preoccupante. Pur di non ammettere i limiti e le contraddizioni di un modello di crescita insostenibile fondato sul consumo di territorio, così si evita di intervenire alla radice del problema. La riduzione dei flussi passerà sempre più per la gestione securitaria dello spazio pubblico e del paesaggio, colpendo la fascia meno ricca della popolazione? Bisognerebbe aprire un dibattito su questo tema della modalità di riduzione dei flussi, non di facile soluzione. Il primo passo potrebbe essere quello di smettere di incentivare il turismo con fondi pubblici, soprattutto in aree congestionate, soprattutto in mète molto conosciute, elitarie, e che istituiscono zone rosse, come Portofino.
Il potenziamento dell’attrattività turistica dei luoghi è uno degli assi della politica di coesione economica, sociale e territoriale europea che mira a ridurre il divario fra le diverse regioni e a promuovere uno sviluppo territoriale equilibrato e sostenibile. Il turismo è concepito come uno strumento di crescita economica, e per questo il ciclo 2021-2027 l’Italia ha a disposizione 43 milioni di euro, a cui si sommano risorse nazionali per un totale di 143.197,6 milioni di euro. I progetti ricevono finanziamenti attraverso diversi canali: il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), il Fondo sociale europeo (FSE, oggi FSE+) e il Fondo di coesione (che però non riguarda l’Italia). Questi fondi possono essere usati per promuovere l’attrattività turistica dei territori attraverso il finanziamento di progetti in tre ambiti tematici diversi: Natura, Cultura e Turismo. Secondo OpenCoesione, dal 1 gennaio 2007 al 31 agosto 2021, i progetti avviati nei tre ambiti tematici sono stati 29.609, con un costo pubblico di 15,83 miliardi di euro e 8,73 miliardi di pagamenti (pari al 55 per cento delle risorse complessivamente mobilitate).
Oltre a ristoranti, campeggi, ditte edili e società sportive nei comuni della riviera, a Portofino le risorse europee finanziano progetti di interesse pubblico come la rete dei sentieri del Parco di Portofino, la valorizzazione e la fruizione della Rete Natura 2000 della provincia, la gestione sostenibile della subacquea ricreativa. Quest’ultimo progetto, un’iniziativa transfrontaliera in collaborazione con Francia e Spagna, tecnicamente un progetto INTERREG sostenuto dal Fondo europeo di sviluppo regionale, mira ad attivare una «rete fra soggetti pubblici e privati, dalle attività produttive a quelle professionali e ricreative, operativi nel settore del turismo, della ricerca, dell’innovazione, della cultura e della tutela dell’ambiente”, per la creazione di un “sistema di distretto ligure della subacquea”», si legge sul sito web del progetto.
Si tratta dunque di un progetto importante per il territorio. Ma manca una cornice politica complessiva che promuova la sostenibilità del turismo sia sulla terraferma che in mare. Non è chiara quale sia la politica di gestione del territorio, se da una parte si promuove la subacquea sostenibile ma dall’altra si introducono zone rosse nel borgo simbolo del turismo di lusso, che certo non ha bisogno di potenziare la propria attrattività turistica con fondi pubblici.
L’industria del turismo sta mettendo a repentaglio le condizioni di vita degli abitanti, umani e non, anche nelle zone di turismo cosiddetto “di qualità”, spesso invocato come soluzione ai problemi del turismo di massa. Se Portofino è mèta del turismo di lusso, questo si deve soprattutto a una lunga storia di tutela dell’ambiente dai danni della cementificazione che ha investito l’Italia. Ma la qualità dell’ambiente, paesaggistica ed ecologica, non può essere prerogativa di pochi che se la possono permettere in base alla capacità di spesa. E per superarla può essere utile guardare anche ad altri esempi, magari lontani.
Negli Usa, per esempio, lungo la costa dell’Oregon non vi sono edifici né “concessioni” private: la costa è interamente pubblica ed è tutelata contro l’edificazione dal 1913. La sua bellezza, quindi, dipende da una cura del territorio di decenni, come è avvenuto anche a Portofino. Le analogie però si fermano qui.
Su tutta la costa, dove le case in affitto turistico ovviamente esistono ma in numero limitato, sono stati creati grandi parchi naturali, pensati per essere raggiunti indicativamente con una giornata di cammini. In questi parchi, poi, ci sono aree riservate a chi viaggia a piedi o in bicicletta e chi sceglie questi metodi sostenibili gode di trattamento privilegiato: non deve prenotare, paga una cifra simbolica, pianta una tenda e si ferma quanto vuole. Chi viaggia in automobile, invece, paga molto di più e deve prenotare. E siccome i posti sono limitati, può darsi che semplicemente non ci sia posto.
Qui la ricchezza naturale del luogo viene gestita in una maniera realmente sostenibile, che si concretizza nell’incentivare alcuni comportamenti e nel limitarne altri. E che consente di godere del territorio anche ai turisti che hanno una minore capacità di spesa. Insomma, a monte, c’è una visione.
A Portofino, invece, le zone rosse sono un intervento a valle, preso senza compiere alcuna riflessione sul modello di turismo di cui vive questa località. Così i divieti finiscono per pesare in maniera classista solo su alcuni tipi di turisti, non certo quelli che arrivano in yacht. Senza però toccare i veri nodi dell’affollamento, come la capacità ricettiva o gli arrivi, e quindi senza risolvere il problema dell’overtourism che ora tocca anche le cosiddette destinazioni di lusso.
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